TITULO ORIGINAL Lavorare con lentezza
AÑO 2004
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 111 min.
DIRECCION Guido Chiesa
GUION Guido Chiesa, Wu Ming
MUSICA Teho Teardo
FOTOGRAFIA Gherardo Gossi
REPARTO Afterhours, Manuel Agnelli, Alessandro Agnello, Fabrizio Bava, Valerio Binasco, Jacopo Bonvicini, Andrea Bruschi, Tommaso Ramenghi, Marco Luisi
PREMIOS
2003: Venecia: Mejor joven actor o actriz emergente (Marco Luisi, Tommaso Ramenghi)
2004: Premios David di Donatello: Nominada Mejor canción original
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia
GENERO Drama | Años 70
AÑO 2004
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 111 min.
DIRECCION Guido Chiesa
GUION Guido Chiesa, Wu Ming
MUSICA Teho Teardo
FOTOGRAFIA Gherardo Gossi
REPARTO Afterhours, Manuel Agnelli, Alessandro Agnello, Fabrizio Bava, Valerio Binasco, Jacopo Bonvicini, Andrea Bruschi, Tommaso Ramenghi, Marco Luisi
PREMIOS
2003: Venecia: Mejor joven actor o actriz emergente (Marco Luisi, Tommaso Ramenghi)
2004: Premios David di Donatello: Nominada Mejor canción original
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia
GENERO Drama | Años 70
SINOPSIS Bolonia, 1976. En las afueras de la ciudad, Sgualo y Pelo, dos amigos, sueñan en una salida para sus grises y opresivas vidas. En ocasiones, para solventar su falta de dinero crónica, realizan "trabajillos" para Marangon, el gángster local. Pero ahora Marangon les propone algo distinto: cavar un túnel bajo tierra en el centro de la ciudad. El objetivo: el banco de la Plaza Minghetti. Sin dudarlo, la desesperada pareja acepta la arriesgada empresa. Para hacer más llevaderas las largas horas nocturnas de trabajo, se llevan una radio al túnel. (FILMAFFINITY)
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Subtítulos (Español)
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Dilonardo Giuseppe - Lavorare con lentezza: Genesi di un film (pdf)
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La ilusión por el cambio y la amistad, cristalizados en un film que marca la continuidad del neorrealismo italiano, ‘Radio Alice’ (Italia, 2004) de Guido Chiesa, es el ganador del 1r Festival de Cinema Polític de Barcelona. El film fue seleccionado de entre los 7 concursantes por un jurado integrado por el director de cine lituano Sharunas Bartas, la directora del Festival de la Rochelle Prune Engler, la escritora Lucía Etxebarría, la productora Isona Passola y la directora turca Yesim Ustaoglu. Según Isona Passola, portavoz del jurado: “el jurado ha valorado la temática del film que aborda las revueltas políticas de obreros y estudiantes en los años 70 en Italia, y muy especialmente la calidad cinematográfica de la película que recupera el oficio del mejor cine italiano de siempre.” El mismo film ha ganado el Premio Cinevisión del Público, que ha sido votado por el público asistente a las películas.
Sin embargo, la gran sorpresa ha venido de parte de la asistencia de público: 2620 personas han asistido a las tres salas de proyección del 1r Festival de Cinema polític en los cinco días de actividades. Incluso se ha tenido que repetir proyecciones como el estreno de “Visions of Europe”, realizar proyecciones improvisadas como la de “The government inspector” de Peter Kosminski en el Hall del CCCB. Guido Chiesa, no ha podido asistir a la ceremonia, y en su reemplazo recibirá el premio la responsable Centro de Estudios de cine italiano del Istituto Italiano di Cultura de Barcelona, Daniela Aronica. El premio del público fue entregado por el redactor jefe de la revista de cine Cinevisión, Miquel Echarri.
http://www.rebeldemule.org/foro/cine/tema300.html
Sin embargo, la gran sorpresa ha venido de parte de la asistencia de público: 2620 personas han asistido a las tres salas de proyección del 1r Festival de Cinema polític en los cinco días de actividades. Incluso se ha tenido que repetir proyecciones como el estreno de “Visions of Europe”, realizar proyecciones improvisadas como la de “The government inspector” de Peter Kosminski en el Hall del CCCB. Guido Chiesa, no ha podido asistir a la ceremonia, y en su reemplazo recibirá el premio la responsable Centro de Estudios de cine italiano del Istituto Italiano di Cultura de Barcelona, Daniela Aronica. El premio del público fue entregado por el redactor jefe de la revista de cine Cinevisión, Miquel Echarri.
http://www.rebeldemule.org/foro/cine/tema300.html
Diretto da Guido Chiesa e uscito nelle sale nel 2004, Lavorare con lentezza è basato su una storia vera, la storia di Radio Alice una delle prime radio private italiane nata a Bologna negli anni settanta dal desiderio di un gruppo di ragazzi intenzionati a “dare voce a chi non ha voce“.
Bologna 1976, in via del Pratello n. 41 c’è Radio Alice, la radio del movimento studentesco. Le provocazioni culturali e l’ostentazione della libertà sessuale accanto al dichiarato rifiuto del lavoro salariato, pongono la radio all’attenzione delle forze dell’ordine. Il carabiniere Lionello è infatti incaricato di tenere sotto controllo le trasmissioni mentre il suo superiore, Tenente Lippolis (Valerio Mastandrea), indaga ossessivamente sul malavitoso Marangon.
Qui la storia di Radio Alice si intreccia con quella di Squalo (Tommaso Ramenghi) e Pelo (Marco Luisi), ragazzi di estrazione proletaria che non avendo prospettive future sbarcano il lunario facendo qualche lavoretto per Marangon. Quando questi propone loro di scavare un tunnel nel sottosuolo della città per rapinare la Cassa di Risparmia di p.zza Minghetti, i due ragazzi conoscono Radio Alice che diventa la colonna sonora del loro lavoro.
Decidono così di entrare a farvi parte e una volta varcati i locali di via del Pratello, si immergono nel mondo dell’attivismo culturale fatto di messaggi di ribellione alla società borghese che diventa sempre più commerciale, di comunicati ai giornali e ai sindacati dei lavoratori fino al completo coinvolgimento nelle lotte studentesche.
Il film prende il titolo dall’omonima canzone di Enzo Del Re che apriva ogni mattina le trasmissioni di Radio Alice.
Bologna 1976, in via del Pratello n. 41 c’è Radio Alice, la radio del movimento studentesco. Le provocazioni culturali e l’ostentazione della libertà sessuale accanto al dichiarato rifiuto del lavoro salariato, pongono la radio all’attenzione delle forze dell’ordine. Il carabiniere Lionello è infatti incaricato di tenere sotto controllo le trasmissioni mentre il suo superiore, Tenente Lippolis (Valerio Mastandrea), indaga ossessivamente sul malavitoso Marangon.
Qui la storia di Radio Alice si intreccia con quella di Squalo (Tommaso Ramenghi) e Pelo (Marco Luisi), ragazzi di estrazione proletaria che non avendo prospettive future sbarcano il lunario facendo qualche lavoretto per Marangon. Quando questi propone loro di scavare un tunnel nel sottosuolo della città per rapinare la Cassa di Risparmia di p.zza Minghetti, i due ragazzi conoscono Radio Alice che diventa la colonna sonora del loro lavoro.
Decidono così di entrare a farvi parte e una volta varcati i locali di via del Pratello, si immergono nel mondo dell’attivismo culturale fatto di messaggi di ribellione alla società borghese che diventa sempre più commerciale, di comunicati ai giornali e ai sindacati dei lavoratori fino al completo coinvolgimento nelle lotte studentesche.
Il film prende il titolo dall’omonima canzone di Enzo Del Re che apriva ogni mattina le trasmissioni di Radio Alice.
Presentato in concorso alla 61° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha ricevuto il premio per migliore attore emergente per l’interpretazione di Tommaso Ramenghi nel ruolo di Squalo. Notevole la costruzione narrativa composta da tecniche di ripresa e stili diversi per ogni situazione e storia da girare.
Ogni emozione, ogni stato d’animo viene espresso da una particolare scelta stilistica. Molto affascinanti, ad esempio, i siparietti sulla storia della radio evidentemente ispirati al cinema muto d’avanguardia storica degli anni 10-20, diretti quindi con la cifra del dadaismo o del simbolismo russo. Le scene sulla vita all’interno della radio, hanno una spontaneità e una diretta comunicabilità nelle riprese che ricordano un po’ i documentari.
L’interpretazione dei due protagonisti è resa efficace e suggestiva dal fatto che nessuno dei due aveva mai avuto esperienze precedenti nel cinema e quindi la semplicità espressiva e la naturalezza fanno si che il film sia sempre a ritmo sostenuto e tenga desta l’attenzione di chi lo guarda.
Molto brava Claudia Pandolfi nell’interpretazione di Marta, praticante avvocato alle prese con un caso difficile e protagonista di uno scomodo intreccio sentimentale, tipico di quegli anni, con due membri di Radio Alice. Misurata ma intensa anche l’interpretazione di Valerio Mastandrea, nel ruolo del Tenente Lippolis, immagine del carabiniere integro e senza scrupoli deciso ad annientare il suo obbiettivo.
La presenza di giovani attori bolognesi e i dialoghi sempre accesi e naturali sono efficaci per descrivere l’intera atmosfera che si viveva in quegli anni. Ben curato nei minimi particolari, dalle luci ai colori ai costumi per passare poi alla impostazione dell’impianto narrativo in cui la radio rimane sempre sullo sfondo.
Le vicende raccontate nel film sono vere, rintracciate dal regista e dal collettivo Wu Ming, sui giornali dell’epoca. E quindi l’avventura di Squalo e Pelo e il loro tunnel racconta la vera storia di una banda criminale che venne catturata ancor prima di realizzare la rapina progettata. Così come il pestaggio dell’anziano strozzino avvenuto nel quartiere dei protagonisti risale a un fatto di cronaca.
Lavorare con lentezza non racconta solo della nascita e della vita di una radio libera, ma contiene la radio stessa, la attraversa in modo obliquo, le storie che si sviluppano accanto e attraverso Radio Alice coinvolgono lo spettatore e appassionano l’occhio. Seppur un po’ prolisso e alla prima impressione dispersivo, basta guardarlo una seconda volta con la voglia di lasciarsi divertire e raccontare per godere della sua grande forza espressiva.
Da vedere.
Rachele Cocciolito
http://cinemio.it/film-italiani/lavorare-con-lentezza-recensione/10634/
Ogni emozione, ogni stato d’animo viene espresso da una particolare scelta stilistica. Molto affascinanti, ad esempio, i siparietti sulla storia della radio evidentemente ispirati al cinema muto d’avanguardia storica degli anni 10-20, diretti quindi con la cifra del dadaismo o del simbolismo russo. Le scene sulla vita all’interno della radio, hanno una spontaneità e una diretta comunicabilità nelle riprese che ricordano un po’ i documentari.
L’interpretazione dei due protagonisti è resa efficace e suggestiva dal fatto che nessuno dei due aveva mai avuto esperienze precedenti nel cinema e quindi la semplicità espressiva e la naturalezza fanno si che il film sia sempre a ritmo sostenuto e tenga desta l’attenzione di chi lo guarda.
Molto brava Claudia Pandolfi nell’interpretazione di Marta, praticante avvocato alle prese con un caso difficile e protagonista di uno scomodo intreccio sentimentale, tipico di quegli anni, con due membri di Radio Alice. Misurata ma intensa anche l’interpretazione di Valerio Mastandrea, nel ruolo del Tenente Lippolis, immagine del carabiniere integro e senza scrupoli deciso ad annientare il suo obbiettivo.
La presenza di giovani attori bolognesi e i dialoghi sempre accesi e naturali sono efficaci per descrivere l’intera atmosfera che si viveva in quegli anni. Ben curato nei minimi particolari, dalle luci ai colori ai costumi per passare poi alla impostazione dell’impianto narrativo in cui la radio rimane sempre sullo sfondo.
Le vicende raccontate nel film sono vere, rintracciate dal regista e dal collettivo Wu Ming, sui giornali dell’epoca. E quindi l’avventura di Squalo e Pelo e il loro tunnel racconta la vera storia di una banda criminale che venne catturata ancor prima di realizzare la rapina progettata. Così come il pestaggio dell’anziano strozzino avvenuto nel quartiere dei protagonisti risale a un fatto di cronaca.
Lavorare con lentezza non racconta solo della nascita e della vita di una radio libera, ma contiene la radio stessa, la attraversa in modo obliquo, le storie che si sviluppano accanto e attraverso Radio Alice coinvolgono lo spettatore e appassionano l’occhio. Seppur un po’ prolisso e alla prima impressione dispersivo, basta guardarlo una seconda volta con la voglia di lasciarsi divertire e raccontare per godere della sua grande forza espressiva.
Da vedere.
Rachele Cocciolito
http://cinemio.it/film-italiani/lavorare-con-lentezza-recensione/10634/
Il 1° ottobre esce il film Lavorare con lentezza, che solo il pubblico della Mostra del cinema di Venezia ha finora potuto vedere. Rimandando ogni giudizio sulla pellicola, mi preme per ora segnalare il sito che le è dedicato. Non è il classico sito messo su in tutta fretta per pubblicizzare un film, e destinato a essere abbandonato subito dopo. Qui siamo di fronte a un percorso ragionato, che ruota attorno all’evento chiave su cui è imperniata la pellicola di Guido Chiesa: la rivolta che scosse Bologna l’11 e 12 marzo 1977, dopo l’uccisione da parte della polizia del militante di Lotta Continua Francesco Lorusso.
Abbiamo così, oltre al classico trailer e ai diari di lavorazione, materiali inusuali. Per esempio un forum, in cui molti interventi sono a carattere squisitamente politico, e a volte sono firmati da diretti protagonisti dell’11 marzo bolognese. Poi una raccolta straordinariamente ricca di reperti sonori, una serie di fotografie (dalle barricate ai murales fioriti in tutto il centro cittadino), la riproduzione dei titoli di prima pagina apparsi sui giornali di allora, articoli, brevi saggi, testimonianze, estratti da libri e riviste. Preziosi anche i link a siti in grado di fornire ulteriori informazioni. In sintesi, tutte le risorse del web sono messe a disposizione della ricostruzione, per frammenti ma non per questo meno organica, di fatti ancora ben vivi nella memoria ma troppo perturbanti (proprio perché troppo vivi, vale a dire “politicamente attivi”) per essere richiamati con la dovuta frequenza.
Cos’è che disturba tanto nella rivolta (già il termine farà storcere il naso a qualcuno) bolognese del ’77? Nel sito lo si coglie con chiarezza. Anzitutto le barricate furono erette non solo contro la polizia o le “forze di destra”, di fatto invisibili, ma anche e soprattutto contro il PCI che governava la città, e che subito invocò (e ottenne dal governo) la più ferrea repressione. Per chi manifestava allora, era già perfettamente evidente, in trasparenza, il percorso che — prima ancora che la lotta armata emergesse con virulenza — stava collocando la sinistra istituzionale italiana, sotto la guida del suo maggiore partito, sulla via che l’avrebbe portata all’accettazione del liberismo, all’alleanza con i magistrati più forcaioli, all’arma della delazione per disfarsi di forme di antagonismo fastidioso, a una collocazione di centro adottata come strategia.
Bologna, nel ’77, era già laboratorio di ciò che sarebbero stati il “girotondismo” e la repressione di Genova 2001 (attuata dalla destra ma premeditata dal centrosinistra). Per chi reggeva la città, i ceti medi erano ormai soggetto prioritario di riferimento, e il capitalismo lo si superava diffondendo la piccola e media impresa e ricercando, a livello sindacale, quell’antenato della “concertazione” che fu la politica delle compatibilità cara a Luciano Lama. Contro questa deriva della sinistra insorsero — non solo a Bologna – quelli che furono poi sbrigativamente classificati come semplici “studenti”.
Ripeto, non ho visto Lavorare con lentezza, però so che impernia la propria storia su un gruppetto di ragazzi di periferia che, mentre cercano di scavare un tunnel per raggiungere le casseforti di una banca, sono raggiunti quasi loro malgrado dalle sirene della ribellione. Ebbene, chiunque sia stato testimone o partecipe dei “fatti” di Bologna ’77, sa che di giovani di quel tipo, calati dai quartieri suburbani, ve ne furono a bizzeffe. Fu facile per loro solidarizzare con gli studenti e confondersi tra essi. Gli universitari dell’epoca, in larga misura di estrazione meridionale, rimanevano per anni parcheggiati negli atenei data la generale mancanza di prospettive d’occupazione. Campavano con lavoretti precari, così come gli studenti medi degli istituti tecnico-scientifici, che spesso, la sera, prestavano la loro opera nelle piccole fabbriche sommerse dalle commesse — salvo venirne allontanati quando le commesse venivano meno. Condizione non troppo diversa da quella dei giovani operai delle piccole imprese, privi di diritti sindacali e partecipi della precarietà del tessuto produttivo in cui erano inseriti.
Ebbene, a tutti costoro il PCI bolognese proponeva quale modello il decentramento produttivo di cui erano le vittime, raccomandava la concordia sociale trascurando il fatto che i diritti sindacali erano ignoti, e spostava il proprio interesse da loro ai ceti che si arricchivano in tempi di crisi. Ebbe in risposta una rivolta di tutto il proletariato giovanile, inclusi i soggetti meno controllabili, che per la prima volta lo additò quale nemico, e lo costrinse a gettare la maschera. Sotto la guida dei Berlinguer e gli incitamenti dei Lama, il PCI scelse la via delle autoblindo e dei manganelli, mentre nella manica nascondeva già le carte della “mobilità” e della “flessibilità” che avrebbe giocato in futuro. Così facendo, aprì la strada agli anni dei gruppi armati, nel ’77 già presenti ma privi di vera influenza.
Il tema era già stato trattato, in forma allegorica, in un film di Roberto Faenza del 1980, Si salvi chi vuole (in cui una festa elegante in casa di un pezzo grosso del PCI, trasparente controfigura del sindaco Renato Zangheri, viene sconvolta da un’orda di teppisti di periferia). Se il film di Guido Chiesa rispecchia almeno in parte questi argomenti, si tratta veramente di un evento, e non solo dal punto di vista cinematografico. Intanto chi li rispecchia è il sito che ho indicato, percorso tra l’altro da un’irrefrenabile vena di allegria. La stessa che provò chi visse gli eventi di Bologna ’77, plumbei solo per quanti, scegliendo di digrignare i denti e di rifiutare il confronto, prepararono il nostro grigio presente.
Valerio Evangelisti
http://www.carmillaonline.com/2004/09/30/lavorare-con-lentezza/
Cos’è che disturba tanto nella rivolta (già il termine farà storcere il naso a qualcuno) bolognese del ’77? Nel sito lo si coglie con chiarezza. Anzitutto le barricate furono erette non solo contro la polizia o le “forze di destra”, di fatto invisibili, ma anche e soprattutto contro il PCI che governava la città, e che subito invocò (e ottenne dal governo) la più ferrea repressione. Per chi manifestava allora, era già perfettamente evidente, in trasparenza, il percorso che — prima ancora che la lotta armata emergesse con virulenza — stava collocando la sinistra istituzionale italiana, sotto la guida del suo maggiore partito, sulla via che l’avrebbe portata all’accettazione del liberismo, all’alleanza con i magistrati più forcaioli, all’arma della delazione per disfarsi di forme di antagonismo fastidioso, a una collocazione di centro adottata come strategia.
Bologna, nel ’77, era già laboratorio di ciò che sarebbero stati il “girotondismo” e la repressione di Genova 2001 (attuata dalla destra ma premeditata dal centrosinistra). Per chi reggeva la città, i ceti medi erano ormai soggetto prioritario di riferimento, e il capitalismo lo si superava diffondendo la piccola e media impresa e ricercando, a livello sindacale, quell’antenato della “concertazione” che fu la politica delle compatibilità cara a Luciano Lama. Contro questa deriva della sinistra insorsero — non solo a Bologna – quelli che furono poi sbrigativamente classificati come semplici “studenti”.
Ripeto, non ho visto Lavorare con lentezza, però so che impernia la propria storia su un gruppetto di ragazzi di periferia che, mentre cercano di scavare un tunnel per raggiungere le casseforti di una banca, sono raggiunti quasi loro malgrado dalle sirene della ribellione. Ebbene, chiunque sia stato testimone o partecipe dei “fatti” di Bologna ’77, sa che di giovani di quel tipo, calati dai quartieri suburbani, ve ne furono a bizzeffe. Fu facile per loro solidarizzare con gli studenti e confondersi tra essi. Gli universitari dell’epoca, in larga misura di estrazione meridionale, rimanevano per anni parcheggiati negli atenei data la generale mancanza di prospettive d’occupazione. Campavano con lavoretti precari, così come gli studenti medi degli istituti tecnico-scientifici, che spesso, la sera, prestavano la loro opera nelle piccole fabbriche sommerse dalle commesse — salvo venirne allontanati quando le commesse venivano meno. Condizione non troppo diversa da quella dei giovani operai delle piccole imprese, privi di diritti sindacali e partecipi della precarietà del tessuto produttivo in cui erano inseriti.
Ebbene, a tutti costoro il PCI bolognese proponeva quale modello il decentramento produttivo di cui erano le vittime, raccomandava la concordia sociale trascurando il fatto che i diritti sindacali erano ignoti, e spostava il proprio interesse da loro ai ceti che si arricchivano in tempi di crisi. Ebbe in risposta una rivolta di tutto il proletariato giovanile, inclusi i soggetti meno controllabili, che per la prima volta lo additò quale nemico, e lo costrinse a gettare la maschera. Sotto la guida dei Berlinguer e gli incitamenti dei Lama, il PCI scelse la via delle autoblindo e dei manganelli, mentre nella manica nascondeva già le carte della “mobilità” e della “flessibilità” che avrebbe giocato in futuro. Così facendo, aprì la strada agli anni dei gruppi armati, nel ’77 già presenti ma privi di vera influenza.
Il tema era già stato trattato, in forma allegorica, in un film di Roberto Faenza del 1980, Si salvi chi vuole (in cui una festa elegante in casa di un pezzo grosso del PCI, trasparente controfigura del sindaco Renato Zangheri, viene sconvolta da un’orda di teppisti di periferia). Se il film di Guido Chiesa rispecchia almeno in parte questi argomenti, si tratta veramente di un evento, e non solo dal punto di vista cinematografico. Intanto chi li rispecchia è il sito che ho indicato, percorso tra l’altro da un’irrefrenabile vena di allegria. La stessa che provò chi visse gli eventi di Bologna ’77, plumbei solo per quanti, scegliendo di digrignare i denti e di rifiutare il confronto, prepararono il nostro grigio presente.
Valerio Evangelisti
http://www.carmillaonline.com/2004/09/30/lavorare-con-lentezza/
“Lavorare con lentezza – senza fare alcuno sforzo – ritmo pausa pausa ritmo – pausa pausa pausa pausa – lavorare con lentezza – senza fare alcuno sforzo – il lavoro ti fa male e ti manda all’ospedale – lavorare con lentezza – senza fare alcuno sforzo – pausa pausa pausa pausa – la salute non ha prezzo.” Cantava così Enzo del Re, ogni mattina a cavallo delle frequenze di Radio Alice. Dal Febbraio 1976 al Marzo 1977, Radio Alice ha raccolto le telefonate delle persone, dei giovani, degli adulti e dei bambini. Brrzzz Vrrvzzzz... brzzz... se fossimo nella Bologna del 1976, a girare la manopola della radio fino ad arrivare alla frequenza 100,6 MHz, ci imbatteremmo in un flusso di parole, sensazioni, idee, poesia, sesso e musica. “La sera si riuniva negli studi celesti della radio una piccola folla di suonatori. E qualcuno col flauto suonava un motivetto commovente. E qualcuno leggeva Majakovskij. E squillava il telefono, e le voci seguivano alle voci.” Non una controinformazione,ma una totale libertà di comunicazione.
Guido Chiesa (regista de “Il partigiano Johnny”) aveva già raccontato la storia di Radio Alice nel documentario “Alice è in paradiso” del 2002. Il regista torinese ci regala questa volta un film dove i protagonisti principali sono due ragazzi di periferia, Sgualo (Tommaso Ramenghi) e Pelo (Marco Luisi), le cui vicende si intrecciano con la radio del movimento studentesco. Impegnati in lavori saltuari commissionati da Marangon (Valerio Binasco), un trafficante di Bologna, i due ragazzi accettano il coinvolgimento per un colpo alla Cassa di Risparmio. Cominciano a scavare un tunnel nel sottosuolo al ritmo (lento) della musica e delle parole di Radio Alice.
Sgualo e Pelo si ritrovano presto in vicende più grandi di loro, circondati da personaggi come il tenente Lippolis, interpretato da Valerio Mastandrea, che è sulle tracce di Marangon e capisce il piano del colpo alla banca, mentre Marta (Claudia Pandolfi), avvocato e amica di Radio Alice, scontra la sua smania utopica di difesa delle classi meno abbienti contro il crude realismo della spoglia periferia.
I carabinieri seguono e ascoltano Radio Alice, saggiano ogni singola parola; nel film questa indagine è simpaticamente rappresentata da un militare di leva, costretto dal tenente Lippolis all’ascolto giornaliero della frequenza 100,6.
La vita precipita rapidamente l’11 marzo 1977, durante una manifestazione nella zona universitaria. Studenti e forze dell’ordine si scontrano in piazza, dapprima con lacrimogeni e pietre, poi con proiettili ad altezza uomo e molotov. Un carabiniere uccide lo studente Francesco Lorusso, 26 anni, militante di Lotta Continua, colpito alla schiena. Il militare Massimo Tramontani ammetterà successivamente di aver fatto uso della propria arma da fuoco su ordine del capitano Pietro Pistolese: entrambi i carabinieri saranno assolti. Per due giorni Bologna è teatro di violenti scontri, sono erette barricate, intervengono i mezzi blindati e i carri armati, gravi danni ai locali pubblici.
Radio Alice, la voce del movimento, la narrazione in diretta degli scontri di piazza, è chiusa il 12 marzo 1977 dopo un’irruzione militare; l’accusa è quella di aver diretto via etere gli scontri. Nel film sono riprese le esatte parole che Valerio e Mauro Minnella pronunciano in diretta radio durante l’irruzione della polizia.
La pellicola di Guido Chiesa guarda con occhio critico l’intera vicenda, non nasconde i limiti e gli errori del movimento studentesco e di Radio Alice, non amplifica l’irruenza delle forze dell’ordine, ma analizza i fatti e ci rende partecipi della psicologia dei personaggi. Così non è mistificata una certa linea intransigente all’interno dell’emittente bolognese: una libertà di pensiero che però non si allontana da una particolare linea di condotta, come quando l’originalità ricercata ad ogni costo diviene costrizione all’idea.
Come un errore, un enorme errore, è stato scegliere la via della violenza gratuita su macchine, vetrine, posti pubblici, e rispondere alla violenza con la violenza delle molotov e delle armi. Ricordo un fatto a cui ho assistito di persona qualche anno fa, nell’ambito dell’occupazione dell’ex stabilimento EMPI in Via Saluzzo angolo Via Giacosa a Torino, un palazzo abbandonato da anni e lasciato cadere a pezzi. L’intervento della polizia per sgombrare lo stabilimento, perché “pericolante”, non si fece attendere. Ricordo la testata gratuita che un poliziotto assestò ad una ragazza ferma, indifesa, disarmata, circondata da poliziotti e apparentemente estranea all’occupazione. Il giorno dopo su un giornale (non ricordo quale) venne riportata la notizia dell’insediamento nello stabilimento e, nell’articolo, marginalmente era descritto un episodio: quello della ragazza che colpisce un poliziotto.
Nel film di Guido Chiesa si sente dire “ci dobbiamo difendere”. Non è con le armi che si deve difendere il diritto di libertà di pensiero e di parola: Radio Alice era un’arma molto più efficace e confacente a questo scopo.
http://www.laperquisa.it/3.1/autopsie-di-film/503-qlavorare-con-lentezzaq-di-guido-chiesa.html
Guido Chiesa (regista de “Il partigiano Johnny”) aveva già raccontato la storia di Radio Alice nel documentario “Alice è in paradiso” del 2002. Il regista torinese ci regala questa volta un film dove i protagonisti principali sono due ragazzi di periferia, Sgualo (Tommaso Ramenghi) e Pelo (Marco Luisi), le cui vicende si intrecciano con la radio del movimento studentesco. Impegnati in lavori saltuari commissionati da Marangon (Valerio Binasco), un trafficante di Bologna, i due ragazzi accettano il coinvolgimento per un colpo alla Cassa di Risparmio. Cominciano a scavare un tunnel nel sottosuolo al ritmo (lento) della musica e delle parole di Radio Alice.
Sgualo e Pelo si ritrovano presto in vicende più grandi di loro, circondati da personaggi come il tenente Lippolis, interpretato da Valerio Mastandrea, che è sulle tracce di Marangon e capisce il piano del colpo alla banca, mentre Marta (Claudia Pandolfi), avvocato e amica di Radio Alice, scontra la sua smania utopica di difesa delle classi meno abbienti contro il crude realismo della spoglia periferia.
I carabinieri seguono e ascoltano Radio Alice, saggiano ogni singola parola; nel film questa indagine è simpaticamente rappresentata da un militare di leva, costretto dal tenente Lippolis all’ascolto giornaliero della frequenza 100,6.
La vita precipita rapidamente l’11 marzo 1977, durante una manifestazione nella zona universitaria. Studenti e forze dell’ordine si scontrano in piazza, dapprima con lacrimogeni e pietre, poi con proiettili ad altezza uomo e molotov. Un carabiniere uccide lo studente Francesco Lorusso, 26 anni, militante di Lotta Continua, colpito alla schiena. Il militare Massimo Tramontani ammetterà successivamente di aver fatto uso della propria arma da fuoco su ordine del capitano Pietro Pistolese: entrambi i carabinieri saranno assolti. Per due giorni Bologna è teatro di violenti scontri, sono erette barricate, intervengono i mezzi blindati e i carri armati, gravi danni ai locali pubblici.
Radio Alice, la voce del movimento, la narrazione in diretta degli scontri di piazza, è chiusa il 12 marzo 1977 dopo un’irruzione militare; l’accusa è quella di aver diretto via etere gli scontri. Nel film sono riprese le esatte parole che Valerio e Mauro Minnella pronunciano in diretta radio durante l’irruzione della polizia.
La pellicola di Guido Chiesa guarda con occhio critico l’intera vicenda, non nasconde i limiti e gli errori del movimento studentesco e di Radio Alice, non amplifica l’irruenza delle forze dell’ordine, ma analizza i fatti e ci rende partecipi della psicologia dei personaggi. Così non è mistificata una certa linea intransigente all’interno dell’emittente bolognese: una libertà di pensiero che però non si allontana da una particolare linea di condotta, come quando l’originalità ricercata ad ogni costo diviene costrizione all’idea.
Come un errore, un enorme errore, è stato scegliere la via della violenza gratuita su macchine, vetrine, posti pubblici, e rispondere alla violenza con la violenza delle molotov e delle armi. Ricordo un fatto a cui ho assistito di persona qualche anno fa, nell’ambito dell’occupazione dell’ex stabilimento EMPI in Via Saluzzo angolo Via Giacosa a Torino, un palazzo abbandonato da anni e lasciato cadere a pezzi. L’intervento della polizia per sgombrare lo stabilimento, perché “pericolante”, non si fece attendere. Ricordo la testata gratuita che un poliziotto assestò ad una ragazza ferma, indifesa, disarmata, circondata da poliziotti e apparentemente estranea all’occupazione. Il giorno dopo su un giornale (non ricordo quale) venne riportata la notizia dell’insediamento nello stabilimento e, nell’articolo, marginalmente era descritto un episodio: quello della ragazza che colpisce un poliziotto.
Nel film di Guido Chiesa si sente dire “ci dobbiamo difendere”. Non è con le armi che si deve difendere il diritto di libertà di pensiero e di parola: Radio Alice era un’arma molto più efficace e confacente a questo scopo.
http://www.laperquisa.it/3.1/autopsie-di-film/503-qlavorare-con-lentezzaq-di-guido-chiesa.html
falta un enlace, el n 3. muchas gracias por todas las aportaciones. salud
ResponderEliminarAcabo de revisarlos y están los 10 enlaces en línea.
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