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C’è tutto quello che si potrebbe desiderare di vedere in un film di quel periodo, che parte da una crisi coniugale per arrivare a parlare di tabù sessuali e delle ipocrisie del matrimonio, in un momento storico in cui la contestazione giovanile inizia a mettere a nudo quello che si nasconde dietro la facciata dell’alta borghesia dell’Italia di quegli anni (ma anche di oggi), che il regista conosceva molto bene “grazie” alle sue origini aristocratiche.
Moravia, autore del racconto da cui è tratta la storia del film, dice che ‘ciò che non attrae il nostro sguardo è come se non esistesse’: ed è esattamente quello che accade a una delle due protagoniste che, in piena crisi di coppia, diventa via via sempre più trasparente agli occhi del marito, come se diventasse davvero invisibile, lasciando spazio a un’altra donna.
Tra fastosi salotti lombardi pieni di borghesi annoiati e velatamente torbidi, questa pellicola è il riassunto perfetto di tutti gli archetipi del cinema erotico/intellettuale sessantottino italiano e mischia sapientemente la fine di un amore che viene raccontata in maniera metafisica e onirica ma anche dolorosa tramite gli occhi di una moglie che vede suo marito allontanarsi sempre più, e come critica sociale e liberazione sessuale.
Non di facile interpretazione e con diversi livelli di lettura, al finale apparentemente tragico che si gli si può attribuire dopo una prima visione, subentra un secondo aspetto simbolico e psicologico che si nasconde dietro le due protagoniste, dove l’una non esisterebbe senza l’altra: una variazione sul tema del doppio, della dualità di ogni persona, della scissione in due esseri opposti e inconciliabili come una forma di sopravvivenza al tempo che tutto cambia e tutto sgretola.
Purtroppo a poco più di 50 anni dall’uscita di questo film possiamo dire che, oltre alla Ralli, anche la pellicola stessa e il suo regista sono diventati ingiustamente invisibili ai più.
Greta Boschetto
https://re-movies.com/2020/01/12/la-donna-invisibile-1969-di-paolo-spinola/
Paolo Spinola (Genova, 1929 – Roma, 2005), regista, soggettista e sceneggiatore, entra nel cinema nel 1952.
Oggi dimenticato, è stato regista di quattro film raffinati dove i momenti di erotismo erano caratterizzati da una forte introspezione psicologica.
Fino al 1958 la sua attività principale è quella di aiuto regista di Gianni Franciolini: Il mondo le condanna (1952), Villa Borghese (1953), Racconti Romani (1955), Peccato di castità (1956), Racconti d’estate (1958). Collabora anche con Giorgio Capitani (Piscatore ’e Pusillipo, 1954), Luigi Comencini (La finestra sul Luna Park, 1956) e Riccardo Freda (Agguato a Tangeri, 1957, di cui è anche soggettista e sceneggiatore).
Le quattro regie di Paolo Spinola
L’esordio alla regia di Paolo Spinola è datato 1964 con un film che la critica reputa un piccolo capolavoro: La fuga. Protagonista Giovanna Ralli, conosciuta da Spinola sul set di Franciolini di Villa Borghese (1953).
Il promettente regista, purtroppo per il cinema italiano, realizza solo quattro pellicole d’autore, dal 1964 al 1977, caratterizzati da un accurato lavoro di introspezione psicologica dell’animo femminile.
Il secondo film, L’estate (1966), per il tema torbido del rapporto tra una figliastra sedicenne e un ricco industriale ebbe noie con la censura e un divieto ai minori.
La donna invisibile (1969), terza fatica, venne sequestrato dopo il primo giorno di proiezione e fermato per ben due mesi. La censura voleva il taglio di otto sequenze, a cominciare dai titoli di testa che vedono numerosi nudi parziali di Giovanna Ralli: circa venticinque minuti di materiale. Il film fu assolto con una sentenza storica che interpretava in maniera ampia il concetto di comune senso del pudore.
Paolo Spinola cura sempre il soggetto e può dirsi un autore, il suo quarto film è Un giorno alla fine d’ottobre (1977).
I temi portanti del suo cinema sono la descrizione critica dell’alta borghesia, ma anche un’attenta analisi di singolari figure femminili.
Abbiamo reperito una testimonianza di Paolo Spinola resa a Ester De Miro nel volume Genova in celluloide. I registi liguri (Comune di Genova, 1984), curato da Claudio Bertieri e Marco Salotti: “L’idea di fare cinema è nata per caso, come per molti altri: forse perché ero stato ad Alassio durante la guerra e lì avevo fatto amicizia con il figlio di Gino Cervi, che voleva andare a Roma per fare il produttore. Così mi sono lasciato coinvolgere e sono andato a Roma con lui. Ho iniziato la mia attività nel cinema come aiuto regista di Franciolini soprattutto, ma anche di Freda, Capitani, Comencini. […] In quel periodo facevo anche qualche sceneggiatura con Amidei e dei documentari. Poi con Gigi Malerba avevamo costituito una società pubblicitaria, facevamo degli short […]. Ho realizzato il primo film, La fuga, nel 1963: ho scritto io il soggetto e la sceneggiatura. L’interprete […] era Giovanna Ralli, una professionista perfetta, secondo me la prima attrice italiana per bravura: per questo film vinse anche il Nastro d’argento della stagione, come migliore attrice protagonista. L’estate è del 1966: anche questo film è nato da un mio soggetto, mentre la sceneggiatura l’ho scritta con Marco Ferreri. Veramente avevo fatto una prima sceneggiatura con Amidei, molto brutta… anzi bellissima sul piano dello spettacolo, ma non era quello che volevo fare io. […] Secondo me nel cinema moderno lo spettacolo deve nascere dall’osservazione della realtà. I conflitti non devono essere drammatizzati ed enfatizzati, ma devono scaturire con naturalezza. L’idea della storia mi era venuta dopo essere capitato con Amidei su una barca di alcuni amici […]. La parte maschile è stata […] affidata a Enrico Maria Salerno, che è bravo […]; per la parte della figlia ho trovato una ragazzina al Piper, Mita Medici, che non sapeva certo recitare, non aveva mai fatto niente, ma aveva un suo peso… aveva qualcosa… non aveva tecnica, ma la guardavi e bastava… non so, è difficile spiegare. Il 1969 è l’anno de La donna invisibile: l’ha prodotto la Clesi Cinematografica dopo il rifiuto di Enzo Doria al quale l’avevamo proposto […]. Per fare cinema l’importante è avere delle storie. Il guaio oggi è nei costi, che sono troppo alti, e per avere dei finanziamenti bisogna dare delle garanzia e rischiare di persona; un pittore, uno scrittore, usa la propria tela o la propria carta, fa il suo quadro o il suo libro e poi può venderlo o no, ma un film lo devi vendere prima… a essere sincero oggi non sarei disposto a investire soldi nel cinema”.
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La donna invisibile (1969)
Laura (Ralli) si sente trascurata dal marito Andrea (Tranquilli), contestato professore universitario, sembra quasi che per lui non esista, una vera e propria donna invisibile, persino quando confessa il suo tradimento con il capo degli studenti agitatori.
La misteriosa Delfina (Gravina) – non si sa perché – vive con la coppia, ed è una presenza forte e disinibita che affascina Andrea.
Nel finale, durante una battuta di caccia, il marito uccide la moglie, non si rende conto dell’accaduto e se ne va con Delfina, chiamandola Laura.
Il racconto di Moravia da cui parte la sceneggiatura “è così misterioso che non ci capisco niente neppure io”, disse l’autore.
Non si può raccontare in termini razionali un lavoro psicologico-metaforico, parente stretto del cinema di Ferreri e Antonioni, ma anche di Visconti, per ricercatezza formale e intellettuale. La storia parla di un triangolo amoroso in una famiglia borghese, di una coppia in crisi, di un marito che si porta l’amante in casa trascurando la moglie e di un gruppo di amici borghesi, annoiati e inutili, che vivono una vita vuota composta di tradimenti e piccole trasgressioni.
In realtà la donna che vive con la coppia in crisi non esiste, è soltanto il doppio psicologico della moglie, il carattere che vorrebbe per suscitare ancora interessante in un marito annoiato.
Laura è introversa e repressa per quanto l’altra figura femminile è aperta e solare, le attenzioni del marito sono tutte per lei, che consiglia alla moglie come vestirsi, truccarsi e pettinarsi per piacere al compagno. Finale fantastico, non spiegabile in maniera razionale, con Laura uccisa da marito e amante durante un simulato incidente di caccia. Fuor di metafora sarebbe la moglie libera da inibizioni che riesce a vivere accanto al marito senza repressioni. Emblematico il fantasma di Laura che si stacca dal corpo senza vita e si allontana nella macchia mentre sullo schermo campeggia la parola fine.
La donna invisibile è un film psicologico, che tratteggia ancora una volta una figura complessa di donna, dopo i ritratti ricchi di sfaccettature che il regista aveva regalato con La fuga e L’estate. Paolo
Spinola si ritaglia un posto nel cinema d’autore, nonostante le poche pellicole in carriera, come indagatore dei vizi borghesi e dell’animo femminile. In questo caso è aiutato da un racconto simbolico di Alberto Moravia e da una sceneggiatura di taglio fantastico scritta da Dacia Maraini con la collaborazione di Ottavio Jemma.
Interessanti alcune parti erotiche che impongono un divieto ai minori di anni 18 alla solerte censura del tempo, attenta più ai messaggi sovversivi e poco rassicuranti che ai centimetri di pelle esposta. In ogni caso Giovanna Ralli è stupenda nelle sequenze iniziali che la ritraggono in una sorta di strip-tease utile a far capire quanto sia invisibile agli occhi di un marito che nota una macchia sulla parete ma non il suo corpo nudo.
Un altra sequenza erotica vede la Ralli sdraiata sul tavolo di cucina, mentre il marito con un coltello in mano taglia i lacci del reggiseno e Delfina le sfila le mutandine.
Carla Gravina non è da meno, mostrando le lunghe gambe e amoreggiando con Tranquilli in una sequenza che forse è soltanto onirica, immaginata dalla moglie. Anita Sanders mostra il seno in rapide sequenze di nudo e dà vita alla borghese senza inibizioni che tradisce il marito e lo lascia libero di fare altrettanto.
Datata la parte politico-sociale con il ritratto dello studente ricco che fa il contestatore e si porta a letto la moglie del professore.
Il clima del 1968 si sente ed è ben riprodotto, tra contestazioni alla Scala di Milano e nelle aule scolastiche, ma è interessante solo come reperto di un’epoca e di un cambiamento che cominciava a farsi strada.
Colonna sonora suadente e orecchiabile di Morricone, dal taglio sinfonico, note struggenti di piano che accompagnano un dramma interiore. Per la prima volta fotografia a colori in un film di Spinola, curata senza sbavature da Silvano Ippoliti, ma erano più convincenti gli intensi bianco e nero dei lavori precedenti.
Tecnica di regia classica ed elegante, tra primi piani, panoramiche, decisi piani sequenza, lunghi silenzi e giochi di sguardi, accompagnata da una ferma direzione di ottimi attori. Il personaggio più complesso, quello che interessa al regista, è caratterizzato da Giovanna Ralli che sfoggia una delle sue interpretazioni migliori.
Carla Gravina è altrettanto brava nei panni del suo doppio trasgressivo e disinibito, mentre sono meno importanti un decorativo Silvano Tranquilli e la bella Anita Sanders. Temi fondamentali dal taglio antonioniano: crisi del matrimonio, incomunicabilità tra marito e moglie, vizi della borghesia, un pizzico di femminismo e un erotismo torbido che permea tutta la storia.
Interpretazione autentica del regista: “Questo non è un film. Non come tutti gli altri, almeno. Si tratta di una storia misteriosa: il mistero mi affascina e a un fatto misterioso e affascinante non si chiedono né si possono dare delle spiegazioni. La donna invisibile: questo è il titolo del film. Però questo non significa che questa donna sia davvero invisibile. Infatti si vede, non solo, ma vive la sua vita, compie delle azioni tangibili, ciononostante, non esiste. Non esiste agli occhi del marito, non esiste per gli altri i quali non si accorgono che lei è lì, presente, insieme a loro. […] Diciamo […] che i personaggi femminili sono tre. Ma potrebbero essere anche due in quanto, un personaggio, quello interpretato dalla Gravina, non sono certo che esiste nella realtà. […] La donna invisibile esiste. Il marito non la vede ma esiste. Gli altri personaggi non la vedono ma esiste. Anche se, poi, diventerà inesistente, ma questo è un fatto misterioso, e io avverto la necessità di introdurre un elemento nuovo nel cinema italiano. La realtà sempre ai confini con l’irrealtà, fatti, cose, persone che diventano invisibili, irreali, che esistono e che non esistono, tutto questo è a mio parere assolutamente avvincente e convincente. Al punto tale che, a volte, mi chiedo se io stesso esisto veramente”.
Un’altra critica interessante: “Occorre subito riconoscere a Spinola una cifra di eleganza (non solo decorativa, ma intellettuale) che, come lo stesso autore aveva già dimostrato nei suoi due film precedenti, La fuga e L’estate, forse trova un solo paragone con Luchino Visconti nel fatto di esprimersi con aderenza perfetta e persuasiva in quegli ambienti dell’alta borghesia (lombarda, nella fattispecie) dove tanti altri nostri registi, come si sa, usano goffamente inciampare. Silvano Tranquilli, Anita Sanders e gli altri hanno una voluta genericità di tipi esemplari di un ambiente. L’interpretazione si concentra nel doppio aspetto della donna protagonista: che da una parte ha la sfumata e sottile inquietudine, la tristezza, il senso della sconfitta, che si riflettono nelle sensibilissime espressioni (e nei bellissimi occhi) di Giovanna Ralli, mentre dall’altra parte trova nel temperamento schietto e autentico di Carla Gravina un’acuta nervosità di tratto e una notevole ricchezza d’impulsi e di vibrazioni” (Guglielmino).
Paolo Mereghetti concede due stelle: “Il regista, Ottavio Jemma e Dacia Maraini adattano un racconto di Alberto Moravia, che dall’ovvia allegoria femminista sullo sfascio della coppia vorrebbe trapassare nel fantastico psicologico. Lambiccato, datato nelle annotazioni sociologiche (impagabile lo studente contestatore che vive in una casa lussuosa) ma dotato del fascino del reperto d’epoca, spia di un mondo che stava cambiando e di un cinema che cercava – sia pure in modo velleitario – nuove strade. Le musiche di Ennio Morricone sembra di averle sentite cento volte, ma sono belle”.
Morando Morandini concede due stelle, ma non motiva. Conferma il giudizio Pino Farinotti: “Fumosa storia, con finale tragico, di una crisi coniugale, nata dal conflitto interiore della protagonista tra come si vede nella realtà e come invece vorrebbe essere”. Una critica contemporanea, reperita su “I Film Italiani” di Poppi – Pecorari: “La paradossale situazione suggerita da un racconto di Moravia, è il punto di partenza della storia di una crisi coniugale narrata attraverso continui scambi tra verità oggettiva e verità soggettiva, le quali si confondono e si contraddicono in un’ambigua e suggestiva dialettica piena di insidie e di interrogativi” (D. Meccoli, Epoca del 14/12/1969).
https://www.giornalepop.it/la-raffinata-trasgressione-di-paolo-spinola/
Many thanks
ResponderEliminarno encuentro el correo electrónico me gustaría ponerme en contacto contigo
ResponderEliminarelcineitaliano@gmail.com
EliminarMega.nz dice che i link non esistono
ResponderEliminarModificati tutti i link
EliminarCiao Amarcord si possono avere i link funzionanti?.Grazie
ResponderEliminarModificati tutti i link
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