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Adesso si spiega perché si fosse inabissato negli anni Settanta e non fosse mai più riemerso alla luce. E perché la Sony, meritoria per averne pubblicato un ottimo dvd diversi anni fa, abbia fatto tira e molla per molti mesi, prima di risolversi a far uscire questo benedetto disco di Nené. Immaginatevi la scena: Leonora Fani – che la fotografia di Pasqualino De Sanctis rende bella come non è mai stata in nessun altro film – è nel letto con Sven Valsecchi, il bambino votato ai massacri nei lacrima-movie, tipo Questo sì che è amore, il quale aveva all’epoca nove anni. Siccome lui ha spiato la madre (Paola Senatore, lei pure al culmine della forma) mentre, con le natiche ricoperte dai segni del frustino del padre masochista (Tino Schirinzi, che a tratti pare un sosia del Berlusca), si chinava per succhiarlo al genitore, vuol sapere che pratica sia mai quella e Nené, cioè la Fani – cuginetta orfana che gira per casa con il corpo che le brucia – prontamente lo soddisfa, scomparendo sotto le coperte. Poi desiste: si capisce, l’età…
In un’altra situazione analoga, Nené fa palpare a Ju – così si chiama Valsecchi, e sua sorella (anche nella vita) Vittoria si chiama Pa: il motivo ci sarà anche, ma ci sfugge – tette e natura, e quando il piccolo si volta dall’altra parte per dormire, comincia a masturbarsi:«Perché spingi?», le domanda la voce dell’innocenza… É vero che non c’è compiacimento e che Salvatore Samperi, pur restando apparentemente nel solito perimetro di Malizia, gira un film metafisico, persino astratto nella sostanza erotica, e certo più vicino a Cuore di mamma che non ai suoi susseguenti lessici sexy-famigliari. Ma è altresì vero che, se nel 1977 la percezione di rapporti intimi che riguardassero dei minori era di un certo tipo e non sconvolgeva più di tanto le coscienze (vedi Le farò da padre, vedi Maladolescenza, vedi L’immoralità), oggi, in Italia, si va al rogo per l’infrazione di ben minori tabù e con ben inferiore esplicitezza.
Invece, la censura, se colpì all’epoca Nenè, colpì evidentemente i nudi della Fani, della quale è invero bizzarro che non appaia in un solo fotogramma, neanche per sbaglio, il regale “pettignone”, mentre basta sfogliare il Playmen in cui veniva pubblicizzato l’avvento del film per trovare immagini a iosa di questa Nené formato nature, per esempio nel corso degli approcci con il mulatto Rodi (Alberto Cancemi). Il colore storico, cioè l’Italia alla vigilia delle votazioni del 1948, si avverte pochissimo, ottuso dal fascino scenografico di interni cadenti e di serre abbandonate, dove il consumarsi dell’amore è rito furtivo e per nulla gioioso. In sintesi, uno strano Samperi, da scoprire con piacere e interesse, che forse non sa, né gli importa, dove andare a parare con il suo film “di formazione” – derivato da un romanzo di Cesare Lanza e musicato da Francesco Guccini – ma che, esteticamente, ciurla benissimo nel manico. PS: Il vm 14 è il divieto d’epoca: nessun sospetto, quindi, di derubricazione.
Davide Pulici
https://www.nocturno.it/movie/nene/
Ciò che più conta in questa opera della maturità di Samperi è il sapiente parallelismo tracciato tra l’evoluzione socio-politico-antropologica di un paese messo in ginocchio dall’esito disastroso della guerra e la crescita umana, sentimentale e sessuale della giovane protagonista, la quale si ritroverà a fare i conti con un moralismo di matrice cattolica che ne tarperà l’entusiasmo
Salvatore Samperi, il regista di grandi successi quali Malizia (1973), che consacrò Laura Antonelli, e Sturmtruppen (1976), trasposizione del celebre fumetto di Bonvi, nel 1977 realizzava Nenè, film crepuscolare, animato da una decisa critica nei confronti della deriva politica italiana post-bellica, tratto dall’omonimo romanzo di Cesare Lanza, e interpretato da Paola Senatore, Leonora Fani, Rita Savagnone, Tino Schirinzi, e i bambini Sven e Vittoria Valsecchi. Partecipò anche, seppur stranamente non accreditato nei titoli di testa, Ugo Tognazzi, nei panni di un barbiere veracemente comunista che ripone tutte le speranze nelle elezioni del 18 Aprile 1948, per un cambiamento di rotta che ridisegni le sorti del paese.
Samperi dipinge un efficace affresco di un – per dirla con Visconti – “gruppo di famiglia in un interno”, facendoci penetrare in un micro cosmo borghese ipocrita e vagamente osceno, in cui il padre-padrone (Schirinzi), segnato dalla guerra e frustrato da un lavoro poco redditizio, oltre che dalle continue lamentele della moglie, detta legge e infligge punizioni (soprattutto corporali). Non poteva mancare, inoltre, il tipico risvolto erotico del cinema del regista padovano, laddove la giovane nipote Nenè (Fani) vive i primi turbamenti amorosi con un ragazzetto spiantato, rendendo partecipe il piccolo Ju (Valsecchi), che ne è in segreto innamorato. Colpisce la licenziosità con cui viene affrontata la sessualità adolescenziale (assistiamo a una ‘scandalosissima’ fellatio praticata da Nenè al piccolo Ju), il che rivela il profondo mutamento culturale avvenuto negli ultimi decenni, laddove all’epoca era possibile trattare certe questioni senza provocare eccessivo sconcerto, tant’è che il film venne vietato ‘solo’ ai minori di 14 anni. Ma ciò che più conta in questa opera della maturità è il sapiente parallelismo tracciato tra l’evoluzione socio-politico-antropologica di un paese messo in ginocchio dall’esito disastroso della guerra e la crescita umana, sentimentale e sessuale della giovane protagonista, la quale si ritroverà a fare i conti con un moralismo di matrice cattolica che ne tarperà l’entusiasmo. Assai riuscita, in tal senso, è la sequenza della messa in cui, durante la predica, il sacerdote officiante, a ridosso delle elezioni, invita apertamente i fedeli a votare per la Democrazia Cristiana, tenendo un vero e proprio comizio, e Samperi, con un fulmineo innesto di alcuni fotogrammi di una precedente scena in cui avevamo scorto la madre durante un rapporto orale con il padre (vediamo anche il corpo di lei segnato dalle vergate inferte dall’uomo), dissacra e mette alla berlina un modo di plagiare le menti che allora era molto in voga, giacché i preti rappresentavano la naturale estensione del potere politico.
Tognazzi, sebbene appaia solo alla fine, fornisce ancora una volta una splendida interpretazione, prima incarnado l’entusiasmo per un cambiamento tanto agognato e, infine, prendendo atto della sconfitta, pur continuando a credere nella possibilità di una riscossa, da prepararsi attraverso un lento ma costante lavoro di aggregazione della masse e di diffusione delle idee socialiste. Parallelamente anche l’esito del primo incontro carnale di Nenè è fallimentare, giacché lo zio la sorprende durante l’atto e, ancora una volta, la percuote disperatamente, sebbene anch’egli si renda conto dell’eccesso della sua reazione. Il film si chiude con la rabbia di Ju, che distrugge la serra che frequentava con la cugina, un piccolo pezzo di paradiso, non ancora contaminato dal peccato, urlando a squarciagola di non voler crescere.
Insomma, il film di Samperi è assai significativo nella misura in cui fotografa con esattezza, ma anche partecipazione, un momento storico dove si decideva l’avvenire di un paese che si sarebbe arroccato per un cinquantennio, complice la sudditanza agli Stati Uniti, dietro lo scudo crociato del partito di De Gasperi, inaugurando quel percorso di sviluppo economico e degenerazione antropologica che si concluse (apparentemente) nei primi anni novanta con la nascita della ‘seconda repubblica’. Splendide la fotografia di Pasqualino De Santis e la musica di Francesco Guccini (che aveva creduto nella bontà dell’operazione politico-culturale del regista).
Luca Biscontini
https://www.taxidrivers.it/80550/preview/dvdbluray/nene-salvatore-samperi-dvd.html
Italia, poco prima delle elezioni del 1948. Il piccolo Ju vive in miseria con babbo, mamma e una sorella. La famiglia decide di accogliere in casa Nenè, cuginetta pressoché orfana adorata da Ju, più grande di lui di qualche anno. Tra i due s’instaura un rapporto protettivo e difensivo dal clima pesante della casa, mentre entrambi nutrono giocose curiosità per la sfera sessuale. L’esito delle elezioni sarà il suggello a un racconto di delusioni pubbliche e private… [sinossi]
Spesso associato al cinema di Marco Bellocchio, Salvatore Samperi è stato indubbiamente una figura meno rigorosa e coerente rispetto all’autore piacentino. A ben vedere le similitudini tra le forme di cinema dei due non sono nemmeno così radicate, se non in un comune spirito di provocazione antiborghese e scandaglio delle dinamiche del Potere, a partire dalla prima cellula di esso, dal primo contesto in cui l’essere umano viene a confrontarsi con le regole, il senso del dovere, il senso di colpa, la repressione del desiderio, la nevrosi: la famiglia. Ma a differenza di Bellocchio Samperi non ha disdegnato in più occasioni il flirt col cinema commerciale, a cominciare proprio dall’enorme successo di pubblico che fu Malizia (1973). Pure il notissimo Grazie zia (1968), sviluppato su linee più rigorose, si apre in realtà a letture abbastanza immediate, così come accade in Nenè (1977), ennesimo apologo di incerta e confusa identità sui meccanismi di repressione della famiglia borghese.
Tratto da un romanzo di Cesare Lanza, giornalista di lungo corso anche autore e opinionista negli anni 2000 del Festival di Sanremo e delle domeniche pomeriggio in tv, Nenè non è esente da meriti, ma si configura come una prevedibile sommatoria di tematiche e figure del cinema antiborghese anni Settanta di casa nostra ormai divenuti luoghi comuni narrativi nel corso di un quindicennio. Al fondo la polemica è sempre la stessa e ben riconoscibile, gli strumenti di provocazione pure, indeboliti però dalla loro iterazione, dal loro riproporsi come materiale già noto e in buona parte svuotato.
La stanchezza è del resto ben ravvisabile nella fuga di Samperi verso un discontinuo calligrafismo, che sembra rileggere in chiavi garbate e accessibili il furore dell’iconoclastia antiborghese, antifamiliare e anticlericale. Da un lato, tale adesione a calligrafie e crepuscolarismi denota anche un probabile cambio di passo, un ripiegamento sui toni sconsolati della sconfitta; dall’altro, sembra di percepire anche la volontà di non perdere il pubblico, aderendo a un’idea di bella scrittura filmica dal gusto decadente. Benché l’apparato espressivo si conservi spesso nervoso con ampio ricorso a imprevedibili squarci di macchina a mano, è altrettanto evidente il gusto per la bella inquadratura, l’ambientazione corretta, il profilmico adeguato a un’epoca narrata. Anche se, va detto, la ricostruzione storica si mantiene piuttosto approssimativa, un po’ nella fretta dei costumi, un po’ nel linguaggio dei personaggi. Un po’, anche, nell’improbabile caschetto biondo del bambino protagonista, che fa tanto anni Settanta e pochissimo anni Quaranta.
Nenè è un film strano, che suscita nostalgie sul piano produttivo e apre uno squarcio su un cinema italiano perduto, radicato in una libertà espressiva davvero impensabile ai nostri giorni. Oggigiorno a pochi eletti sarebbe permesso (forse) di affrontare temi così scottanti e delicati con altrettanta franchezza espressiva nell’ambito di una ricca produzione. È un film strano, volenterosamente attento a costumi e arredamenti, precisamente collocato in un tempo (gli ultimi giorni prima delle elezioni del ’48, disastrose per il Fronte Popolare di Palmiro Togliatti) ma volutamente rarefatto nello spazio (la collocazione geografica è imprecisata), con la chiara intenzione di trasformare il racconto in un apologo allegorico sull’Italia intera. Ne è prova l’atmosfera del tutto sospesa riservata alla villa misteriosa in cui avvengono strane frequentazioni, sorta di coacervo di tutto ciò che è rifiutato dalla società borghese.
È il tipico film italiano della contestazione volgarizzata (o post-contestazione) che cerca di parlare di tutto tramite macro-categorie allegoriche. Le contaminazioni narrative sono spesso fonte di esperienze cinematografiche entusiasmanti, ma Nenè lascia la netta sensazione dell’accumulo acritico, in cui dei capisaldi della contestazione nulla deve mancare, secondo il principio dell’elenco stanco e poco ispirato. Così, accanto al racconto di una crescita (anzi, di una non-crescita) e della scoperta di se stessi, si affianca per il buon peso il tema razziale e della diversità, con qualche cenno implicito al colonialismo africano (e ci sta pure la sequenza, pesantemente allusiva, del “padrone bianco” che frusta lo “schiavo nero”). Così, tramite dialoghi fortemente didascalici, si affastella anche il tema dell’emancipazione femminile, sfruttando le frustrazioni di una madre e di una maestra mortificata dall’ignoto orgasmo che mai provò. Così, soprattutto, si cerca la provocazione antiborghese e antifamiliare elencando il solito bigino di violenze e perversioni tra le mura di casa, dalle punizioni corporali al sadomasochismo tra marito e moglie alla cintura di castità. Così, si ravvisano sprazzi di uno sfiatato grottesco aggressivo, riservato ovviamente alle figure genitoriali. Così, non manca all’appello nemmeno la zampata contro la Chiesa, col prete che si lancia in un comizio elettorale durante la Messa e la famiglia che si acchitta a foto di gruppo prima di recarsi alla funzione. Così, il finale può solo essere anarchico e distruttivo. Così, soprattutto, viene imbastita un’allegoria ingombrante e declamata tra una vicenda privata di non-crescita e l’intera nazione che, vuol suggerire Samperi, con le elezioni del ’48 decise di non crescere. È anche la perdita dell’innocenza e degli entusiasmi, spazzati via da un paese che si dette in mano alla Democrazia Cristiana per un quarantennio (e mai sapremo quanto fu pilotato quel risultato elettorale).
In mezzo a tutto questo c’è anche molto di buono, ovvero quel che costituisce la principale materia narrativa e che annaspa purtroppo un po’ soffocata da tutto il resto. La vicenda infatti vede il piccolo Ju confrontarsi con la cuginetta Nenè, più grande di qualche anno e ospitata in casa perché prossima a ritrovarsi orfana. Nel contesto dell’Italia del dopoguerra la famiglia di Ju vive in miseria (ma, sebbene la madre se ne lamenti di continuo, la dimora è un bel casale dal gusto decadente), con padre patetico e violento, e madre intollerabilmente menagrama. L’arrivo di Nenè scatena in Ju enorme curiosità anche sul piano sessuale, ma tra i due s’innesca una dimensione di gioco del tutto innocente, una sorta di rifugio dove isolarsi dalle brutture del mondo degli adulti. In questo Samperi riserva davvero i momenti migliori, adottando un bel tono franco e delicato al contempo.
Samperi ha il coraggio di chiamare le cose col loro nome e di affrontare limpidamente uno dei temi più impervi specialmente al cinema, che è arte del vedere e che quindi conserva una sua brusca immediatezza rispetto ad altre forme narrative. Nenè non si nasconde nell’ellissi o nel giro di parole, affronta di petto la sua materia ma inscrivendola in una pregnante nota giocosa. Restano impressi certi sguardi malinconici a tavola tra Ju e Nenè, legati da una complicità che è prima di tutto difesa e protezione. Samperi si rivela un enorme direttore di bambini (il piccolo Sven Valsecchi è semplicemente bravissimo, capace di azzeccare toni malinconici con evidente consapevolezza come uno scafato attore adulto), ma Nenè per l’appunto è un film strano, perché sostanzialmente sembra rispondere a più committenti, a troppe esigenze simultanee. Certe provocazioni restano gratuite e superficiali; da un lato emanano facili afrori antiborghesi aggiunti per il buon peso con evidente ridondanza, dall’altro emergono chiari ammiccamenti al largo pubblico (dopo tanta delicatezza, la sortita sulla cintura di castità appare una vera stonatura, ugualmente infelice sia come provocazione autoriale sia come concessione alle smanie di proibito della platea popolare).
In ultima analisi, Nenè è un film sbagliato, continuamente indeciso tra l’astrazione (vedasi certe scelte stilistiche, come l’attacco al padre infermo a letto tramite un’inquadratura deformata sul resto della famiglia minacciosamente coalizzata, o certe uscite surreali come la preparazione per la Messa) e l’estrema credibilità di altri brani (il rapporto tra Ju e Nenè è a tratti sincero e commovente). Un apologo che si trasforma pressoché in fumettone per la foga di dire tutto, parlare di tutto, vittima di una costruzione afosamente programmatica (decisamente troppi gli adulti che scelgono il piccolo Ju come confidente delle loro frustrazioni, sessuali e non). Del resto basta scorrere i nomi del cast per farsi un’idea di quanto le intenzioni a monte fossero eterogenee. Nenè è infatti l’esordio al cinema per Tino Schirinzi, nobilissimo attore che veniva dal Piccolo Teatro di Milano, affiancato nel ruolo di sua moglie da Paola Senatore, starlette della commedia sexy all’italiana, qui peraltro in vesti assai punitive, al centro di un clamoroso caso di miscasting.
Nel ruolo della cuginetta Nenè troviamo Leonora Fani, protagonista in quegli anni di una breve carriera nel cinema italiano di consumo con all’attivo qualche servizio fotografico per Playmen e Playboy. In un brillante cameo non accreditato fa capolino invece Ugo Tognazzi, al quale è riservato il bel ruolo del barbiere comunista annichilito dal risultato elettorale. Un frullato di istanze anche in mezzo agli attori, insomma, che rispecchia piuttosto fedelmente lo spirito di tutta un’operazione, protesa alla nobilitazione di se stessa anche tramite le musiche (non memorabili, invero) di Francesco Guccini. Al fondo si avverte ancora sincerità e buonafede, e del resto Samperi farà ben di peggio negli anni Ottanta. Ma in Nenè non si supera quasi mai il prevedibile, la superficie, lo stanco repertorio degli spunti provocatori, in cui galleggia, quasi estraneo al resto, il bel ritratto del piccolo Ju.
Massimiliano Schiavoni
https://quinlan.it/2016/10/26/nene/
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