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lunes, 20 de septiembre de 2021

Il mio amico Benito - Giorgio Bianchi (1962)

 

TÍTULO ORIGINAL
Il mio amico Benito
AÑO
1962
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
100 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Giorgio Bianchi
GUIÓN
Giorgio Bianchi, Oreste Biancoli, Luigi Magni, Stefano Strucchi. Idea: Amleto Nobili
MÚSICA
Armando Trovajoli
FOTOGRAFÍA
Tino Santoni (B&W)
REPARTO
Peppino De Filippo, Mario Carotenuto, Didi Perego, Mac Ronay, Luigi Pavese, Franco Giacobini, Luigi de Filippo, Giuseppe Porelli, Carlo Pisacane, Riccardo Billi, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia
PRODUCTORA
Cinex
GÉNERO
Comedia | Sátira

Sinopsis
Un empleado solterón, sobreprotegido por su madre, y del que sus compañeros se burlan en el trabajo, está obsesionado con ascender. Para ello intentará desde tratar de conseguir esposa hasta de aprovecharse de una foto en la que sale con un entonces joven Mussolini. (FILMAFFINITY)
 
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Il mio amico Benito è l’ottavo film interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ma si tratta solo di una comparsata da generici, nel ruolo di due attentatori alla vita di Mussolini, che dura lo spazio di una breve sequenza. Il film di Giorgio Bianchi è una commedia garbata e impegnata, ben ambientata nel periodo fascista, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, che vede mattatore un grande Peppino De Filippo, nei panni di un modesto impiegato con il sogno di fare carriera. Tutto è perfetto sin dalle prime sequenze che inquadrano Peppino De Filippo (l’impiegato Di Gennaro) mentre sale una lunga scalinata per andare a lavoro, con una musica comica in sottofondo sulle note di All’armi siam fascisti. In ufficio non si può dare del lei ma è obbligatorio il voi, come da regola del nuovo regime, e alcune scene dopo vedremo addirittura gli impiegati in divisa militare. De Filippo è una mezza manica derisa da tutti, soprattutto dai perfidi colleghi Luigi Pavese (diligente come sempre) e Luigi De Filippo (il figlio del grande attore napoletano), mentre il solo amico su cui può contare è l’imbranato Mac Ronay (straordinaria maschera lunare).

Lo scherzo più feroce è quello della finta promozione, proprio mentre si sta insediando il vero capo ufficio, il fascistissimo Mario Carotenuto. Il nostro eroe si rende conto che per fare carriera deve prendere moglie, perché non ha fatto la Marcia su Roma, si è iscritto al partito quando è diventato obbligatorio, deve contribuire ai bisogni della patria almeno con i  figli. Altre parti comiche sul tema matrimoniale sono i colleghi che mandano De Filippo in una casa di tolleranza, fissando un appuntamento con una prostituta, e l’incontro con un omosessuale che aveva pubblicato un annuncio sul giornale. Carotenuto è bravissimo come inflessibile capo ufficio, che sospetta di omosessualità De Filippo e finisce per presentargli la sorella Didi Perego (dal patriottico nome Italia) combinando il matrimonio. Ottima l’ambientazione d’epoca, sottolineata dalla canzone Quando canta Rabagliati fa così, musica d’atmosfera e una sala da ballo vecchia maniera. Alberto Rabagliati canta la canzone dal vivo e conferisce un tocco di swing a una spumeggiante colonna sonora composta da Luciano Tajoli. La svolta comica arriva quando il nostro impiegato scopre di aver combattuto la Prima Guerra Mondiale a fianco di Benito Mussolini, perché trova una foto che li ritrae insieme in trincera. La famiglia insiste perché si faccia avanti e chieda un appuntamento al duce per ottenere una promozione e favori per il resto del gruppo. Tra l’altro Carotenuto si è messo nei guai per aver raccontato una barzelletta sul fascismo a un federale ed è stato licenziato dal lavoro. Pretende di riavere il posto grazie all’amicizia di De Filippo con il duce e nel frattempo si insedia a casa sua, ospite non gradito.

La lettera al duce scritta da De Filippo ricorda analoga situazione di Totò, Peppino e la malafemmina (1956) di Camillo Mastrocinque, anche se la vis comica è minore. Alcune battute giocano su facili qui pro quo: “Un’amicizia in trincea nata sul Carso”, dice De Filippo, ripetendo due volte la parola Carso. Tiberio Murgia è un siciliano impiegato nella polizia politica (Ovra) che indaga su De Filippo, insospettito dall’ossessiva ricerca del duce. Riccardo Billi è un credibile gerarca fascista, ma anche la sua parte, al pari di Franco e Ciccio, è rapida e poco incisiva. De Filippo tenta in ogni modo di farsi ricevere da “lui”, ma non ci riesce, inventa un appuntamento a Villa Torlonia e finge di salutare il duce dal cancello per imbrogliare il cognato. I servizi segreti lo individuano e lo mettono in galera per due giorni, ma i familiari pensano che sia stato invitato a casa del suo amico Benito. Insieme al fido collega Roney mette in scena un salvataggio sul Tevere, ma la medaglia la valore gli viene consegnata da un gerarca che recita un discorso intriso di retorica fascista da manuale. Giorgio Bianchi si supera quando inserisce sequenze d’epoca con la folla festante che corre ad ascoltare il discorso del duce sotto le finestre di Palazzo Venezia e le monta sapientemente con la scena in cui De Filippo riesce a entrare nell’ufficio di Mussolini. Il finale è toccante, De Filippo si rende conto che il duce ha deciso di entrare in guerra, vede sulla scrivania la foto in cui sono ritratti insieme e cancella il suo volto con l’inchiostro. Fantastica la mimica dell’attore che con un rapido gesto e una smorfia del volto tratteggia tutto il suo disappunto, che contrasta con le scene di giubilo della folla inconsapevole. “Siamo proprio diventati matti…”, ripete sconsolato a un poliziotto che lo rimprovera, ma non sta seguendo il suo ragionamento, sta pensando alla follia di una nuova guerra. Ettore Scola ne Una giornata particolare (1977) riprende una simile atmosfera raccontando la visita di Hitler al duce e l’incontro tra un uomo e una donna.

Il mio amico Benito è un ottimo film, a metà strada tra neorealismo rosa e pellicola di impegno civile, ma Giorgio Bianchi mixa elementi di commedia di costume a parti di vita quotidiana con sapiente mestiere da artigiano. Giorgio Bianchi (1904 - 1967) non è un regista tipico dei Franco & Ciccio movies, infatti dirige la coppia comica solo nel divertente Sedotti e bidonati (1965) e firma il soggetto de I due vigili (1968) di Giuseppe Orlandini, ma è un autore di tutto rispetto che si ricorda per molte commedie e film comici interpretati da Totò, Tognazzi, Fabrizi e De Filippo.

Tra i comprimari merita un cenno Mac Ronay, alias Germain Sauvard (1913 - 2004), attore e acrobata francese amato da intere generazioni di bambini per le apparizioni televisive nei panni di un bislacco prestigiatore. Ricordiamo Ronay nella trasmissione Studio Uno e come controparte di Silvan in Sin Salabim. In questo film interpreta il collega imbranato e addormentato di Peppino De Filippo, il solo che prova affetto per lui. Un altro caratterista interessante è il napoletano Carlo Pisacane (1891 - 1974), noto come Capannelle, che proviene dalla filodrammatica napoletana, ma tra gli anni Trenta e Settanta recita in oltre settanta film, interpretando ruoli da caratterista comico. Ne Il mio amico Benito interpreta un falso gerarca fascista che millanta amicizie importanti per concupire la madre di De Filippo (Emma Gramatica).

Paolo Mereghetti concede due stelle: “Farsa facile ma non da buttare via con De Filippo al suo meglio in quel suon involontario e quasi goffo distacco dalla mistica fascista (Lancia)”. Morando Morandini conferma due stelle, ma indica tre stelle come giudizio del pubblico: “Una delle tante commedie che negli anni Sessanta cercarono di sfruttare i temi dell’antifascismo e della Resistenza”. Tre stelle per Pino Farinotti, che è il più generoso, ma non esprime giudizi critici e si limita a raccontare la trama.

http://cinetecadicaino.blogspot.com/2012/06/il-mio-amico-benito-1962.html

Il periodo a cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, è quello cui al grande Peppino De Filippo, vengono proposti probabilmente i progetti migliori. Nel 1959 ha interpretato da protagonista assoluto “Arrangiatevi!”, ritenuta tra le più belle commedie all’italiana di sempre e nel 1962 ha interpretato il mediometraggio “Le tentazioni del dottor Antonio”, diretto dal maestro Federico Fellini. Dopo quella con Fellini, si presentò a Peppino un’altra ottima occasione, ovvero “Il mio amico Benito” di Giorgio Bianchi: da un soggetto che a Peppino era piaciuto molto. Si tratta di un incrocio fra le commedie impiegatizie alla Rascel (Il cappotto, Policarpo) e le contemporanee commedie storiche sul fascismo (dal Federale a Il cambio della guardia, da Anni ruggenti a La Marcia su Roma). Il film è una commedia spiritosa, controllata, non priva di mordente e dotata di una comicità abbastanza seria, dal tono amaro. Quella del Mio amico Benito è la storia di un travet d’epoca fascista che, ritrovandosi con una foto in cui appare, ai tempi della Grande Guerra, a fianco del futuro Duce, cerca in tutti i modi di farsi ricevere dal “suo amico Benito” per ottenere dai lui non clamorosi favori ma soltanto una modesta promozione a capufficio. Splendida comunque la prova di Peppino De Filippo, in quel suo “involontario e quasi goffo distacco dalla mistica fascista”, in un ruolo da solista dimesso e vagamente malinconico. E infatti Peppino dimostra tutto il suo talento in questo omino che ha sempre scale da salire sia a casa che in ufficio, quest’ennesimo proto-Fantozzi, questo soldato di tutte le guerre che alla fine rifiuta l’ultima (ma senza gesti clamorosi: soltanto cancellandosi da una fotografia, rassegnandosi a tornare nell’onesto anonimato). Appare ingiustificato allora, la dimenticanza in cui il film è caduto, ed anche lo scarso successo che ebbe all’epoca, specie se confrontato all’esaltazione di certi contemporanei film seri d’argomento fascista: ma si sa, prendere le cose serie sul ridere non è mai stata una peculiarità dell’intellighenzia italiana, molto più portata a prendere le cose ridicole sul serio.
https://associazioneladolcevita.wordpress.com/2018/03/31/sketch-tratto-da-il-mio-amico-benito1962-con-peppino-de-filippo/

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Giorgio Bianchi interviene nel filone storico-politico con Il mio amico Benito (feb. 1962; 100 min.), commedia amara di ambiente impiegatizio, collocata temporalmente tra il marzo 1940 e il 10 giugno 1940 e sceneggiata dal regista con Luigi Magni, Oreste Biancoli ed altri.
Vi si narrano le peripezie del triste impiegato Giuseppe Di Gennaro (Peppino De Filippo) il quale, assai poco “fascista”, attende da dieci anni la nomina a capufficio. Scapolo, solitario, poco incline a socializzare, l’uomo è oggetto di pesanti scherzi da parte dei colleghi. Nel frattempo il posto viene assegnato ad un borioso fascistone (Mario Carotenuto) di cui Giuseppe finisce per sposare la sorella (Didi Perego). Solo a metà film viene in luce l’elemento chiave del racconto: una fotografia, ripresa in una trincea del Carso, durante la Grande Guerra, che mostra fianco a fianco il protagonista ed un relativamente giovane Benito Mussolini. Da questo momento la narrazione assume toni kafkiani: il nostro eroe tenta in svariati modi di farsi ricevere dal duce, trovandosi sempre sbarrata la strada dalla polizia fascista, nella persona di uno zelante e comprensivo commissario (Andrea Checchi). Per la verità Di Gennaro deve solo chiedere al duce una “raccomandazione” inerente la famosa promozione; dietro di lui tuttavia premono moglie, cognato, madre (Emma Gramatica) ed amici, tutti speranzosi di ottenere qualche inatteso favore. Quando finalmente riesce a sgaiattolare nell’ufficio di Mussolini, questi sta arringando le folle con il celebre discorso di entrata in guerra (10 giugno 1940). Disilluso, memore dei tristi anni di trincea di vent’anni prima, l’uomo abbandona in silenzio la sontuosa stanza, non prima di avere distrutto la fotografia.
La pellicola di Bianchi racconta un’Italia fascista non troppo differente dall’Italia democristiana degli anni sessanta: le conoscenze e l’appartenenza ai clan rimangono gli unici mezzi per fare carriera mentre il merito resta un fatto marginale. La dittatura vi appare semplicemente come una goliardica messa in scena alla quale ci si deve attenere per quieto vivere, fino al colpo di scena finale quando anche il protagonista, il cui orizzonte esistenziale appare limitato alla più banale quotidianità, si rende conto del disastro conseguente all’avere lasciato l’intero potere nelle mani di un uomo solo le cui distorte convinzioni ideologiche (la creazione dell’italiano nuovo, guerriero ed imperiale) stanno per trascinare il paese alla rovina.
Prima de Gli anni ruggenti e de La marcia su Roma, Bianchi firma una pellicola umoristica ed indulgente nei confronti del fascismo nostrano, equilibrata e moderatamente critica, priva del tipico livore del cinema militante antifascista: vi si mostra una piccola borghesia felice di fare carriera all’ombra del fascio come pure la presenza di una minoranza di antifascisti, come Giuseppe Di Gennaro, ai quali viene concesso di dissentire in silenzio e per i quali non c’è possibilità di progressione professionale, nè alcun genere di riconoscimento di altra natura. Il film risulta però poco incisivo nel disegno del protagonista di cui non viene ben focalizzato il dissenso nei confronti del regime, nè d’altro canto, appare convincente la svolta caratteriale per cui, una volta entrato in possesso della famosa foto, egli si industria in ogni modo per vedere Mussolini, esclusivamente per il banale desiderio di un avanzamento di carriera. Anche i tentativi appaiono male orchestrati, poco realistici e troppo ripetitivi. E’ un peccato che gli sceneggiatori non abbiano saputo inventare situazioni più verosimili e varie per la seconda parte di un film altrimenti interessante, ben interpretato (in una piccola parte ci sono anche Franco e Ciccio) e abbastanza originale.
Giorgio Bianchi descrive un’Italia fascista in cui è visibile la netta continuità rispetto a quella democristiana: già questo fatto colloca la pellicola in un’area conservatrice, invisa a quella sinistra decisa a criminalizzare l’intero ventennio (si veda ad esempio Gli indifferenti di Maselli). Tuttavia l’ottica di Bianchi è tutt’altro che banale poichè essa guarda con occhio divertito alle mascherate guerrafondaie del regime ed al tempo stesso descrive con un preciso sentimento di orrore la violenza inattesa e infausta insita nel discorso del 10 giugno. La borghesia aveva sempre considerato il fascismo una messa in scena: la tetra decisione mussoliniana relativa all’entrata in guerra costituisce il punto di rottura tra il fascismo e quella borghesia che aveva sostenuto le istanze d’ordine del regime, ma che era disinteressata ai progetti di conquista europea dell’asse nazifascista. In tal senso Il mio amico Benito rappresenta, meglio di molte pellicole orgogliosamente antifasciste, il punto di vista dell’italiano medio nei confronti del fascismo, il suo sentirsi tradito allorchè Mussolini rivelò il suo aspetto più fanatico e intransigente, mettendo in pratica quelle parole d’ordine guerriere che le masse intendevano come semplice facciata propagandistica, priva di sostanza.
Gli incassi furono modesti.

...
http://www.giusepperausa.it/ragazza_di_bube.html


 
 

 

2 comentarios:

  1. Puoi caricarli su MEGA? Non riesco a ricompattarlo.
    Li ho scaricati tutti, ma non riesco a unirli. Quale software dovrei usare?
    Grazie mille e complimenti per il sito.
    Stai caricando dei film bellissimi che cercavo da tempo.

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