TITULO ORIGINAL AAAAchille
AÑO 2001
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español, italiano e inglés (Separados)
DURACION 88 min.
DIRECCION Giovanni Albanese
GUION Giovanni Albanese, Vincenzo Cerami
REPARTO Sergio Rubini, Helene Sevaux, Paolo Bonacelli, Loris Pazienza, Lucia Vasini, Patrizia Loreti, Franco Barbero, Antonio Fornari, Pino Ingrosso, Gualtiero Scola, Alessandro Larocca, Rossa Caputo, Elena Ursitti, Diego Verdegiglio, Michele Bandiera, Crescenza Guarnieri, Enrico De Finis, Guglielmo Ferraiola, Giusi Cataldo, Massimo Molea
FOTOGRAFIA Maurizio Calvesi
MONTAJE Simona Paggi
MUSICA Nicola Piovani
PRODUCCION Vittorio Cecchi Gori para C.G.G. FIN. MA. VI.
GENERO Comedia
SINOPSIS Achille è un bambino orfano di padre e affetto da balbuzie. La famiglia cerca di risolvere il problema linguistico del ragazzo, dotato di una grande intelligenza che si esprime nell'abilità manuale, nel costruire fantasti e bizzarri oggetti. (Film Up)
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TRAMA:
Achille è un bambino pugliese afflitto da una grave forma di balbuzie. La famiglia tenta ogni strada per risolvere il fastidioso problema, senza alcun esito. Un giorno lo zio Ciro, medico e figura di spicco della famiglia, lo porta a 'Villa Agorà', una clinica estiva diretta dal dottor Aglieri, un furfante che, tuttavia, ha inventato un suo metodo che sembra avere successo: quello del canto-parlato che consiste nel far parlare i pazienti modulando la voce a mo' di cantilena. A 'Villa Agorà' si susseguono - tra situazioni comiche, poetiche, spiritose e sentimentali - le lezioni di canto parlato finchè i numerosi pazienti sono reintrodotti nella vita civile e lasciati da soli a dimostrare di aver superato il loro problema di comunicazione.
CRITICA:
"'A.A.A. Achille' di Giovanni Albanese è l'esordio registico di uno scultore geniale (e come dimenticare il suo allestimento teatrale per 'Giù al Nord' dell'omonimo Antonio Albanese?) Dolcissima favola moderna scritta con Cerami, musicata da Piovani e sorretta da un mostruoso Rubini che evita la retorica e abbraccia la vita a ogni sguardo. Una delle sue prove più ironiche e belle". (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 14 giugno 2003)
"Aveva già sfiorato il cinema collaborando con Giovanni Veronesi per il film 'Silenzio si nasce'. Giovanni Albanese esordisce ora come regista di 'AAA Achille', umoristica ma anche malinconica autobiografia di un ex balbuziente. La piccola storia è delicata ma anche molto fragile di struttura (malgrado apporti di spicco, da Cerami sceneggiatore a Piovani musicista a Calvesi per la fotografia)". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 21 giugno 2003)
NOTE:
- OPERA PRIMA DELLO SCULTORE FOGGIANO, E' UNA STORIA AUTOBIOGRAFICA GIRATA INTERAMENTE A FOGGIA E PROVINCIA.
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Achille è un bambino sveglio, felice, a cui piace costruire un grande plastico con suo padre. C'è solo un problema: Achille è balbuziente e per questo motivo fatica a relazionarsi con i compagni di classe. Ad aggravare la situazione, arriva l'inaspettata morte del padre, che fa diventare Achille un bambino chiuso e propenso agli scatti d'ira. Una riunione di famiglia decide di mandarlo per l'estate a Villa Agorà, rinomato istituto diretto dal dottor Aglieri che ha sviluppato il metodo del cantoparlare per curare le balbuzie dei suoi pazienti. Achille si ritrova da un giorno all'altro in un luogo che non conosce, e i suoi compagni di corso, tutti adulti, di certo non l'aiutano ad integrarsi. Almeno questo fino a quando non conosce Remo, stralunato logopedista (ma ex-balbuziente) che fa divertire i pazienti grazie ai suoi giochi che mette loro a disposizione.
Già dal titolo "A.A.A. Achille", primo e finora unico film dello scultore Giovanni Albanese, ci fa capire il doppio e intricato percorso del piccolo protagonista. Un percorso parallelo che vede da una parte il rapporto con le sue balbuzie, e dall'altra la ricerca (A.A.A. come gli annunci sui giornali) di una propria identità, della presa di coscienza verso un futuro che lo spaventa. Ad aiutarlo in questo cammino c'è Remo, che se inizialmente sembra sotituirsi con la figura paterna, ben presto ci accorgiamo che in realtà l'uomo non nutre questa aspettativa, lui vuole solo far stare bene Achille, e tutti gli altri pazienti, soggiogati da un metodo che invece di curarli non fa altro che metterli ancora di più ai margini di una società sempre più veloce. "A.A.A. Achille" è un film sul piacere delle cose lente, sull'amore per la vita che si riflette nell'uomo e non nella macchina. Non è un caso che le macchine si trasformino in congegni meccanici meravigliosi, in giocattoli automatizzati, rinascendo dalle ceneri che la società dei consumi ha creato. E' per questo che il finale non prende posizioni sulla scelta da fare: mantenere la propria unicità rimanendo balbuzienti oppure guarire e confondersi per sempre nella folla vociante di un centro commerciale?
Decisamente originale questo film di Albanese (anche autore della sceneggiatura insieme a Vincenzo Cerami), che si ritrova a raccontare una storia delicata nei temi e nell'approccio, volutamente naif e spesso volto a scansare i canoni del cinema hollywodiano e della spettacolarizzazione della disgrazia che ne deriva. I climax ci sono, ma non sono mai ruffiani né inseriti quando ce lo si aspetta: tutto sembra giocato su una storia che si srotola da sé e che contiene già nelle vicende tutta l'emozione e la tesi che ci vuole proporre, senza avere bisogno di artifici tecnici per mostrarcela. Ad accompagnare il buon lavoro del cast, dove brillano un Sergio Rubini decisamente bravo e l'esordiente Loris Pazienza nei panni del protagonista, troviamo le musiche di Nicola Piovani, capaci di descrivere con piccoli tocchi l'atmosfera di favola adulta che la pellicola ci propone. Pur non privo di difetti (la voce narrante troppo pedante e il doppiaggio coatto della bella Helene Sevaux), "A.A.A. Achille" rimane un film fresco, divertente (ma senza puntare più di tanto sugli effetti comici delle balbuzie) che offre anche un interessante spunto di riflessione.
Matteo Contin
Sinossi
Achille, otto anni, foggiano, è rimasto da poco orfano di padre. La tremenda tragedia familiare ha accentuato un suo vecchio problema: la balbuzie. In casa, per combattere il tartagliamento del piccolo, madre e zii adottano ogni metodo, da quelli scientifici a quelli religiosi. Fallito ogni tentativo, non rimane che il ricovero in una clinica logopedica. Nonostante il suo dissenso, Achille viene portato in un centro specializzato, guidato dal prof. Aglieri, un luminare della logopedia, e sottoposto ad un particolare metodo terapeutico inventato dallo stesso professore: trattasi del “cantoparlare” che, in sintesi, richiede al paziente di comunicare cantando.
A guarire gli ospiti della clinica più dei metodi del dottore - che al contrario di quanto promette, rischia di emarginare definitivamente i balbuzienti - può la presenza di Remo, un ex balbuziente appassionato di costruzioni e di giocattoli. Nella stanza assegnatagli, l’uomo ha creato un vero e proprio laboratorio creativo nel quale i malati, Achille in primis, si rifugiano per divertirsi, giocare, sperimentare e, soprattutto, imparare a prendersi meno sul serio. Alla fine del periodo di cura, Achille non avrà soltanto attenuato significativamente il suo handicap, ma avrà terminato il necessario percorso di elaborazione del lutto per la morte del padre.
Introduzione al Film
Sporcarsi le mani per non sporcare le parole
Giovanni Albanese non è un regista cinematografico, ma un artista, un creatore, uno scenografo. Ha concepito e realizzato il mega-utero dentro al quale era ambientato uno stravagante film di Giovanni Veronesi con Sergio Castellitto e Paolo Rossi, Silenzio si nasce; è stato autore delle fantasiose installazioni di uno spettacolo teatrale di Antonio Albanese (Giù al nord); è un riconosciuto scultore che si ispira ai lavori di Duchamp e di altri artisti dell’avanguardia europea. Soprattutto, è un ex-balbuziente (“un balbuziente a riposo”, come lui stesso si definisce) che - come il giovane protagonista del film - ha conosciuto la balbuzie dopo la morte del padre, avvenuta quando aveva solo otto anni. A.A.A. Achille è quindi un’opera prima imbevuta - come spesso accade negli esordi cinematografici e letterari - di autobiografismo. Ciò che più incuriosisce di questa pellicola è il connubio tra la forza esplosiva della parola e la forza creatrice delle invenzioni (artistiche e non).
Infatti, la storia di Achille e Remo serve al regista per evidenziare il tipo di handicap che ogni balbuziente deve affrontare: l’impossibilità non tanto di comunicare con gli altri, ma di attrarre e accoppiare le parole tra di loro, di farle giocare insieme generando - in questo modo - significati che superano il singolo valore di un vocabolo. A chi esperisce la condizione di Achille non resta che sostituire alle parole le azioni: se non si possono fare “giochi di parole”, sfruttare fino in fondo le figure retoriche, affabulare gli altri come un “azzeccagarbugli”, allora bisogna costruire figure con gli oggetti, mischiare, accozzare, unire pezzi, sfruttare la propria manualità per trasmettere la complessità dell’animo umano. In estrema sintesi: sporcarsi le mani poiché non si possono sporcare le parole.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Prendersi gioco degli altri, prendersi poco sul serio
Remo e Achille sono accomunati dalla stessa passione per il gioco, per l’invenzione, per la costruzione, tanto da poter essere considerati la fase infantile e matura della stessa persona. Lo chiarisce immediatamente il bambino quando, rivolgendosi per la prima volta a Remo, gli ricorda che non è suo padre. L’ex balbuziente, intelligentemente, non cerca di sostituire il genitore deceduto, ma di affiancare il piccolo amico scegliendosi un ruolo che si avvicina a quello dell’angelo custode: lo cerca quando scappa dalla clinica e lo accompagna a casa (un padre l’avrebbe costretto a restare in clinica), non lo rimprovera mai, lo lascia alle grinfie del dottor Alieri anche se sa benissimo che è un cialtrone, perché quello è l’unico modo per stargli vicino. La figura di Remo acquista ulteriore significato se accostata con l’altra figura maschile adulta che interagisce con Achille: il professore (imbroglione) Alieri. Il suo metodo del “cantoparlare” è il doppio, contrario e speculare, del metodo adottato da Remo.
Da una parte assistiamo alla canzonatura dei pazienti, alla trasformazione dei balbuzienti in oggetti da deridere (è questa l’inevitabile reazione di chi si sente interpellato con frasi “cantoparlate”, come conferma la scena del supermarket), dall’altra abbiamo invece un sistema educativo ludico, che concepisce il gioco come momento di formazione, ma anche come festa condivisa (la giornata al mare); da una parte quindi c’è una presa in giro che sancisce l’inevitabilità dell’esclusione del diverso dal convivio sociale, dall’altra c’è un prendersi poco sul serio che produce normalizzazione e integrazione nella comunità. La differenza appare sottile, ma è palesemente spropositata. Achille, almeno inizialmente, è in balia di entrambe le metodologie appena descritte. Con la testa segue le indicazioni del professore, con le mani (e il cuore) si fa affascinare dal laboratorio di creatività, continuando a frequentarlo appena terminate le sedute terapeutiche.
È, quindi, la voglia di costruire e di infondere una forza anarchica agli oggetti (si veda la meravigliosa trottola con cui gioca il bambino) a spostare il piatto della bilancia dalla parte di Remo. L’intuizione (autobiografica) di Albanese nobilita il film: forse meglio di altre pellicole, A.A.A. Achille mostra quanto possa essere decisivo, nelle società della comunicazione visiva e verbale, la manualità soprattutto per i bambini. È uno strumento unico di espressione del sé, consente di trasmettere le proprie paure, i propri desideri e i propri sentimenti agli altri, è la realizzazione pratica del lato fantastico della mente umana, è una risorsa che - come Albanese ha testimoniato costantemente nella sua vita- non dovrebbe mai essere lasciata in disparte o sfruttata solo per un breve periodo della vita.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
AAA Achille è un film fruibile da ogni tipo di pubblico. Può rappresentare un ottimo spunto di riflessione sia sulla relazione tra handicap e società, sia per sottolineare l’importanza delle parole e dei suoni per il nostro stile di vita. Tra tutti i film che trattano tematiche legate all’handicap, segnaliamo la pellicola di Ken Russell, Tommy (1975), storia di un ragazzo che diventa cieco, muto e sordo per lo shock subito alla morte del padre, riuscendo a superare completamente il trauma solo dopo la morte della madre e del patrigno. Un’altra pellicola che sottolinea il bisogno e la forza di comunicare con il mondo è Gaby, una storia vera (1987) di Luis Mandoki, rievocazione della vicenda umana di Gaby Brimmer, una ragazza affetta da paralisi cerebrale capace di comunicare soltanto battendo con il piede su una tastiera.
Marco Dalla Gassa
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Risvolti psicologici del film A.A.A. Achille
Il film potrebbe sembrare la solita commedia all’italiana, ma esaminando tutti i diversi contenuti psicologici del film, il regista porta alla luce la complessità della balbuzie nei suoi risvolti psicologici, sociali ed esistenziali.
Il dramma del piccolo Achille, portato in scena da Giovanni Albanese , è la tragedia di ogni persona che balbetta, o di una famiglia che cerca disperatamente la comprensione e il trattamento di questo disturbo.
Il piccolo Achille, nostro eroe, tenta ogni forma di terapia, per combattere il “non risolto”, la conflittualità interna, la vergogna, lo struggimento, e ciò che gli Altri , i normofluenti, non potrebbero mai capire.
La storia, anche se di primo acchito potrebbe sembrare il solito copione della commedia all’italiana tra fiction e comicità, dipinge il modo interno di chi balbetta: il senso dell’inadeguatezza, la dimostrazione di essere soggetti normali, l’ambizione frustrata, un’affettività non facilmente comunicabile, la sofferenza della famiglia e sopratutto un senso di preclusione al modo sociale.
All’interno di questo film, di fiction c’è ben poco, tutto è tremendamente reale.
Giovani Albanese è riuscito con questa storia a sviscerare alcuni temi che sono il fulcro della balbuzie e del suo trattamento.
I temi psicologici di questo film sono racchiusi nei personaggi e in alcuni concetti impliciti che di seguito vengono riportati:
1.-Il piccolo Achille è un bambino meraviglioso; lui soffre, e il mondo degli adulti non lo capisce. Si sottomette ad ogni tipo di cura e, credendo al miracolo, o al consiglio proposto dallo zio medico, si avventura nella clinica del Dr. Aglieri. Qui si imbatte in ogni tipo di balbuzie e di sofferenza psicologica ed esistenziale. Qui il piccolo Achille comincia scoprire una nuova realtà: il suo mondo interno e le sue emozioni, grazie al logopedista Remo che è tutt’altro che “logopedista”.
Achille scopre che comunicare è possibile solo se riesce a “comunicare oltre le parole”, cioè a prendere contatto con i propri talenti e con la propria creatività, riuscendo a trovare un percorso esistenziale per la riscoperta dell’autostima.
2.-Il logopedista Remo contro gli “imperativi terapeutici” del dr. Aglieri, in realtà, negando qualsiasi forma di terapia, predispone una camera creativa dove i pazienti possono recuperare una propria individualità. Remo rappresenta la ricerca verso altri “lidi terapici” che recuperano la personalità, riconciliando l’individuo con le realtà psicologica e sociale.
Remo comprende perfettamente che la persona che balbetta deve essere aiutata a ricostruire la propria affettività, partendo proprio dal passato (in questo caso dal lutto paterno).
La parola inceppata è il risultato di una persona che si è bloccata non riuscendo trovare il filo delle sue emozioni, e qui Remo, è la metafora di un trattamento psicoterapico proteso a sollecitare la personalità nella ricerca di ciò che ha determinato la balbuzie.
Il lavoro di Remo non è l’invito all’autocura mediante un semplice sforzo di volontà. Nel soggetto balbuziente esiste purtroppo lo stereotipo del “farcela da solo” con un atto onnipotente e narcisistico: in realtà, per comprendere la balbuzie bisogna avventurarsi nei suoi meandri per ritrovare il Vero-Sé che si è perso.
Remo ama il suo paziente, aspetta la sua evoluzione, aspetta la sua crescita e non impone alcunché di miracolistico. Egli conosce la natura umana che ha bisogno di fiducia, di vicinanza affettiva, di onestà, e soprattutto non sentirsi soli ed abbandonati dinanzi alla sofferenza e al tormento. Questo utente per ritrovarsi non ha bisogno di “corsi per la sopravvivenza”, questo destinatario deve imparare a porsi al di là della balbuzie per sentirsi adatto ed adeguato dinanzi al mondo degli adulti.
3.-Il dottor Aglieri è il “profeta” , che cerca di ammaestrare più che capire. . Egli è convinto che con una tecnica molto banale si possa con facilità superare il problema della balbuzie..
Secondo il dr.Aglieri basta una tecnica fonica o comportamentistica per dare all’utente la sensazione di potersela “cavare” nella vita. Il dr. Aglieri non si preoccupa della fragilità insita nella persona che balbetta, per lui tutto è estremamente facile e lineare: basta una semplice tecnica, senza preoccuparsi della psiche, per normalizzare la persona.
In realtà, il balbuziente deve anzitutto imparare a “cavarsela con se stesso”, riuscendo a capire i meccanismi che sottendono un sintomo molto complesso.
4.-Alessandra (Helene Sevaux), rappresenta la bellezza, l’estasi, il bisogno affettivo e sensualizzato: un modo al quale la persona che balbetta sente di non appartenere.
In realtà Alessandra è lo specchio dell’insicurezza affettiva che riguarda i due sessi affetti da balbuzie: da una parte vi è il maschio che non si sente all’altezza di competere con gli altri maschi per la conquista della bellezza femminile, e dall’altra la donna che non riesce a vivere la sua femminilità.
Alessandra rappresenta il sogno, l’ambizione, la conquista, il desiderio e la passione. La bella Alessandra rappresenta il fascino della vita al quale ogni persona deve partecipare facendosi coinvolgere. Alessandra rappresenta l’incontro con il corpo e con le pulsioni che lo muovono.
Alessandra rappresenta anche l’insicurezza femminile, che esprime paradossalmente attraverso la sua intraprendenza: questa donna desidera amare ma ha paura, desidera comunicare ma appare frenata, desidera essere donna seducendo, ma in realtà non si accetta.
5.-Giovannone, un ragazzo grande e grosso, che per parlare ha bisogno di muovere i piedi al ritmo del tip – tap, rappresenta l’ “acme” della balbuzie . La disfluenza di Giovannone esiste veramente, non è una semplice metafora del nostro regista. Con Giovannone viene presentato il dramma reale che chiude l’individuo all’interno di una gabbia.
Giovannone contro i presupposti del dr. Aglieri, desidera essere amato, accettato e soprattutto desidera esprimere la sua personalità.
Nello stereotipo di chi balbetta spesso esiste la fantasia di poter guarire miracolosamente al 100%, e in poco tempo. Purtroppo tale fantasia viene anche alimentata da alcune pubblicità che dichiarano di eliminare la balbuzie in 15 giorni con l’impegno e la volontà.
Altri stereotipi che si ritrovano in chi balbetta sono il credere di “farcela da soli” , o ancora che “con il tempo tutto passerà”, …e intanto il tempo passa e tutto rimane nello status quo.
Con questo non si vuol affermare che la balbuzie sia incurabile, ma la guarigione deve essere intesa in un senso “dinamico” e non statico .
Come sottolinea Giovanni Albanese la balbuzie “è sempre lì in agguato pronta a venire fuori”; questo perché nei momenti di elevato stress o di situazioni altamente conflittuali, l’Io della persona risponde in modo regressivo: la balbuzie che ritorna segnala che qualcosa non procede in modo adulto.
A fronte dei nostri studi e delle nostre ricerche, un soggetto adulto, dopo un giusto lavoro psicodinamico e psicosomatico (che non dura qualche seduta), in base al suo sintomo, potrebbe recuperare in un buon 80\90 %, ma quel 10\20 % di balbuzie “sotto le ceneri” nei momenti di stress potrebbe ritornare.
In chiave di trattamento, bisogna comunque imparare ad accettare che il linguaggio, o meglio la funzione linguistica che è stata colpita, è stata comunque “riaggiustata”, e dunque rimarranno dei “fastidi”.
Un “linguaggio riaggiustato” avrà sempre una sua delicatezza e sensibilità rispetto agli stress emotivi e sociali, che un normofluente non conosce. Così ad esempio se ci fratturiamo un piede andiamo dall’ortopedico che lo rimette a posto; dopo un po’ di tempo, pur recuperando appieno la deambulazione, quel piede riaggiustato darà comunque qualche fastidio.
Altro esempio in chiave psicologica: un soggetto anoressico curato non diventerà mai obeso, manterrà sempre una linea filiforme.
Anche lo stesso Paolo Bonolis, quale ex balbuziente dotato di una grande capacità comunicativa, confessa in alcune interviste che in certi momenti, molto delicati della sua vita, la balbuzie ritorna a farsi risentire.
Limite del film: in A.A.A. Achille viene raccontata una storia profonda scarsamente recepita dalla stampa e dall’opinione pubblica, questo perché la balbuzie interessa un pubblico molto ristretto. Il limite più grosso del film è che è stato poco recensito e poco pubblicizzato, molto venne fatto invece nel 2001 quando si pensava che il film dovesse uscire in quella data.
La nostra speranza è che il film possa avere il suo meritato successo almeno come Home Video, al fine di instillare curiosità e conoscenza per un sintomo molto complesso e spesso “bistrattato”.
Ringraziamo Albanese per il suo coraggio e per la sua sensibilità, ringraziamo Cecchi Gori Medusa per aver creduto in questo film, e ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato sul set cinematografico offrendo un grande contributo all’utenza (circa un milione di soggetti che balbettano) e agli operatori del settore, affinché il problema sia sempre valutato nella sua giusta dimensione.
Enrico Caruso (psicologo e psicoterapeuta)
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