TITULO ORIGINAL Il male oscuro
AÑO 1990
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 114 min.
DIRECCION Mario Monicelli
GUION Suso Cecchi D'Amico, Tonino Guerra, Mario Monicelli (Novela: Giuseppe Berto)
MUSICA Nicola Piovani
FOTOGRAFIA Carlo Tafani
PREMIOS 1989: Premios David di Donatello: Mejor director. 7 nominaciones
REPARTO Giancarlo Giannini, Emmanuelle Seigner, Stefania Sandrelli, Antonello Fassari, Vittorio Caprioli, Elisa Mainardi, Patrizia La Fonte, Rocco Papaleo
PRODUCTORA Clemi Cinematografica
GENERO Comedia. Drama | Comedia dramática
SINOPSIS Giuseppe Marchi, un escritor, abandona a la viuda con la que tenía una relación y se casa con una chica mucho más joven que él, a la que ha dejado embarazada. Se siente insatisfecho profesionalmente, sufre dolores y hace que le operen una úlcera y una apendicitis inexistentes, hasta que un psiquiatra le hace comprender que todo obedece a los problemas no resueltos con su difunto padre, un despótico oficial de carabineros. (FILMAFFINITY)
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Trama
Giuseppe Marchi, dominato da bambino da un padre autoritario e dispotico nella sua divisa di maresciallo dei carabinieri, cresciuto in una famiglia modesta, mantenuto agli studi grazie a grandi sacrifici e sempre frustrato da difficoltà e angustie, ormai cinquantenne, aggiunge alle sue pene il rimpianto di non aver fatto in tempo a rivedere il padre sul letto di morte. Sceneggiatore di scarso successo, dopo aver vissuto con Sylvaine, una vedova francese, si fa sedurre da una ragazza molto più giovane che sposa perché rimasta incinta. Marchi, che in realtà sogna di scrivere il romanzo della propria vita, non riesce a farsi accettare un copione su Giuda, rivisitato con intenti commerciali. Si autocommisera sempre e accusa spesso dolori laceranti. Un giorno finalmente decide di farsi visitare in una clinica dove lo operano per un'ulcera ed un'appendicite inesistenti. Stremato, infine tenta perfino il suicidio. Quando sua moglie parte con la piccola per trascorrere due mesi a Siusi, Giuseppe, costretto dentro un busto consigliatogli poiché ha un rene mobile, resta nel caldo romano a tentare di scrivere il primo capitolo della propria autobiografia. Anche quando finalmente decide di raggiungere sua moglie sulle Alpi, le sue manie e fobie non cessano. Intanto il suo copione viene respinto poiché il committente, nei guai con il fisco, si trasferisce altrove, lasciando a Marchi, per sdebitarsi, della terra coltivata ad uliveto in Calabria. Finalmente, l'uomo si affida ad uno psicanalista, il cui responso è facile e assai rapido: alla radice del suo male esistenziale vi è la figura paterna ed il suo condizionamento e, ora che lo sa, tutto gli appare più chiaro ed pensa di essere guarito. Ma a questo punto la moglie gli rivela di tradirlo da anni. Stando ormai così le cose, Giuseppe decide di andare a vivere da solo in una baracca fra gli ulivi calabresi, a zappare il suo orticello, da dove la sera vede, al di là dello Stretto, le luci della Sicilia, la terra in cui il padre, che ancora incombe nella memoria, era nato e vissuto.
Critica
"Non tutto, anzi forse pochissimo è recuperato dalla pagina di Berto, ma c'è un grande Giannini a garantire una temperatura emotiva all'altezza della situazione." ('Segnocinema').
Note
- DAVID DI DONATELLO (1990) PER LA MIGLIOR REGIA.
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Giuseppe Marchi, sceneggiatore con aspirazioni letterarie, soffre continuamente di diversi mali. Col passare degli anni la sua giovane moglie lo costringerà ad andare in terapia da uno psicologo che scoprirà che il male oscuro di Giuseppe non è fisico, ma ha origini psichiche.
Tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Berto del 1964, ne racconta la storia trasportandola ai “giorni nostri”. Il film a tratti drammatico a tratti altamente ironico, ma sicuramente sempre grottesco, è incentrato tutto sul personaggio un po’ sopra le righe di Giuseppe (Giancarlo Giannini), un uomo sostanzialmente solo, cinico, ambizioso, avaro, ma soprattutto ipocondriaco. Dopo aver interrotto una relazione con una donna francese (Stefania Sandrelli), farà la conoscenza di una giovane donna (Emmanuelle Seigner) e dopo averla messa incinta, la sposerà, tra un malanno e l’altro.
Gli anni passano, la loro figlia Augusta cresce, ma Giuseppe non riesce a decollare come scrittore e si sente frustrato come sceneggiatore (gli è stato chiesto di scrivere una storia su Giuda che si innamora di Maddalena e tradisce Gesù in modo tale da avere i 30 denari per poterla pagare…).
Sua moglie, innamoratissima, continuerà a stargli accanto, nonostante le sue continue nevrosi, i suoi attacchi di panico, le sue idiosincrasie e fobie (non vuole andare in luoghi troppo affollati ad esempio), fino a quando ormai esausta si allontanerà da lui per qualche mese per andare a passare un po’ di tempo con sua figlia in montagna. Giuseppe si sente quasi liberato e, quindi, capace di lavorare più facilmente, ma le sue continue e dolorose fitte non cesseranno mai di presentarsi al suo cospetto. Una notte, ormai rimasto solo, cercherà l’aiuto dei vicini e un dottore (suo coinquilino) gli dirà che per il suo “rene mobile” l’unico rimedio è un busto da portare 24 ore su 24.
Non appena lo sceneggiatore esce di casa indossando il suo busto viene colto da crisi respiratorie dovute proprio all’utilizzo dell’aggeggio. Il film prosegue incalzante su questa falsa riga. Un acciacco dopo l’altro, un attacco isterico dopo l’altro, tutti egregiamente e ironicamente interpretati dal grandissimo Giannini, onnipresente in questa pellicola, tanto che lo stesso Monicelli parlando del suo film asserirà che si tratta di un vero e proprio documentario dedicato all’attore.
Nonostante la particolarità della storia che potrebbe essere accomunata persino a La coscienza di Zeno nel quale il protagonista somatizzava le sue turbe psicologiche che diventavano quindi dei veri e propri tic e dolori fisici, il film non riesce a decollare. Costruito su un grandissimo attore quale è Giannini, che riesce a donare espressività e spessore ad un personaggio di certo non facile da interpretare, connotandolo di aspetti nevrotici ma sicuramente esilaranti e divertentissimi (alcune volte un po’ troppo), è forse un esageratamente ripetitivo e ridondante. Accompagnato da un’interessante e orecchiabile colonna sonora che sottolinea alla perfezione le turbe psichiche del protagonista e da una sceneggiatura affascinante, soprattutto per quel che concerne i dialoghi tra Giuseppe e il suo analista (Vittorio Caprioli nella sua ultima, valente, interpretazione), il film riesce comunque a raggiungere buoni risultati e a rimanere impresso per particolarità (la mano del grande Monicelli è visibile soprattutto nel finale un po’ visionario e poetico) ed originalità.
Maria Alessandra Cavisi
Tratta da un romanzo (1964) _ premio Viareggio e Campiello _ di Giuseppe Berto, e spostata in avanti di vent'anni, è la storia di Giuseppe Marchi, sceneggiatore con ambizioni frustrate di romanziere, sposato e padre di una figlia, che a 45 anni è in preda a una nevrosi. Con l'aiuto di uno psicanalista (V. Caprioli), si rende conto che i suoi infortuni fisici hanno un'origine psichica. Sceneggiato da Suso Cecchi D'Amico e Tonino Guerra, non è un film riuscito: molti difetti, poche virtù, ma quel tramonto su una collina della costa calabra dalla quale si scorge la Sicilia è il finale felice di un film sulla morte come regressione all'infanzia. Sono 10 minuti che hanno la firma di Monicelli. Il regista lo definì poi: "Un documentario su Giannini" che prende parte a 102 scene e per ognuna di esse si è ispirato a un animale diverso. (Il Morandini)
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Il Male oscuro – Mario Monicelli, Giuseppe Berto
Nella mia libreria c’e’ un reparto particolare con volumi pronti per il viaggio qualora dovessi partire per la leggendaria isola deserta con solo pochi testi da portarsi appresso. Ovviamente i libri sono pochi e selezionati ma non ho potuto fare a meno di includerne tre di Giuseppe Berto.
Non sono il solo a considerarlo uno dei piu’ grandi scrittori italiani del secolo scorso ma fu uomo libero che mai si piego’ alle logiche delle cricca culturale dei, citando Berto "padreterni", inimicandoseli e cosi’ condannarsi a rimare fuori dalle grazie di critici ed esperti, quelli che da sempre dettano al popolino cosa sia la cultura, restando per i piu’ un autore di secondo piano.
"Il male oscuro" e’ certamente la sua opera piu’ importante e se gia’ nel 1964 seppe parlare in forma autobiografica di depressione, oggigiorno il tema e’ piu’ vivo che mai e per certi versi precursore di infiniti testi psicoanalitici e relative analisi.
Il male oscuro - libroMonicelli ne fece un film nel 1990 e malgrado la sua regia, Giannini come interprete principale, la Cecchi d’Amico e Tonino Guerra alla sceneggiatura, si resta infinitamente lontani dalla potenza del testo.
Era un film destinato a fallire e solo chi ha letto il libro, chi ha sentito dentro di se’ il racconto come riflesso di un proprio vissuto, si capacita dell’incolmabile solco che separa la trasposizione dall’originale.
Il modo di scrivere di Berto, dolorosamente sincero, persino imbarazzante nelle piu’ intime confessioni, quell’assenza di punteggiatura a sottolineare il flusso di pensieri incessante, soffocante eppure rimedio ultimo alla follia come fosse una barriera protettrice e contenitiva del male oscuro appunto, quella corsa alla ricerca di una soluzione, una spiegazione, una ragione e il restare sospesi tra la voglia di vivere e il desiderio di arrendersi non poteva essere portata sul grande schermo.
Monicelli fu un uomo che soffri’ di depressione e sono certo che sapesse tutto questo ma ugualmente e anzi ne fu causa, volle farne film per non sentirsi solo, per avere meno paura, forse per urlare che ce l’aveva fatta, ammesso che si riesca davvero a farcela.
In qualche modo il "male" e’ stato spostato dalla depressione alla nevrosi, certo meglio rappresentabile da Giannini al quale non si puo’ certo contestare nulla e che anzi era l’unico che potesse dar lustro all’autore/protagonista e se di massima si e’ rimasti fedeli all’idea di base, cio’ che viene fuori e’ un racconto mentre il libro e’ uno stato della mente.
Che ognuno si faccia il regalo di leggere Giuseppe Berto, il film puo’ anche aspettare.
"Sono quindi ancora malato e credo che non guariro’ mai.
Pero’ sono guarito per quel tanto che volevo disperatamente guarire, ossia non ho piu’ paura di scrivere."
Gracias Amarcord, Monicelli es lo máximo. Y gratitud también por el PDF
ResponderEliminarSaludos!