TITULO ORIGINAL Mi manda Picone
AÑO 1984
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 122 min.
DIRECCION Nanni Loy
GUION Nanni Loy, Elvio Porta
MUSICA Tullio De Piscopo
FOTOGRAFIA Claudio Cirillo
PREMIOS 1983: Premios David di Donatello: Mejor actor (Giannini), actriz (Sastri) y productor
REPARTO Giancarlo Giannini, Lina Sastri, Aldo Giuffrè, Clelia Rondinella, Carlo Croccolo, Gerardo Scala, Marzio Honorato, Armando Marra, Leo Gullotta, Mario Santella, Carlo Taranto
PRODUCTORA A.M.A. Film / Medusa Films / Radiotelevisione Italiana / SACIS
GENERO Comedia | Mafia
SINOPSIS Narra las correrías de un ladrón de poca monta que se ve envuelto en todas las actividades ilegales del submundo de la mafia napolitana. (FILMAFFINITY)
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Pasquale Picone è, all’apparrenza, un operaio che lavora all’Italsider di Bagnoli. Un giorno si dà fuoco durante una seduta del consiglio comunale di Napoli. Viene soccorso e prelevato da un’ambulanza, ma non arriverà mai in ospedale e di lui sembra perdersi ogni traccia. Sua moglie Lucia (Lina Sastri), dopo alcuni vani tentativi, decide di affidarsi a Salvatore (Giancarlo Giannini), traffichino con due scarpe spaiate che vive di espedienti. Questi ritrova l’agenda di Pasquale con una lista di nominativi che dovevano a Picone dei soldi. Presentandosi con la frase “mi manda Picone”, Salvatore intraprenderà un viaggio nel ventre di Napoli, scoprendo un realtà ben diversa, fatta di estorsioni, scommesse illegali, camorra e prostituzione.
Il sardo Nanni Loy ha sempre avuto interesse per Napoli, il suo mondo e i suoi abitanti, parimenti alla romana Lina Wertmüller, e lo si può vedere dalla sua filmografia, con ben cinque pellicole ambientate nel capoluogo campano. Con Mi manda Picone, titolo diventato quasi proverbiale, Loy realizza un’opera straordinaria per diversi motivi. Il film si presta, grazie alla sua struttura, a molteplici chiavi di lettura e definirla una commedia drammatica o grottesca sarebbe riduttivo. V’è infatti una componente molto forte di grottesco e di umorismo nero, ma anche una dose non secondaria di critica sociale che si muove, con grande agilità, tra il realismo e la macchietta. Il lavoro che ne esce fuori ha, come nota anche Morando Morandini, le cadenze di una farsa che sfocia nel fantastico sociale e nel film di investigazione, di cui sfrutta, pienamente, le tecniche. Ma, a ben guardare, Mi manda Picone è anche un film altamente pirandelliano. Nella figura di Pasquale, il marito suicidatosi e che possiamo vedere solo di spalle ad inizio vicenda e, di sfuggita, in alcune fotografie, sembra manifestarsi davvero “l’uno, nessuno e centomila” dello scrittore siciliano. Picone è, infatti, un operaio dell’Italsider, almeno così appare, ma scopriamo, insieme al protagonista Salvatore, che potrebbe non esserlo, ma anzi avere diverse e inaspettate attività. Ma Picone è anche nessuno, perché di lui pare non esserci davvero nessuna traccia.
Loy ci mostra una Napoli viscerale e surreale allo stesso tempo. È un pozzo che inghiotte prima Picone e poi Salvatore nei suoi meandri. Tutto ha una doppia faccia, nella Napoli di Loy, una legale e un’altra ben più profonda e inquietante. La camorra fa da sfondo alle investigazioni di Salvatore, interpretato benissimo da Giannini, anche se essa viene nominata apertamente solo in un’occasione, a metà pellicola, in un’aula di tribunale. Ma è chiaro che la camorra è presente e rappresenta un vero e proprio sistema in cui Picone, una volta persona onesta, si deve muovere e a cui, sparendo, cerca di sfuggire. Lo stesso sitema che ingloba, o cerca di inglobare, Salvatore. Il discorso di Loy appare ancora più interessante, poiché, a ben guardare, il mondo criminale non fa nulla per far sì che Salvatore ne diventi parte, ma sembra quasi una cosa naturale che questi se ne ritrovi coinvolto.
Giannini, come detto, dà un’interpretazione splendida del povero diavolo Salvatore, uomo che vive di espedienti ma che ha, in fin dei conti, un buon cuore. Davvero efficace infine la prova di Lina Sastri, che disegna una Lucia ambigua e dalle diverse sfaccettature.
Armando Rotondi
Durante un processo, l'operaio Picone per protesta si dà fuoco. L'arrivo di un'ambulanza provvidenziale lo raccoglie e lo porta via. Da quel momento di Picone non vi è più traccia. Che fine ha fatto allora?
Un mocassino color perla al piede destro, una specie di polacchina fin troppo usurata al sinistro, un abito di fortuna e una sigaretta penzolante tra le labbra. Così si presenta Salvatore Cannavacciuolo (Giancarlo Giannini), unità annoverata tra gli esperti dell'arte di arrangiarsi nell'atrio del tribunale di Napoli, in un improbabile ufficio informazioni. Con i capelli raccolti, una spiccata tendenza materna, fascino da vendere e ancora una sigaretta stavolta accarezzata, si presenta invece, Luciella coniugata Picone (Lina Sastri), in un momento di leggera agitazione nel raggiungere in tempo una riunione del Comitato dei lavoratori e contemporaneamente stare attenta ai tre figli non ancora autonomi. Dietro un comizio apparentemente tranquillo, avanza un operaio, visibile solo da tergo che infiamma (è proprio il caso di dirlo) la mattinata cospargendosi di benzina per protesta, imitando, quindi uno di quei falò che si accendono con sterpaglie di fortuna davanti ad una chitarra su una spiaggia in notturna. Una ambulanza fin troppo provvidenziale recupera il presunto carbonizzato e scompare tra i tentacoli del traffico veicolare partenopeo.
Inizia qui, in una Napoli ancora godibile ma in avanzato degrado, la rocambolesca e misteriosa storia de "Mi manda Picone", ennesima opera in napoletano del rimpianto regista sardo, fautore delle candid camera nazionali. Addò stà Picone? Addò 'ann purtat'? Ma è muort'?, sono le domande che Luciella pone al trasandato Salvatore nel suo "esercizio" per sole mille lire. All'ospedale nessuno sa niente, all'obitorio solo morti causati da arma da fuoco, carbonizzati neanche a parlarne a meno che non siano stati preventivamente sparati per sicurezza. All'Italsider, dove lavorava, lo conosceva quello alla pressa, no anzi, quello all'altoforno, anzi no, quell'altro... e tra un pacco di pastina, qualche fetta di mortadella e un panino a due stadi di farcitura, compare la misteriosa agenda dello scomparso Picone.
Si scopre così, che lo stesso Salvatore risulta tra i suoi debitori e si ritroverà, quindi, costretto a recuperare i crediti in sospeso, in compagnia di Luciella, povera moglie dello scomparso e all'oscuro di tutto. "Mi manda Picone" diventerà la chiave vocale di alcune porte ma anche il lucchetto di alcuni antri oscuri che sarebbe meglio si potessero evitare. Così in maniera grottesca e sottilmente inquietante, si svela la vita occulta dell'operaio incendiato, tra mazzette, camorristi, estorsioni, prostitute e altre attività illecite appartenenti, purtroppo, alla quotidianità della capitale del sud, anche se appaiono, in questa pellicola, raccontate con un pizzico di ironia e con una sapiente tendenza al tragicomico. Tra macellerie poco raccomandabili, interrati nascosti per la fabbricazione di esplosivi, ippodromi truccati e cunicoli fognari per una migliore riuscita di baratti nevralgici (luoghi di cui non mi meraviglierei se esistessero sul serio), si viene a sapere che la tuta indossata da Picone, al momento della sceneggiata incendiaria, aveva un substrato di amianto. Embè? Che fin' ha fatt' Picone?
Ottima prova di Nanni Loy, coadiuvato da un geniale Giancarlo Giannini ed una bellissima/bravissima Lina Sastri tra i protagonisti. Partecipazioni amichevoli eccellenti tipo, Leo Gullotta, Carlo Croccolo, Aldo Giuffrè e Marzio Honorato, nonchè una sanguigna Clelia Rondinella, nel ruolo della conturbante Teresa, infarciscono, di sfaccettature impareggiabilmente eseguibili, questa coloratissima commedia adatta ad ogni ordine di spettatore.
Enzo Barbato
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