ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




martes, 10 de noviembre de 2020

Romanzo di una strage - Marco Tullio Giordana (2012)

TITULO ORIGINAL Romanzo di una strage
AÑO
2012
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACION
129 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Marco Tullio Giordana
GUIÓN
Marco Tullio Giordana, Sandro Petraglia, Stefano Rulli (Libro: Paolo Cucchiarelli)
MÚSICA
Franco Piersanti
FOTOGRAFÍA
Roberto Forza
REPARTO
Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Michela Cescon, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Laura Chiatti, Giorgio Colangeli, Omero Antonutti, Thomas Trabacchi, Giorgio Tirabassi
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Francia; Cattleya
GÉNERO
Drama | Histórico. Terrorismo. Política. Años 60. Años 70

Sinopsis
Crónica sobre la llamada "masacre de Piazza Fontana", en la que unas bombas estallaron en 1969 en un banco nacional de Milán. (FILMAFFINITY)

Premios

2011
3 Premios David di Donatello. 15 Nominaciones, incluyendo mejor película y director
2012
Festival Internacional Karlovy Vary: Premio Especial del Jurad
2 
Sub 

UN FILM SECCO E PUDICO CHE METTE MANO (E CUORE) SU UNA DELLE PAGINE PIÙ TRAGICHE DELLA NOSTRA STORIA RECENTE

Marzia Gandolfi

Milano, dicembre 1969. Giuseppe Pinelli è un ferroviere milanese. Marito, padre e anarchico anima e ispira il Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa. Luigi Calabresi è vice-responsabile della Polizia Politica della Questura di Milano. Marito, padre e commissario segue e sorveglia le opinioni politiche della sinistra extraparlamentare. Impegnati con intelligenza e rigore su fronti opposti, si incontrano e scontrano tra un corteo e una convocazione. L'esplosione alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana, in cui muoiono diciassette persone e ne restano ferite ottantotto, provoca un collasso alla nazione e una tensione in quella 'corrispondenza cordiale'. Convocato la sera dell'attentato e interrogato per tre giorni, Pinelli muore in circostanze misteriose, precipitando dalla finestra dell'Ufficio di Calabresi. Assente al momento del tragico evento, il commissario finisce per diventarne responsabile e vittima. Perseguitato con implacabile risolutezza dagli esponenti di Lotta Continua, 'implicato' dalla Questura e abbandonato dai 'dirigenti', continuerà a indagare sulla strage, scoprendo il coinvolgimento della destra neofascista veneta e la responsabilità di apparati dello Stato. Una promozione e un trasferimento rifiutati confermeranno la sua integrità, determinandone il destino.
Il regista milanese affronta una delle stragi più devastanti e destabilizzanti della nazione e vi cerca dentro il 'senso' della vita di Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi, assieme ai segni e alle tracce della nostra prematura morte civile. Perché in Piazza Fontana, sull'asfalto della questura di Milano e in Largo Cherubini non sono morti solo loro. In quella terra di nessuno della coscienza e della memoria sono caduti anche i sogni e le speranze degli anni Settanta.
Nella notte di Giordana, come in quella di Bellocchio, si muove la generazione che ha ucciso due padri e non è riuscita ad assumere e a fare propria la loro storia. Potenzialmente popolare, il cinema di Giordana prova ancora una volta a superare le rigidità ideologiche e a recuperare l'umanità del gesto, ricostruendo l'Italia di allora con scrupolo filologico (e giuridico) di grande rigore.

Asciutto come un giallo ed essenziale come un courtroom drama, Romanzo di una strage dimostra con l'eloquenza dei fatti che non c'è stata giustizia e che la Legge dei tribunali si risolve troppo spesso in un'opera di rimozione.
Pronto a reinventare per il grande schermo paure e passioni, Giordana ribadisce la sua assoluta predilezione per il melodramma (lirico), di cui elude l'emotività iperbolica ma assume i 'movimenti' musicali. L'opera, che accompagna la narrazione 'in atti' e viene dichiarata 'in scena' da un burocrate, è l' "Anna Bolena" di Gaetano Donizetti.
Come la regina inglese, consorte ripudiata e 'spinta' alla morte da Enrico VIII, Pinelli e Calabresi sono figure autenticamente tragiche, profondamente maltrattate, profondamente dolenti eppure sempre dignitose e nobili. Abile a scardinare l'omertà e a rompere pesanti silenzi, il regista 'esplora' la materia drammatica di una nazione, guidando lo spettatore con assoluta empatia nella sofferenza di due uomini ostinati e contrari.
Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi hanno rispettivamente il volto di Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea, sorprendenti nel sottrarsi al rischio corso da un attore chiamato a interpretare un personaggio reale. Nessuna mimesi o impudica spavalderia nelle loro performance, piuttosto frammenti, intuizioni, visioni parziali di quei corpi nel teatro di un delitto senza castigo. 'Romanzato' da Rulli e Petraglia e agito in pomeriggi declinanti e in interni da cui si esce in qualcosa che non sembra il mondo ma solo un altro interno, Romanzo di una strage semplifica, 'interpreta' e agevola (la comprensione di) una strage impunita.
Nell'assurda e crudele immodificabilità delle cose, a due mogli-madri (Licia Pinelli e Gemma Calabresi nell'interpretazione misurata e composta di Michela Cescon e Laura Chiatti) appartiene altrimenti lo smottamento di tenerezza, restituito con una sciarpa calda e una cravatta bianca.
https://www.mymovies.it/film/2012/romanzodiunastrage/


Marco Tullio Giordana è un regista che ama spesso rievocare pagine della storia italiana. In Maledetti vi amerò era l’inizio del terrorismo, in Pasolini, un delitto italiano il processo sull’omicidio Pasolini, in I cento passi (che lo segnalò come un regista ormai maturo), il delitto di Peppino Impastato da parte della mafia, in La meglio gioventù la storia di alcuni giovani e delle loro speranze nate negli anni 60 e le successive delusioni; infine, in Sanguepazzo, modesto melò con Zingaretti e Bellucci, la tragedia di due divi del cinema anni 40 compromessi col fascismo e uccisi dai partigiani. Ora il suo film forse più complesso e ambizioso, o quanto meno rischioso: in Romanzo di una strage si riapre la ferita di Piazza Fontana, ovvero l’attentato che il 12 dicembre 1969 a Milano fece morire, nella Banca dell’Agricoltura adiacente all’Arcivescovado e a due passi dal Duomo, 17 persone. Ma le vittime innocenti, si dice da tempo, furono 19: pochi giorni dopo, tra i tanti fermati tra i circoli anarchici, c’era il ferroviere Giuseppe Pinelli. Che dopo tre giorni di duro interrogatorio – si voleva sapere da lui se il colpevole fosse il sospettato Pietro Valpreda, che fu poi arrestato e, dopo vari processi, assolto solo dieci anni dopo – volò da una finestra della Questura: suicidio, malore o omicidio dei poliziotti? Se ne parla da 40 anni, anche se tutte le sentenze hanno escluso la terza, e più terribile ipotesi (puntando sul malore) e soprattutto hanno scagionato il commissario Luigi Calabresi, in quel momento non presente nella stanza in cui avvenne il terribile fatto. Nonostante ciò, da allora partì il linciaggio della sinistra contro Calabresi, in particolare di quella extraparlamentare a cominciare da Lotta Continua (ma seguita da ambienti “perbene”, soprattutto tra intellettuali, giornalisti e artisti); fu il commissario, ucciso nel maggio 1972, la 19ma vittima.

Tutto questo lungo preambolo, a una recensione molto più lunga del normale per un film così complesso, per aprire il primo fronte critico: se Giordana finalmente certifica, da sinistra, l’innocenza di Calabresi (come gli ha riconosciuto il figlio Mario, direttore de La Stampa e autore del bel libro Spingendo la notte più in là), beccandosi per per questo le accuse dei nostalgici della teoria del commissario “torturatore”, dall’altra lascia molto sullo sfondo quel linciaggio, tanto da far pensare a chi non sa che l’omicidio fosse dovuto ai sospetti di Calabresi – che pure c’erano – su un possibile connubio tra neofascisti (Freda e Ventura, la cui colpevolezza emerse anni dopo le assoluzioni, non poterono più essere puniti), servizi segreti deviati e apparati dello Stato dentro il Ministero dell’Interno; con tanto di scoperta dell’esistenza di Gladio (che assurdità…). Quando invece le sentenze definitive, dopo le confessioni nel 1988 del pentito Leonardo Marino, portarono ad attribuire l’omicidio allo stesso Marino e al trio Sofri-Bompressi-Pietrostefani (di cui solo Sofri ha scontato interamente i 22 anni di condanna). Conseguenza di quella devastante campagna d’odio di cui fu fatto oggetto per la morte di Pinelli. Per chi non sa o non ricorda, il quotidiano di Sofri e C. scrisse: «Questo marine dalla finestra facile dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito. Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, che più modestamente di questi nemici del popolo vogliamo la morte…». E ancora:«Sappiamo che l’eliminazione di un poliziotto non libererà gli sfruttati. Ma è questa, sicuramente, una tappa fondamentale dell’assalto dei proletari contro lo Stato assassino».

Giordana invece, e questo è da apprezzare, non solo è netto sull’innocenza di Calabresi ma lo rappresenta come Pinelli, entrambi vittime innocenti – che pure nel frangente decisivo si trovano a scontrarsi, nonostante si stimassero a vicenda – e anche pedine inconsapevoli di logiche malate all’interno dei rispettivi “gruppi” (elementi deviati nella Polizia e nello Stato, estremisti violenti oltre agli infiltrati neofascisti tra gli stessi anarchici). E, in un’analisi schiettamente cinematografica, sono due personaggi resi al meglio da Valerio Mastandrea (la vera sorpresa del film, in un ruolo sobrio e mai sopra le righe, anche troppo secondo la vedova Calabresi) e da Pierfrancesco Favino, ancora una volta bravissimo. Ma sono tanti gli interpreti eccellenti: dalle rispettive mogli (bravissima Michela Cescon/Licia Pinelli, misurata Laura Chiatti/Gemma Calabresi), a Fabrizio Gifuni nei panni di Aldo Moro, e poi gli ambigui Giorgio Colangeli e Giorgio Tirabassi, l’onesto magistrato Luigi Lo Cascio, Thomas Trabacchi che fa il giornalista Marco Nozza (tra i più attivi nell’indagare per anni), e altri attori meno noti. Nota deludente, non tanto per l’attore quanto per la sorprendente banalità del tratteggio, è il grande Omero Antonutti che fa un Saragat banale e unidimensionale, e storicamente poco attendibile (ma è la colpa è di Giordana e dei suoi cosceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia)

Non è l’unica pecca del film, anzi: se la rievocazione visiva e narrativa è convincente e riesce a comunicare l’angoscia di un Paese sull’orlo di una guerra civile, che sprofondò pochi anni dopo negli anni di piombo con gruppi terroristici rossi e neri (ma sembra che nel ’68-’69 gli eversori fossero a destra, e invece c’è chi sognava la rivoluzione rossa con metodi violenti), Romanzo di una strage ha molti momenti didascalici, utili per chi non conosce fatti e personaggi ma stucchevoli per un pubblico avvertito;: quando non ridicoli e sommari, come certi riassuntini di momenti storici. In sintesi: affresco in parte riuscito, ma con tanti dettagli poco curati e superficiali.

Ma a lasciare perplessi sono l’accumulo di tesi, giudizi e amnesie irritanti. Se la teoria del doppio attentato (uno di destra, mortale, l’altro anarchico e solo dimostrativo) ha fatto discutere moltissimo, e se in una storia così confusa certi dettagli sono impossibili da decifrare a chi non ha seguito minuziosamente un iter giudiziario così opaco, basta qualche conoscenza storica sommaria per demolire il ritratto come si diceva banale del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, che sembra quasi tentato da una strategia della tensione in virtù del suo viscerale anticomunismo (retaggio forse dell’antipatia per questo coraggioso uomo politico, che nel 1948 salvò l’Italia uscendo dal Partito Socialista filocomunista e alleandosi alla Democrazia Cristiana con il suo Partito Socialdemocratico ); possibile liquidare così uno degli statisti principali, e sincero difensore della democrazia, che l’Italia abbia avuto? E anche la figura di Aldo Moro, nonostante la bravura “mimetica” di Gifuni, è viziata da troppo “senno di poi” (il futuro martire delle BR sembra già consapevole della propria futura tragedia). Soprattutto, Moro – qui visto quasi come un “progressista”, quando la “contestazione” del ’68 lo dipingeva come acerrimo nemico – è rappresentato come un politico e un uomo alle soglie della disperazione, che auspica confusamente un’apocalisse italiana per ripartire da zero. Del suo reale pensiero e della sua fede cristiana, ahinoi, nemmeno un accenno.
Antonio Autieri
https://www.sentieridelcinema.it/romanzo-di-una-strage/




1 comentario: