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jueves, 27 de mayo de 2021

La Grazia - Aldo de Benedetti (1929)

 


TÍTULO ORIGINAL
La grazia
AÑO
1929
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
90 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Aldo De Benedetti
GUIÓN
Gaetano Campanile-Mancini (Historia: Grazia Deledda) (Obra: Grazia Deledda, Claudio Guastalla, Vincenzo Michetti)
FOTOGRAFÍA
Ferdinando Martini (B&W)
REPARTO
Carmen Boni, Giorgio Bianchi, Bonaventura Ibáñez, Piero Cocco, Ruth Weyher, Aldo Moschino, Umberto Cocchi, Giuseppe Pierozzi, Augusto Bandini, Alberto Castelli, Tilde Dyer
PRODUCTORA
Adia, Orplid-Film GmbH, Sofar-Film
GÉNERO
Drama | Cine mudo

Sinopsis
Un extranjero llega a un pequeño pueblo de montaña en Cerdeña para ver la tierra que ha heredado. Allí conoce a una hermosa campesina de la que se enamora y con la que promete casarse. A su regreso tiene un accidente y es rescatado por una mujer rica, quien lo lleva a su casa y lo seduce. La campesina da a luz una niña fruto de la relación con el extranjero... (FILMAFFINITY)
 
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Uno no deja de encontrarse sorpresas de todo tipo aún hoy día rebuscando joyas silentes en los rincones más ocultos de oscuras filmotecas o de la red. Vean por ejemplo el caso de La Grazia (1929), una película italiana recientemente restaurada de la que este Doctor no tenía ni la más remota idea, y que resulta ser un film con suficientes cualidades como para rescatarlo del olvido.

Su director es Aldo de Benedetti, un prolífico guionista cuya carrera abarca desde los años 20 hasta los 70 y que en toda su vida sólo dirigió tres films, de los cuales éste es el último. El material de base era una novela de Grazia Deledda que más tarde se adaptaría en forma de ópera, un drama con un desenlace religioso ambientado en un pequeño pueblo de Cerdeña.

El protagonista es Elias, un joven que llega a una zona recóndita a inspeccionar unas tierras que ha heredado y se enamora de una pastora llamada Simona. Aunque ésta le rechaza, después se reencuentran en el pueblo durante Nochebuena y ahí la pastorcita no puede evitar sucumbir ante el atractivo extranjero. Al día siguiente éste le promete que después de que vuelva a su pueblo para conseguir los papeles necesarios, vendrá a casarse con ella. Pero por el camino una fuerte nevada le atrapa y acaba en la casa de una mujer acaudalada. La dueña de la mansión se encapricha de él y le seduce. Elias cede y acaba con ella… mientras Simona sigue esperándole  en su pueblo y da luz a un niño.

La Grazia es uno de esos ejemplos de películas de finales de la era muda, en que los rótulos eran más prescindibles que nunca, ya que se había llegado a tal dominio de las imágenes que la palabra escrita era innecesaria – de hecho si llegan a una versión de la película sin subtítulos, no se preocupen si no dominan el italiano, hay poquísimos rótulos y su contenido se puede deducir por las imágenes. ¡Ah, no hay nada como esa magia especial del cine mudo a finales de los 20! El hecho de que además fuera la época del canto del cisne de la era silente le da además un encanto extra, como si viéramos los últimos coletazos de una forma de hacer películas destinada a morir justo cuando había logrado la perfección.

A nivel de argumento, el film se basa sobre todo en los contrastes: ese pueblo rocoso y nevado en contraste con el pueblo de Elias (que nunca llegamos a ver pero nos es descrito a menudo) cálido y al lado del mar, las sencillas casas de los pueblerinos en contraste con la moderna mansión art déco de la femme fatale, y por supuesto el amor puro surgido por un flechazo entre Elias y Simona en medio de la naturaleza en contraste con la relación enfermiza (casi masoquista) entre éste y la femme fatale, que tiene lugar en una casa en que permanecen encerrados sin que éste se vea capaz de salir, como si fuera víctima de un hechizo perverso.

No se trata de una película redonda, y de hecho creo que la larga escena final (la más importante del film y la que le da título) podría haberse acortado un poco, pero aun así La Grazia tiene en algunos momentos esa magia especial del cine mudo, como el encuentro entre los dos protagonistas o la escena del catárquico milagro final. Una película a rescatar del olvido.
https://eltestamentodeldoctorcaligari.com/2017/04/23/la-grazia-1929-de-aldo-de-benedetti/


Viene da guardarlo con un'enciclopedia del cinema sotto mano il film di de Benedetti tratto dal racconto di Grazia Deledda, tanto è pieno di riferimenti al cinema internazionale che faceva furore in quegli anni.
Chaplin, Dreyer e Walsh, ma anche Hitchcock, Lang e Murnau. De Benedetti attinge a piene mani e con sapienza per mettere in scena una storia intrecciandola di riferimenti altissimi, su tutti l'espressionismo, ormai giunto alla fine della sua corsa in Germania, ma comunque in grado di affascinare anche in Italia adatto com'è alla descrizione e alla rappresentazione dei paesaggi esteriori in armonia a quelli interiori.
Inquadrature composte con grandissima abilità e una grande produzione girata per lo più in studio. Senza dubbio una delle punte più alte del cinema fascista, in grado (lontano da idealismi e propaganda) di mostrare sentimenti e passioni universali ben incastonati nella realtà italiana fatta di un forte retaggio classico (la prigionia erotica del protagonista simile a quella della maga Circe) al pari di una forte matrice cattolica (la grazia del titolo è il miracolo concesso da Dio alla fine del film).
A due anni dall'arrivo del sonoro quest'opera muta racconta con una modernità come sempre sconvolgente (ma ormai non meraviglia più quanto le opere mute siano più audaci e moderne di quelle sonore) di un'Odissea sarda, una lunga peregrinazione e un ritorno a casa, una colpa e un perdono.

Il film è disponibile ora in DVD, rimasterizzato benissimo e rimusicato. E proprio le musiche sono a tratti il punto debole per l'eccesso di protagonismo. Troppo spesso infatti la vivacità e la personalità della musica sembrano risaltare più delle immagini.
La scelta che è stata fatta è stata di carattere modernista, nessuno scimmiottamento delle musiche d'epoca, anzi una colonna sonora che in alcuni punti integra anche strumenti elettrici e la batteria jazz, mentre in altri è più sui toni della classica contemporanea. Questo inizialmente non fa bene al film (è anzi fastidioso nella scena della grotta) perchè tira fuori lo spettatore manifestando una netta frazione tra la musica e le immagini, mentre con il procedere del film trova più una sua armonia.
https://sonovivoenonhopiupaura.blogspot.com/2007/07/la-grazia-1929-di-aldo-de-benedetti.html


Aldo De Benedetti
Commediografo e sceneggiatore, nato a Roma il 13 agosto 1892 e morto ivi il 19 gennaio 1970. Rappresentante del teatro d'evasione del periodo fra le due guerre, con la sua abilità nel calibrare ritmi narrativi e notazioni d'ambiente, unita a una raffinata ironia nel costruire intrighi sentimentali, contribuì allo sviluppo del cinema dei cosiddetti telefoni bianchi. Partecipò a film di successo popolare degli anni Quaranta e Cinquanta, collaborando con registi come Mario Mattoli e Raffaello Matarazzo, ma anche con Alessandro Blasetti e Vittorio De Sica, per le opere che segnarono l'esordio di quest'ultimo nella regia. Nelle sue sceneggiature D. B. trasfuse la propria visione da cantore di mondi scomparsi, e anticipò alcuni temi del Neorealismo come l'attenzione al mondo della piccola borghesia e al melodramma popolare.
La sua intensa attività di commediografo durò dal 1916 al 1937 e riprese nel 1945 dopo una lunga interruzione, dovuta alla promulgazione delle leggi razziali (1938) da parte del regime fascista, durante la quale D. B. poté dedicarsi esclusivamente al cinema, senza però apparire nei titoli di testa dei film. Il suo esordio avvenne nel periodo del muto come regista di tre film, seppur non di rilievo: Marco Visconti (1925), Anita (1926), con Rina De Liguoro, e La grazia (1929), tratto dalla novella Di notte di G. Deledda, alla cui uscita attirò l'interesse di Blasetti. Nel 1932 D. B. scrisse soggetto e sceneggiatura (alla quale collaborò anche Mario Soldati) di Gli uomini, che mascalzoni… di Mario Camerini in cui, secondo un equilibrio di comicità e sentimento e sul motivo della canzone Parlami d'amore Mariù di C.A. Bixio, si alternano le vicende sentimentali di una commessa, figlia di un taxista milanese, e di un autista rubacuori. Trampolino di lancio per Vittorio De Sica, fino allora attore del teatro cosiddetto leggero e soprattutto delle commedie teatrali di D. B., il film ritrae con autenticità la Milano operosa degli anni Trenta. Nel 1937 per Blasetti scrisse la sceneggiatura di Contessa di Parma e dall'anno successivo iniziò con maggiore regolarità la sua attività cinematografica con soggetti, sceneggiature e adattamenti di proprie commedie. Negli anni Quaranta collaborò alla scrittura dei primi quattro film, soffusi di amabile ironia sentimentale, di De Sica regista: Rose scarlatte (1940), diretto insieme a Giuseppe Amato e tratto dalla commedia di successo Due dozzine di rose scarlatte dello stesso D. B., Maddalena zero in condotta (1940), Teresa Venerdì (1941) ‒ alla cui sceneggiatura parteciparono anche Gherardo Gherardi e, non accreditato, Cesare Zavattini ‒ e, infine, Un garibaldino al convento (1942). Scrisse quindi con Zavattini e Amato Quattro passi tra le nuvole (1942) di Blasetti, valutato positivamente dalla critica per la nuova vena di realismo di cui risultò pervaso; sceneggiò poi con Emilio Cecchi, Suso Cecchi d'Amico, Fulvio Palmieri, Fausto Tozzi, Mio figlio professore (1946) di Renato Castellani: la vicenda patetica e affettuosa, strutturata su un lungo arco temporale, di un bidello romano (un grande Aldo Fabrizi) che aspira a vedere il figlio professore nella 'sua' scuola; al film parteciparono come attori una serie di scrittori: Ennio Flaiano, Ercole Patti, Mario Soldati, Paolo Monelli e Francesco Iovine. Utilizzando gli schemi melodrammatici, come aveva già fatto, seppur non accreditato, per Stasera niente di nuovo (1942) di Mattoli, film che dovette il suo grande successo anche all'interpretazione di Alida Valli (che cantava Ma l'amore no di G. D'Anza), negli anni Cinquanta firmò, in collaborazione, le sceneggiature di melodrammi popolari diretti da Matarazzo (Catene, 1949; Tormento, 1950; I figli di nessuno, 1951). Negli anni successivi D. B. continuò a scrivere per il cinema, per lo più remake di film famosi; da ricordare comunque Una di quelle (1953) per la regia di Aldo Fabrizi: una vicenda patetica soffusa di toni umoristici, con la partecipazione di Totò e Peppino de Filippo.
https://www.treccani.it/enciclopedia/aldo-de-benedetti_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/


 


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