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miércoles, 5 de mayo de 2021

La mandragola - Alberto Lattuada (1965)

 

TÍTULO ORIGINAL
La mandragola
AÑO
1965
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
108 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Alberto Lattuada
GUIÓN
Alberto Lattuada, Luigi Magni, Stefano Strucchi (Obra: Niccolò Machiavelli)
MÚSICA
Gino Marinuzzi Jr.
FOTOGRAFÍA
Tonino Delli Colli (B&W)
REPARTO
Rosanna Schiaffino, Philippe Leroy, Jean-Claude Brialy, Totò, Romolo Valli, Armando Bandini, Nilla Pizzi, Jacques Herlin, Renato Montalbano
PRODUCTORA
Co-production Italia-Francia; Arco Film Roma
GÉNERO
Comedia | Siglo XVI

Sinopsis
Florencia. Siglo XVI. Un astuto joven, enterado de la imposibilidad de un notario para tener hijos con su hermosa mujer, se hace pasar por médico y afirma que el único remedio es que la mujer tome una infusión de mandrágora; pero hay un problema: el primero que haga el amor con ella morirá irremediablemente. Para evitar la muerte de su marido, la joven se acostará con otro hombre. (FILMAFFINITY)

Premios
1966: Oscar: Nominada a Mejor vestuario (B&N)
1965: Premios David di Donatello: Plato dorado (Rosanna Schiaffino)

2 
4 

Trama:
A Firenze vive una bellissima e casta signora, Madonna Lucrezia, moglie del vecchio notaio Nicia Calfucci. Un nobile fannullone e senza scrupoli, chiamato Callimaco, tenta in tutti i modi di sedurla, ma invano.
Il notaio desidera ardemente un erede e per guarire la sterilità della moglie venderebbe l'anima al diavolo. Callimaco con l'aiuto di Ligurio e la complicità di Frà Timoteo (Totò), indegno confessore della signora, fa bere alla signora una porzione di mandragola, erba miracolosa che guarisce dalla sterilità, ma può far morire chi ha rapporti sessuali con lei. Per questo il marito acconsente che un poveraccio giaccia con la moglie. Ma a posto del povero barbone va Callimaco. La bella Lucrezia disgustata del comportamento del marito e del frate, ma attratta dal giovane amante accetta la situazione come obbedienza al Divino volere.

Critica:
Il film, caratterizzato da una sceneggiatura teatrale di Luigi Magni e da una regia che si concede all'attualità, unitamente ad una scenografia impeccabile, ma molto vicina al gusto manieristico di Zeffirelli, non presenterebbe particolare interesse se non vi fosse de Curtis ad interpretare il ruolo marginale, ma molto importante di fra' Timoteo, fortemente "tipizzato", come nel testo originale, ma portatore di una recitazione umanizzata e densa di fermenti e di grovigli psicologici.

Il frate avaro e cinico, che nel testo di Machiavelli è toscano, nel film di Lattuada diventa napoletano, forse per giustificare il suo cinismo e la sua disponibilità ad "arrangiarsi".

Questa figura, come si esprime fisicamente, sembra inquadrarsi nel solco aperto da "Il monaco di Monza" e che ritroviamo, con esiti assolutamente disuguali, nel successivo "Uccellacci e uccellini".

"Pur essendo, per cinismo e avarizia, uno dei personaggi più negativi tra quelli interpretati da Totò, non si può fare a meno di provare una certa simpatia, mista a pena, per quest'uomo sul cui volto si legge pur tuttavia una secolare lotta per l'esistenza.

Infatti non conosciamo nulla del suo passato, ma dai suoi comportamenti e dalla sua psicologia possiamo dedurre che ci troviamo forse davanti a un "don Abbondio" in formato ridotto, caratterizzato non dalla paura ma dal denaro.

Egli entra in questa pochade con una totale indifferenza alle conseguenze morali del suo gesto, che porta a compimento con coerente coraggio, correndone tutti i rischi possibili.

Il personaggio di Timoteo sa esprimere con una recitazione asciutta, che non cede alle tentazioni della macchietta, per rimanere nell'ambito di un "tipo" ben delineato e caratterizzato, anche nella sua matrice dialettale, saporita ed egregiamente elaborata tutte le contraddizioni psicologiche che riflettono il timbro etico della società fiorentina ed italiana del Cinquecento. Di grande bellezza sono i primi piani che Lattuada ci regala di questo povero frate che si aggrappa a tutti i costi al potere del denaro per campare.

È un vero peccato che sia stato tagliato al montaggio il dialogo che fra' Timoteo ingaggia con la morte, perchè forse sarebbe venuta meglio in luce non solo la sua contraddizione morale, ma anche nello stesso tempo il suo compromesso con la vita e la società del tempo.

Totò appare in sole cinque sequenze, nelle quali lo vediamo accettare sul pozzo i ducati da messer Nicia che si finge sordo; poi nello splendido monologo per convincere Lucrezia, che si conclude con una piccola corsa, visto da dietro, del Totò prima maniera; poi in una sorta di finto pentimento con se stesso, condito con un'apparente autoflagellazione, che non gli impedisce di riscuotere il denaro; poi nella notte dell'imbroglio, dove si finge Callimaco e infine nella canonica, dove, per colmo della sua contraddizione, ma forse anche per uno scatto psicologico freudianamente comprensibile, rimprovera il sagrestano dicendo che non spolvera a sufficienza e concludendo, al colmo dell'assurdo, che nel mondo non c'è più devozione.
http://www.antoniodecurtis.org/mandra.htm

La storia, che nel film si svolge a Firenze nell'anno 1500, è di come Callimaco (Philippe Leroy) riesce a fare l'amore con Lucrezia (Rosanna Schiaffino) malgrado la ritrosia iniziale della donna, che è molto religiosa, e malgrado che il marito di Lucrezia, il ricco notaio Nicia (Romolo Valli) la custodisca con cura. Callimaco viene aiutato da Sostrata (Nilla Pizzi), la madre di Lucrezia e da Ligurio (Jean-Claude Brialy), un parassita di Nicia che per denaro fa il ruffiano di Callimaco. Il contributo determinante lo dà, sempre per denaro, Fra' Timoteo (Totò), che trova argomentazioni religiose per ottenere che Lucrezia accetti. Il cavallo di Troia del successo di Callimaco è nel fatto che Nicia e Lucrezia non hanno figli dopo quattro anni di matrimonio: si fa credere a Nicia che basta che Lucrezia beva un infuso della radice dell'eba mandragola per risolvere il problema.
Va però considerato che il primo uomo che farà l'amore con Lucrezia morirà nel giro di qualche giorno, quindi occorre catturare un balordo che giri di notte per Firenze. Il balordo sarà Callimaco sotto mentite spoglie. Il lieto fine è generale: Ligurio e Fra' Timoteo hanno incassato dei bei soldi (fiorini, credo, anche se nel film si parla di ducati), Callimaco ha appagato il suo desiderio, Sostrata, se Lucrezia diventa madre, avrà il futuro assicurato anche quando non ci sarà più Nicia, che è anziano. Nicia poi trasuda gioia da tutti i pori, si vede già nella parte di padre felice. Ma la più contenta è Lucrezia, che pure inizialmente ha fatto resistenza: Callimaco le è piaciuto e prevede di continuare felicemente con lui anche in futuro. Così, verso la fine della commedia di Niccolò Machiavelli Callimaco racconta a Ligurio le parole che gli ha detto Lucrezia:

"Poiché l'astuzia tua, la sciocchezza del mio marito, la semplicità di mia madre e la tristizia del mio confessoro mi hanno condutto a fare quello che mai per me medesima arei fatto, io voglio iudicare che venga da una celeste disposizione, che abbi voluto così, e non sono sufficiente a recusare quello che 'l Cielo vuole che io accetti. Però, io ti prendo per signore, patrone, guida: tu mio padre, tu mio defensore, e tu voglio che sia ogni mio bene; e quel che 'l mio marito ha voluto per una sera, voglio ch'egli abbia sempre. Fara'ti adunque suo compare, e verrai questa mattina alla chiesa, e di quivi ne verrai a desinare con esso noi; e l'andare e lo stare starà a te, e potremo ad ogni ora e sanza sospetto convenire insieme".

A me l'atteggiamento che alla fine assume Lucrezia fa venire in mente una delle più belle e meno lette novelle del Boccaccio, -la novella decima della giornata seconda- quella in cui Paganino di Monaco, famoso corsale, ruba la moglie Bartolomea a Riccardo di Chinzica che finalmente la ritrova e le chiede di tornare con lui. Così gli risponde Bartolomea:

"Sonmi abbattuta a costui che ha voluto Iddio, sì come pietoso ragguardatore della mia giovanezza, col quale io mi sto in questa camera, nella qual non si sa che cosa festa sia (dico di quelle feste che voi, più divoto a Dio che a'servigi delle donne, cotante celebravate), né mai dentro a quello uscio entrò né sabato né venerdì né vigilia né quattro tempora né quaresima, ch'è così lunga, anzi di dì e di notte ci si lavora e battecisi la lana; e poi che questa notte sonò mattutino, so bene come il fatto andò da una volta in su. E però con lui intendo di starmi e di lavorare mentre sarò giovane; e le feste e le perdonanze e i digiuni serbarmi a far quando sarò vecchia; e voi colla buona ventura sì ve n'andate il più tosto che voi potete, e senza me fate feste quante vi piace".


Penso che nei licei una novella del genere non entri, ma potrei sbagliarmi. Di Giovanni Boccaccio non si parla quasi mai e poco lo si legge: è diventato l'etimologia di un aggettivo, boccaccesco, usato generalmente in modo del tutto improprio. Uno scrittore che da solo costituirebbe la gloria di una letteratura.

Ne "La mandragola" del Machiavelli il personaggio di Lucrezia non è mai in scena, salvo quando Fra' Timoteo argomenta per convincerla. Però se ne parla spesso, perché è l'unico ostacolo ad un piano che fa contenti tutti. I personaggi di Nicia, Ligurio e Callimaco sono piuttosto usuali, mentre per Fra' Timoteo il discorso è diverso. Riporto alcune delle parole che dice a Lucrezia:

"Voi avete, quanto alla conscienzia, a pigliare questa generalità, che, dove è un bene certo ed un male incerto, non si debbe mai lasciare quel bene per paura di quel male. Qui è un bene certo, che voi ingraviderete, acquisterete una anima a messer Domenedio; el male incerto è che colui che iacerà, dopo la pozione, con voi, si muoia; ma e' si truova anche di quelli che non muoiono. Ma perché la cosa è dubia, però è bene che messer Nicia non corra quel periculo. Quanto allo atto, che sia peccato, questo è una favola, perché la volontà è quella che pecca, non el corpo; e la cagione del peccato è dispiacere al marito, e voi li compiacete; pigliarne piacere, e voi ne avete dispiacere. Oltra di questo, el fine si ha a riguardare in tutte le cose; el fine vostro si è riempire una sedia in paradiso, contentare el marito vostro. Dice la Bibia che le figliuole di Lotto, credendosi essere rimase sole nel mondo, usorono con el padre; e, perché la loro intenzione fu buona, non peccorono".

E' un personaggio inconsueto, e sono sorprendenti le parole che dice in un soliloquio durante la notte ruffiana che provocherà la soddisfazione generale:

"Io non ho potuto questa notte chiudere occhio, tanto è el desiderio, che io ho d'intendere come Callimaco e gli altri l'abbino fatta. Ed ho atteso a consumare el tempo in varie cose: io dissi mattutino, lessi una vita de' Santi Padri, andai in chiesa ed accesi una lampana che era spenta, mutai un velo ad una Nostra Donna, che fa miracoli. Quante volte ho io detto a questi frati che la tenghino pulita! E si maravigliano poi se la divozione manca! Io mi ricordo esservi cinquecento immagine, e non ve ne sono oggi venti: questo nasce da noi, che non le abbiàno saputa mantenere la reputazione. Noi vi solavamo ogni sera doppo la compieta andare a procissione, e farvi cantare ogni sabato le laude. (...)
Ora non si fa nulla di queste cose, e poi ci maravigliamo se le cose vanno fredde! Oh, quanto poco cervello è in questi mia frati! Ma io sento un grande romore da casa messer Nicia. Eccogli, per mia fé! E' cavono fuora el prigione. Io sarò giunto a tempo. Ben si sono indugiati alla sgocciolatura, e' si fa appunto l'alba. Io voglio stare ad udire quel che dicono sanza scoprirmi".


Fra' Timoteo, coinvolto del tutto nella losca trama, riesce anche a preoccuparsi perché i frati e le chiese non sono più quelle di una volta. Continua a fare il tifo per la squadra in cui è cresciuto. E' il personaggio più geniale della commedia del Machiavelli e qui, nel film di Lattuada è servito magnificamente da un Totò che fa il sordido commosso, ottenendo la credibilità degli sciocchi, che sono sempre la maggioranza. Nella commedia, si dà addirittura da fare per procurare aborti. Il Macchiavelli ha trasfuso in Fra' Timoteo tutta la lucida acredine che aveva contro la religione e la chiesa, da tutti i punti di vista.

Ma prima di lodare il film dico quello che per me è il difetto di fondo: non è una colpa di Lattuada, magari fosse così. E' che a fare film sulla nostra storia e civiltà è da sempre una gara dura in Italia, perché c'è il problema del pubblico più mancante che pagante. Non parlo dell'aspetto erotico, che in Lattuada è sempre elegante ed assai vivace, fin dal film che fece con Fellini, "Luci del varietà" che purtroppo non riesco a trovare. Ma dal punto di vista dialoghi, moine, mossette, piccole volgarità però di tipo proprio volgare. E' una tassa da pagare, e dispiace vedere e sentire certi dialoghi con attori come Romolo Valli (straordinario anche qui) e Jean-Claude Brialy, che certamente piace benché faccia il ruffiano. Si divertono molto, forse troppo, e la facilità stanca. Una sorpresa è Nilla Pizzi nella parte della madre di Lucrezia, una parte da donna semplice, ma un po' furba e gaglioffa. Mentre è colpa mia, lo ammetto, ma quando vedo Philippe Leroy vorrei sempre che facesse Janez, l'amico di Sandokan Kabir Bedi. Rimane Rosanna Schiaffino. Lo so, non è che abbia molte espressioni diverse, ma quelle poche che ha bastano al sesso maschile. Qui ci si aggiungono i costumi, la fotografia, la parrucchiera ignota che meriterebbe un monumento e soprattutto l'occhio avido ed elegante di Lattuada, in grado di trarre da certe attrici aspetti che normalmente non ci sono. Come Lattuada ci si nasce, è inutile lodarlo o criticarlo, è fatto così.
Solimano
http://abbracciepopcorn.blogspot.com/2007/12/i-triangoli-nel-cinema-la-mandragola.html


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