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domingo, 10 de noviembre de 2013

Finché c'è guerra c'è speranza - Alberto Sordi (1974)


TITULO ORIGINAL Finché c'è guerra c'è speranza
AÑO 1974
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Italiano (Separados)
DURACION 125 min.
DIRECCION Alberto Sordi
GUION Alberto Sordi, Piero De Bernardi, Leo Benvenuti
REPARTO Alberto Sordi, Alessandro Cutolo, Matilde Costa Giuffrida, Fernando Daviddi, Eliana De Santis, Mauro Firmani, Silvia Monti
FOTOGRAFIA Sergio D'Offizi
MONTAJE Ruggero Mastroianni
MUSICA Piero Piccioni
PRODUCCION RIZZOLI
GENERO Comedia

SINOPSIS Spinto dalle crescenti richieste di moglie e figli che, insaziabili, chiedono sempre più lusso, mercante d'armi si immerge in affari sempre più sporchi. "Rozzo come uno spettacolo di varietà, attuale come un articolo di quotidiano, onesto come una dichiarazione di voto" (T. Kezich). L'impegno c'è, ma le banalità non mancano. Provvede (quasi) a tutto l'alto istrionismo dell'attore, qui anche sceneggiatore (con L. Benvenuti e P. De Bernardi) e regista. (Il Morandini)

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Subtítulos (Italiano)


“È stato l'attore più grande ma è soprattutto stato uno straordinario autore, l'artefice del suo personaggio con cui ha attraversato più di 50 anni di storia italiana. Da regista dico che era straordinariamente facile lavorare con Sordi proprio perché era un grandissimo; bastavano poche occhiate e ci si capiva sul tono da dare alla sua interpretazione e quindi al film. È stato un comico capace di contraddire tutte le regole del comico.” 
Mario Monicelli 

TRAMA:
Pietro Chiocca, abbandonata da molto tempo la rappresentanza di pompe idrauliche, gira per i Paesi del Terzo Mondo alla ricerca di clienti per armi di ogni tipo. Pressato dalle crescenti esigenze di una famiglia in cui sia la moglie che i rampolli sono cresciuti nel lusso e ora, insaziabili, bramano villa con piscina e night e mille altre futilità dispendiose, Piero s'avventura in "affari" sempre più grossi, ma anche sempre piu' sporchi. Messo a contatto con la resistenza in Angola da un giornalista del "Corriere della Sera", dallo stesso viene poi denunciato all'opinione pubblica italiana con articoli dal titolo "Ho incontrato un mercante di morte". Reduce da una traumatica avventura, il mercante di cannoni trova la famiglia raccolta in domestico tribunale. Ritorcendo l'attacco, Pietro si dice disposto a tornare alle pompe idrauliche e lascia ai congiunti una decisione: saranno i suoi, decisi a non perdere quanto hanno acquisito, ad imporgli di riprendere il suo sporco mestiere.

CRITICA:
Scritto, diretto e interpretato da un Sordi che ormai vuol fare tutto da solo, il film ha alti e bassi, da cui derivano grazie giocose, inamabili stridori e qualche pesantezza descrittiva. Quasi spaccato in due parti, la prima tutta buffonesca la seconda d'una drammaticità un po' generica, il racconto non trova nella figura del protagonista un perfetto punto di fusione fra il Sordi comico e il Sordi satirico... (G.Grazzini - Cinema '74)
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Secondo film della serie “Sordi politico” è Finché c’è guerra c’è speranza datato 1974. Ma potrebbe tranquillamente datarsi 1985, 1997, 2013. Ahimé la storia narrata è ciò che accade da secoli in Africa, ma in realtà in ogni parte di questo nostro mondo dilaniato da guerre, rivoluzioni e rivolte, in cui la lotta sfrenata per il profitto alimenta l’odio e il rancore, le radicalità etniche e religiose dei popoli per spartirsi nuove fette di mercato, per trovare nuovi territori da invadere con le proprie merci e i propri capitali, mettendo su governi fantocci corrotti e compiacenti, uccidendo le realtà particolari e creando un super governo mondiale retto dalle grandi potenze e dalle grandi banche d’affari.
Pietro Chiocca, affermato commesso viaggiatore di una ditta d’armi da guerra, felicemente spostato con tre figli e una bella casa nel centro di Milano, vive praticamente in aereo spostandosi da un paese ad un altro, da un continente ad un altro, vendendo strumenti di morte a chiunque ne faccia richiesta. Il suo campionario è vastissimo, fornito di tutti i ritrovati della tecnica, pronto a soddisfare qualsiasi necessità. Il motto è: “Avete una rivoluzione, una guerra civile, la Panaexport ve li risolve”. Dopo aver vinto con l’astuzia e con la corruzione una gara per l’approvvigionamento di materiale bellico ad un paese africano e dopo essersi accaparrato ad un’asta internazionale un nutrito lotto di armi leggere dismesse dell’esercito francese, sbaragliando – con l’inganno e il doppiogioco – tutti i concorrenti, riesce a farsi assumere da un’importante armatore di Montecarlo. Guadagnando molto di più, può finalmente permettersi di ‘regalare’ alla sua famiglia un’accattivante villa in Brianza, con piscina e campo da golf completa di ‘amusement’ fino a poco prima inimmaginabili. Vendendo una partita di caccia a reazione in un paese africano dilaniato da una faida intestina tra governativi e ribelli, si renderà conto dell’orrore indicibile che le sue ‘innocue’ armi producono, prendendo finalmente coscienza della reale natura del suo mercimonio. Tornato a casa, dopo aver appreso che l’oscuro ed ambiguo giornalista che l’aveva accompagnato nella giungla per vendere armi usurate dell’esercito governativo ai ribelli aveva scritto un reportage su di lui, moglie e figli lo accusano  – inorriditi –  di essere un “mercante di morte”. Pietro provato moralmente decide di cambiare lavoro ma la sua famiglia, dopo aver capito che non potrà mantenere lo stile di vita “faraonico” in cui ormai si è abituata a vivere, decide di dimenticare e induce Pietro a ritornare subito a lavoro.
Non ci interessa in questa sede valutare la cifra estetica e narrativa del film. Numerosi critici molto ma molto più illustri e competenti di noi lo hanno già fatto, forse con toni troppo sprezzanti al limite di quello stesso qualunquismo di cui accusavano il film e il suo istrionico protagonista.
Ci interessa penetrare nel tema centrale del film e cioè il qualunquismo, l’egoismo del mercato, di cui Pietro Chiocca non è che, parafrasando Marx, la personificazione. Qualunquistico non è il buon padre di famiglia che con la truffa e il raggiro (tipico della “macchietta” Sordi in tutti i suoi 50 anni di carriera, basti pensare al Dottor Tersilli) riesce a farsi assumere da un prestigioso ed influente mercante d’armi per dare alla sua famiglia, già agiata, un benessere ancora più elevato. Ma il mercato che rende tutto vendibile e tutto comprabile, che dà prezzo e misura a tutto, che decreta la vita così come la morte di un prodotto, qualunque esso sia, reo di non dare profitti in grado di ripagare l’investimento iniziale. Il ciclo della valorizzazione indicato da Marx nel Capitale (V-V’) è sempre, costantemente in funzione. Che siano medicine o armi da guerra, zanzariere o mine antiuomo non ha alcuna importanza; l’importante è la loro vendibilità. Il loro puro e semplice successo commerciale. E quali prodotti ieri come oggi vanno a gonfie vele, se non quello delle armi e della droga, in tutte le sue forme? Si sa, la morte rende più che la vita.
In questo ha  perfettamente ragione lo stesso Chiocca, quando parlando con il reporter che lo intimava a fare un esame di coscienza sulla natura esiziale della sua professione gli risponde senza mezzi termini: «La vedi questa (indicando una pistola)? Non è ne buona né cattiva. Io te la vendo così com’è. Se tu che dopo puoi decidere come usarla. Io non faccio della politica». E subito dopo, leggendo un articolo che lo stesso giornalista gli aveva mostrato sulle nuove armi in circolazione, si sorprende che siano state inventate mine anti uomo a forma di bambola, con aggiunta di micidiali schegge metalliche. Chiocca, da buon commerciante, non fa della politica, non cade nella trappola del moralismo e annuisce asserendo che questa invenzione, seppur in linea teorica devastante, avrà un grandissimo successo commerciale. Cosa che puntualmente avvenne.
Nell’astuta ingenuità (o falsa coscienza) di Chiocca vi è però una brutale e disumana verità. Non vi può essere un capitalismo etico. Se accettiamo che il mercato regoli e disponga della nostra vita dalla culla alla tomba, se accettiamo che il denaro sia l’equivalente generale che regola lo scambio di tutto ciò che viene prodotto, non possiamo pretendere che vi siano delle merci, dei prodotti che abbiano un certificato di ‘eticità’. Come detto, la regola aurea è: dove c’è domanda c’è offerta. Dove c’è offerta c’è profitto. Il resto non conta. Questo vale per le discariche abusive di rifiuti tossici e relativi traffici internazionali (Gomorra insegna), per il disboscamento di intere aree della foresta amazzonica per estrarre il legno che andrà a riempire le riserve a basso costo dell’Ikea, cosi come per allargare i pascoli per far crescere i bovini che ci ritroveremo nel piatto o in un triste fast food.
Ed è precisamente questa dimensione ‘normalizzante’ e qualunquistica della disumanità del mercato ciò che ci disturba. Il vedere concretizzato sullo schermo, con ritmi da commedia, ciò che tutti sappiamo ma che facciamo finta di non vedere. L’essere cioè immersi in una melassa spaventosa dentro la quale siamo cresciuti e ci siamo riprodotti, in cui abbiamo determinato le nostre scelte e i nostri valori, da cui però non possiamo uscire, pena la perdita ‘di un benessere’ pagato a caro prezzo e a spese – spesso – dei più deboli, depredati dai più forti.
Il tema della colonizzazione o della neocolonizzazione, molto di moda negli anni ’70 e ’80, così come l’attenzione al cosiddetto ‘terzo mondo’, oggi sembra un po’ sbiadito (anche perché molti di quei paesi e di quelle aree oggi sono in forte crescita superando quasi i livelli del cosiddetto ‘occidente’, dove ritornano in auge povertà e emarginazione che si pensano ormai debellate), ma non il contesto di corruzione e di lotte intestine che in quei paesi arricchiscono solo i mercanti ‘di morte’ e burocrazie politiche corrotte e degenerate.
La regia attenta e mai sciatta di Sordi, che dosa bene campo e controcampo, che valorizza dettagli solo all’apparenza insignificanti, dando spessore al ritmo e alla qualità della narrazione, ci pone di fonte a due ‘corruzioni’. Quella di un Occidente in crisi verticale di valori (famiglie sbandate, in cui alla comunicazione e alla condivisione subentra la ricerca spasmodica di denaro e solipsistici status simbol) e di autocoscienza (sa di vivere alle spalle di un mondo affamato ma non se ne cura), che fa enorme fatica a ripudiare il suo passato coloniale, e dall’altra un terzo mondo a cui, alle sue faide interne, si aggiungono le mille contraddizioni che quel passato gli ha irrimediabilmente lasciato in eredità, inabile – debole com’è – ad affrontarne il peso.
Una dialettica drammatica a cui Sordi ci fa ben assistere, forse con qualche banalità di troppo, forse con vaghi accenni all’abusato canovaccio dell’avanspettacolo e al cinismo degno dell’’italiano colonizzatore’, che dall’alto del suo imperialismo straccione – come lo apostrofò Lenin – si sente il padrone del mondo. Un’operazione filmica tutto sommato integra, quadrata dall’inizio alla fine, efficace nel segnalare l’abdicazione di un modello di sviluppo ineguale che radicalizza la povertà così come accelera in chi vuole vivere al di sopra delle proprie possibilità, inseguendo modelli che non gli appartengono, il livello di ignavia, godendo di una ricchezza espropriata all’altro capo del mondo.
Mai come in questo film, ‘la macchietta’ Sordi, il guitto d’avanspettacolo, il simbolo stesso del cinico qualunquismo dell’italiano medio, menefreghista e traffichino (oggi diremmo faccendiere), cozza violentemente contro lo stesso orrore che ha contribuito a determinare con la sua ‘innocente’, naturalistica, indifferenza. E Sordi dosa alla perfezione, aiutato da due ottimi sceneggiatori che hanno fatto la storia della commedia all’italiana come Benvenuti e De Bernardi, l’amara doppiezza del suo personaggio per infondere un totale senso di spaesamento, nell’assumersi sinceramente le proprie responsabilità.
Nel climax finale forse la retorica terzomondista prevale, ma il grido disperato di un uomo incastrato tra il benessere personale e quello della sua famiglia, tra i bisogni di un Occidente opulento che non sa più accontentarsi e il genocidio sprigionato a cosi caro prezzo, è tra i più autentici del nostro cinema. Assistiamo basiti ad un conatus di ribellione così straripante (evocando quasi l’ansia emancipativa del Fu Mattia Pascal pirandelliano) da trasfigurare perfino la maschera espressiva, l’emotività interna di chi fino a quel momento era considerato uno dei simboli stessi del malcostume italiano, solo perché ne rappresentava, meglio di nessun altro, l’inconfondibile stile deteriore. L’errore fu, ed è ancora oggi, quello di non saper distinguere il ‘male’ da chi lo incarna. Vecchia storia. Albertone ce l’ha insegnato: «Io faccio i ruoli che nessuno vuole fare.»  Ci vuole coraggio a dare la faccia a personaggi come Pietro Chiocca. Mentre è molto più facile gloriarsi di una moralità mai veramente posseduta.
Claudio Vettraino


Un film che tratta la guerra attraverso gli occhi egoisti e furbi di un mediocre commerciante d'armi; la storia mostra i mezzucci che il protagonista usa per accaparrarsi i clienti, sbaragliare la concorrenza e per convincere i governi dei paesi più poveri a promuovere iniziative che spingano il popolo alla guerra civile piuttosto che alla pace.
Nel film si vedono  le ragioni di questo venditore che ha una famiglia ricca, viziata e perennemente insoddisfatta che gli fa pressione per lussi e doni sempre più preziosi, facendo finta di non vedere(almeno la moglie)da dove e a che prezzo quei soldi vengono guadagnati.
La routine delle vendite si spezza quando un giornalista italiano lo conduce da un gruppo di ribelli: per una sequenza di eventi a lui sfavorevole il protagonista si ritroverà sotto i bombardamenti e gli spari delle armi e degli aerei che lui stesso ha venduto. A questo punto, per chi guarda, diventa evidente come le  precedenti chiacchiere del protagonista sulle armi come oggetti neutri di cui l'uomo sceglie l'uso(buono o cattivo) da farsi, siano scialbe giustificazioni e idee codarde dettate dall'opportunismo e dall'ignoranza del dolore altrui.Il protagonista non può più ignorare o fingere di non capire l'effetto distruttivo delle armi che vende: il loro effetto è ora sotto i suoi occhi.
Dopo questa difficile esperienza il venditore torna a casa e scopre che il giornalista ha scritto un articolo su di lui intitolato"ho incontrato un mercante di morte"; per questo pezzo la sua famiglia diventa bersaglio di pubblico disprezzo e tutti loro vengono evitati e criticati.
Tutta la famiglia si riunisce così sul lussuoso divano di casa per fare  la predica e rimproverare il loro genitore e marito; il protagonista non si scompone troppo e lascia scegliere a loro il futuro della famiglia dichiarandosi disponibile a cambiare mestiere a patto che loro accettino le conseguenze e le rinuncie conseguenti a questa scelta, rinunce che porterebbero ad una vita con uno stipendio normale e senza spazio per il lusso; l'uomo li lascia scegliere: loro però non accettano di perdere il loro status e i loro beni e lo spingono a continuare decidendo di ignorare, per il loro interesse e con grande ipocrisia, il modo in cui quei soldi sono guadagnati. Nel finale il protagonista prenderà quindi l'ennesimo aereo che lo porterà nel solito paesino povero devastato dalla guerra civile a cui vendere armi.

Bello il discorso dell'uomo alla famiglia:

« Perché vedete... le guerre non le fanno solo i fabbricanti d'armi e i commessi viaggiatori che le vendono. Ma anche le persone come voi, le famiglie come la vostra che vogliono vogliono vogliono e non si accontentano mai! Le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano! ...Costano molto, e per procurarsele qualcuno bisogna depredare!  »
È un film cinico che pecca di lentezza e a volte di superficilità(il protagonista è del tutto vuoto, infantile e anche piuttosto mediocre) il film vale la pena di essere visto  per i dieci minuti di riflessione finale e perché offre una prospettiva inedita su un argomento controverso e di grande complessità: lo fa con una leggerezza che riesce lo stesso a dar da pensare.
È un film agro-dolce che parla di giustizia,priorità, egoismo e scelte personali. Fatto bene. Interessante.
Lo consiglio.  
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Finchè c'è guerra c'è speranza (1974) [17 errori]

Geografia: [N°4356] Nella sequenza in cui vengono bombardate le basi dei ribelli, appaiono scene documentaristiche di bombardamenti al napalm sul Vietnam ad opera di aerei Phantom americani; mentre il film è ambientato in un paese africano non specificato ma identificabile con l'Angola portoghese.

ND: [N°17496] Nel primo dei due viaggi in africa del protagonista, si deduce che l'azione si svolge in una ex colonia francese(la lingua usata nei dialoghi), ma nella citta' i manifesti che si vedono sono scritti in inglese.

Continuità: [N°49393] Nella scena in cui Alberto Sordi parla al telefono in albergo disteso sul letto, dicendo che sta male per la roba africana che ha mangiato prima, il comodino con il telefono è alla sua destra, sul lato destro del letto e infatti lui regge il telefono con la mano destra. Ad un certo punto entra in camera il mercenario tedesco, e al cambio di inquadratura e fino alla fine della scena, il comodino si è "magicamente" spostato al lato sinistro del letto, e Sordi continua a parlare al telefono, a fare la stessa telefonata ma reggendo la cornetta con la mano sinistra!

Doppiaggio/Cartelli: [N°50671] Quando Alberto Sordi sta parlando con il trafficante d'armi nella barca a Montecarlo, il doppiaggio di quest'ultimo è veramente sfasato: a volte si sente il dialogo mentre ha la bocca chiusa e viceversa, e comunque non corrisponde quasi mai il labiale...

Incongruenza: [N°66435] Scena finale: Alberto Sordi riparte per uno dei suoi viaggi, pensando ai figli ecc. Viene inquadrato seduto in aereo, ripreso dall'esterno attraverso un finestrino QUADRATO. Subito dopo si vede l'aereo che decolla: peccato sia un Caravelle, e il Caravelle (bello e famoso) aveva i finestrini TRIANGOLARI!

Incongruenza: [N°72835] Scena finale Alberto Sordi parte dall'areoporto di Milano diretto molto probabilmente in Africa. Sordi si trova a bordo di un Sud Aviation Carravelle, un aereo a medio raggio, che non avrebbe potuto arrivare più a sud di Palermo.

Incongruenza: [N°76616] Sordi parte con il giornalista alla ricerca del capo ribelle Manes su una Land Rover (1h25'). Alla partenza della villa si tratta di una Land Rover 109" Serie III, oppure di una 109" Serie IIA come mi sembra più probabile (difficile dirlo dal film perché le modifiche tra le due sono minime dal punto di vista estetico, se non la griglia del radioatore in acciao ed in plastica nella Serie III. Entrambe potevano essere in uso all'epoca del film dato che la serie III ha iniziato la produzione nel 1971). Poco dopo vi sono delle scene di avvicinamento con panorami africani. Al minuto 1h29'53" si vede che la Land Rover cambia modello ripetutamente. Prima (1h29'53") è il modello IIA come all'inizio, poi nella scena del baobab (1h29'59") diviene una Land Rover 109" modello II (la si riconosce perché i fari sono incassati all'interno nel radiatore e non posti sui parafanghi all'esterno), ed infine, all'arrivo, diviene ancora una Serie IIA.

Fisica/Dinamica: [N°77178] Quando Chiocca fa una rappresentazione serale a "Le president" si nota che come bersaglio ha preparato numerose diavolerie tipo pesci, uova, polli, lampadine, poi ci sono delle padelle che dovrebbero essere colpite da proiettili e fare una specie di melodia "samba Africana". Ma con quel calibro innanzitutto le padelle dovrebbero essere distrutte dai proiettili ma almeno dovrebbero fare dei movimenti violenti, ma si vede che restano praticamente immobili!

Incongruenza: [N°77218] Prima di andare con il giornalista a trovare i guerriglieri, Chiocca fa una telefonata alla moglie, e lei ha una solita crisi depressiva dicendo cha ha freddo, infatti lui le dice "da voi e' pieno inverno fara' molto freddo", ma appena arriva a casa sua sono tutti con vestiti estivi a maniche corte, come fosse appunto estate e non inverno pieno.

Trucco: [N°82454] Il parlamento della nazione africana approva l'acquisto delle armi , c'e una protesta dei cittadini e uno di loro viene colpito da un soldato con il calcio del fucile. Per la botta si accascia al suolo (forse morto), e Chiocca ci passa accanto , ma al successivo stacco di inquadratura, il corpo del "quasi morto" ha cambiato posizione.

Incongruenza: [N°83657] Quando Chiocca fa vedere il contenuto della valigetta in areoporto si vede che all'inizio e' una normalissima valigetta 24 ore, ma quendo la apre diventa un valigione molto piu grosso!

Continuità: [N°87823] Quando Balcazar scopre che i tedeschi l'hanno tradito, posiziona la mitragliatrice a nastro verso il palco presidenziale e comincia a sparare scrivendo sulla tribuna. Ma non può sparare visto che il nastro che contiene i proiettili è immobile.

Trucco: [N°87825] Durante l'esibizione di armi davanti a "le president" ci sono dei manichini che prendono fuoco e subito dopo spariscono, in un lampo senza nemmeno lasciare traccia di resti bruciati.

Continuità: [N°87826] Quando Chiocca e la moglie vanno a vedere la prima volta la villa alla "Pinetina" parcheggiano l'auto nel vialetto , ma quando vanno per riprederla e' parcheggiata piu' avanti sotto il cartello!

Incongruenza: [N°87859] Quando Chiocca sta atterrando con il caccia , si vede che l'aereo e' sprovvisto di missili . I missili appaiono misteriosamente quando l'aereo e' a terra , ma subito dopo nel volo di "Collaudo" riappaiono magicamente!

Continuità: [N°88484] Quando Chiocca torna a casa nella scena finale, porta ancora i segni del bombardamento al quale è scampato. Evidentemente è ripartito subito dall'Africa, senza neanche il tempo di cambiarsi. In così poche, come ha fatto il giornalista a far pubblicare il reportage sulla prima pagina del Corriere?

FraseFamosa: [N°91272] Perché vedete... le guerre non le fanno solo i fabbricanti d'armi e i commessi viaggiatori che le vendono. Ma anche le persone come voi, le famiglie come la vostra che vogliono vogliono vogliono e non si accontentano mai! Le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano!! ...Costano molto! ...e per procurarsele qualcuno bisogna depredare!

2 comentarios:

  1. Tengo un pedido más que añadir a mis anteriores, si puedo atreverme...
    "Lupi nell'abisso" (1959), dirección Silvio Amadio.
    Una rareza tan desconocida que ni siquiera tiene entrada en Wikipedia... ni hablar de DVD, por supuesto... ¡Gracias de antemano! :o)

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  2. Qué gran peli y gran banda sonora..... gracias!

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