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martes, 12 de noviembre de 2013

Storie di ordinaria follia - Marco Ferreri (1981)


TÍTULO ORIGINAL 
Storie di ordinaria follia  
AÑO  
1981  
IDIOMA 
 Italiano
SUBTITULOS 
 Español (Separados) 
DURACIÓN 
101 min. 
DIRECTOR 
Marco Ferreri 
GUIÓN 
Marco Ferreri, Sergio Amidei, Anthony Foutz (Libro: Charles Bukowski) 
MÚSICA 
Philippe Sarde 
FOTOGRAFÍA  
Tonino Delli Colli 
REPARTO  
Ben Gazzara, Ornella Muti, Susan Tyrrell, Tanya Lopert, Roy Brocksmith, Katya Berger, Hope Cameron, Judith Drake, Patrick Hughes 
PRODUCTORA  
Coproducción Italia-Francia 
GÉNERO 
 Drama | Biográfico 

Sinópsis 
Basada en las experiencias del escritor Charles Bukowski, cuenta cómo un poeta pasa su vida oscilando entre terribles borracheras y extravagantes mujeres de todo tipo. (FILMAFFINITY) 
 
PREMIOS 1981: Festival de San Sebastián: FIPRESCI
2 

"Fare una cosa pericolosa con stile è fare dell'arte", dice all'inizio il protagonista di Storie di ordinaria Follia, e cioè, come si sa, Charles Bukovsky, autore che si racconta in prima persona, nei suoi romanzi come in questo film. Parrebbe un motto fatto apposta per il regista. Che ha almeno questo in comune con lo scrittore: il gusto, e anche l'arte. di andare ai limiti del proibito e del possibile. In quella zona, pericolosa appunto, dov'è facile cadere dalla provocazione al ridicolo; dall'assurdo, dal fantastico, dal poetico, quindi, al kitsch o al grand-guignol.
C'e una scena, in Storie di ordinaria Follia, che è tipica in questo senso: Bukovsky, in una delle sue innumerevoli esperienze sessuali, si ritrova con una grassona immensa. Per ritornare nel grembo della propria madre, come dice, non trova di meglio che provarci letteralmente. Cacciando la testa e spingendo, fra le gambe divaricate della poveretta allungata sul pavimento. Ben Gazzara, grandissimo attore che conosciamo per alcuni capolavori girati con Cassavetes, quando si ritrae ha le lacrime agli occhi. E l'arte di Ferreri consiste proprio in questo: non solo non sghignazziamo; ma stavamo per crederci.
Storie di ordinaria Follia ha pagine splendide, e non solo per la fotografia di Tonino delli Colli che ha tradotto in modo commovente il sacro e il profano dell'universo dello scrittore americano: una Los Angeles dai cieli grigi nella quale risaltano i rossi, i blu cobalto, i verdi squillanti degli interni. I bar, gli appartamenti, fino ai cessi contraddittoriamente allegri e tragici. Soprattutto la prima parte del film riesce a tradurre la presenza prepotente dell'io dello scrittore, che è sempre il vero e solo protagonista della letteratura di Bukovsky. L'ambiente è colto puntualmente, con i suoi personaggi disperati e indifferenti, con i suoni di un'America proletaria che Ferreri ha giustamente captato in diretta, con una realtà quasi documentarista che l'occhio del regista riesce quasi costantemente a trasformare in emblema, in mito o in fantastico.
Ma Storie di ordinaria follia è una raccolta di novelle quasi celebre, ormai, come quella di Hemingway. Ferreri ne ha scelte sei, e con lo scomparso sceneggiatore Sergio Amidei, le ha amalgamate, tentando di ottenere una continuità romanzata. A giudicare dalla seconda parte del film, l'operazione non è stata del tutto felice: la disperazione dei personaggi diventa di maniera, la musica di Philippe Sarde sottolinea gli aspetti quasi melodrammatici di una storia (quella dell'incontro fra lo scrittore ubriacone e la "più bella donna in città" la prostituta alla quale Ornella Muti presta il suo sguardo profondo) che Bukovsky aveva invece scritto in modo secco e spietato.
Come in CIAO MASCHIO anche qui Ferreri fa terminare il suo film su una spiaggia; ma in questo finale felliniano, con la ragazzina idealizzata a rappresentare non si sa bene quale via d'uscita per l'infelice protagonista, con la poesia ecologica e gli effetti in controluce, lo spirito di Bukovsky, francamente, si è perso per strada. Il guaio del film, al di là di certe pagine molto ispirate, è di non essere né totalmente Bukovsky, né tantomeno totalmente Ferreri. Del regista ritroviamo soprattutto una delle grandi qualità di CIAO MASCHIO, la tenerezza per i propri personaggi. Ferreri era un regista che filmava degli esempi di comportamento feroci, esemplari. Ma astratti avulsi dalla società nella quale vivevano. E quindi un po' dimostrativi. Nelle sue ultime opere è subentrata una grazia, un'emozione, tanto più folgorante in quanto nata dal contrasto con le provocazioni che lo hanno reso celebre. Qui sono le scene d'amore con la Muti, i primi piani dello sguardo sensibile di Gazzara, una carezza al vigile-bambíno, la visione sicuramente partecipe del mondo degli sradicati.
Detto questo, occorre riconoscere che Storie di ordinaria follia non sembra possedere i caratteri dei capolavori di Ferreri: la grandiosità dell'apologo, l'ansia anticipatoria, l'analisi sociologica che si tramuta in metafora poetica. La prima parte del film, la bambina nello straordinario teatro cinese, l'incontro con la ninfomane, descritto con una precisione e un'ispirazione perfetta, la discesa nell'inferno dei dormitori e delle prigioni di L.A. si sviluppa, sposandosi all'ambiente, con un'armonia perfetta, e non solo perché ci ridà il Bukovsky dai toni inimitabili. Ma la vicenda con Ornella Muti, la prostituta che si ficcava gli spilloni nelle guance per punire la propria bellezza, l'angelo "bruciatosi per aver voluto volare troppo vicino alla terra" si perde, nei sentimenti che poco hanno a che fare con le due personalità che governano il film. Eppure, era una storia assai vicina ad una certa filosofia di Ferreri. Quella che dice, più o meno, che a mali estremi non servono che rimedi altrettanto estremi."
Fabio Fumagalli
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Ferreri s’ispira a cinque racconti di “Storie di ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Esibizioni” (1972) del “maledetto” Charles Bukowski, s’immerge nella sua Los Angeles (città d’angeli caduti), nel suo universo di autodistruzione e derelitti, di masochismo e amori radicali, di alcol e sesso. Ben Gazzara è Charles, e il romanzo cinematografico vorrebbe (anche) diventare un’autobiografia dove lo scrittore si racconta e racconta il proprio rapporto con i modelli borghesi e il significato dell’Arte, in una continua dialettica fra male di vivere ed energico oblio nella carnalità, rappresentata (anche) da una bella Ornella Muti, prostituta schiava dell’amore come violenza (e vai di tagli sul collo e spille nella vagina). Come dire che solo il pericolo, l’eccesso affrontato con stile genera vera Arte, quella fittizia è retaggio degli ambienti sterili con tutti i comfort dove la società vorrebbe incanalare e programmare l’ispirazione (vedi l’allegorica sequenza a New York, dove Charles conosce un autore fuggito dalla Russia, tale…Alexander Konchalovsky). Lo sconforto è però insopprimibile, la vita è un continuo “morire nel sonno”: nulla di più appropriato, allora, del consueto sguardo sospeso, colorito, sonnambolico e crudelmente paradossale di Ferreri che, però, pecca di troppa vacuità, rischiando di ridurre l’opera a pittoreschi congressi carnali (la bionda sadomaso, l’obesa, la nana finta dodicenne) o a una matrice surreale poco foriera di allegorie, in quanto sottotono, dimessa. Ciò non gli impedisce di fare “suo” lo scrittore nel riproporre i segni distintivi della sua poetica: eccentricità e trasgressione a parte, ecco la solitudine dell’uomo, la misoginia, il passo agonizzante divertito, le ferite dell’anima, la profanazione dei simboli sacri (la Muti vestita da suora), i luoghi prediletti (spiagge, stanze dipinte con colori accesi), il finale da apologo (non ci sono né L’Ultima Donna, né l’amore salvifico: anche la poesia si prostituisce).
Niccolò Rangoni Machiavelli


Curiosità
*Carlo Monni partecipò alle riprese ma il suo personaggio fu tagliato; durante le riprese ebbe, a suo dire, una cotta per un'attrice, amore non corrisposto che pregiudicò tutto il suo lavoro.
*Alla sua uscita, nel 1981, fu un grande successo di pubblico e fece parlare molto i giornali a proposito di maledettismo, erotismo e pornografia (Il Mereghetti).
*La sceneggiatura, di Sergio Amidei, attinge principalmente dai racconti La più bella donna della città, Nascita, vita e morte di un giornale underground e Violenza carnale.
*La lavorazione del film, fino alla sua prima - in cui lo scrittore critica pesantemente la recitazione del protagonista che, nonostante usi pseudonimi e nomi fittizi, si riconoscono benissimo nell'attore Ben Gazzara- sono ricordati da Bukowski nel racconto Pazzo abbastanza contenuto nella raccolta Niente canzoni d'amore, (edizione TEA ISBN 978-88-502-1927-8).
*Bukowski, riferendosi alla prima proiezione del film, scrive: "Mi recai al cinema con Linda: che impressione quando vidi il titolo. Poi una sensazione di essere in trappola: tutta quell'insopportabile gente che domandava autografi. Per fortuna uno capi e mi porse una bottiglia di whiskey. In verità ero già parecchio ubriaco. Ii film? Linda mi ha detto che alla fine della proiezione urlai "Buttatelo al cesso!". In più non mi pagarono neanche un dollaro...".

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