TÍTULO ORIGINAL
Una sull'altra (Perversion Story)
AÑO
1969
IDIOMA
Italiano e Inglés (Opcionales)
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
97 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Lucio Fulci
GUIÓN
Lucio Fulci, Roberto Gianviti, José Luis Martínez Molla
MÚSICA
Riz Ortolani
FOTOGRAFÍA
Alejandro Ulloa
REPARTO
Jean Sorel, Marisa Mell, Elsa Martinelli, Alberto de Mendoza, John Ireland, Riccardo Cucciolla, Lucio Fulci
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Francia-España; Empire Films
GÉNERO
Thriller. Romance. Intriga | Giallo
Una sull’altra – Il primo giallo di Lucio Fulci
Lucio Fulci (1927-1996), come molti sanno, è stato un autore le cui opere hanno subito nel corso degli anni un ampio processo di rivalutazione rispetto l’iniziale accoglienza, venendo oggi annoverate tra i migliori prodotti relativi all’epoca del giallo argentiano e punti cardine dell’horror italico. Quentin Tarantino si è spesso dichiarato un grande estimatore del regista, citandolo svariate volte nei suoi film.
Ma mentre ormai titoli come Non si sevizia un paperino, Una lucertola con la pelle di donna, Sette note in nero, …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà e Zombi 2 sono alla portata di tutti, ce n’è un altro che tende troppo spesso a passare inosservato, probabilmente a causa della sua reperibilità odierna non proprio eccelsa: si tratta di Una sull’altra, conosciuto anche con il titolo internazionale di Perversion Story. Rilasciato nel 1969 (anticipando così di un anno il primo capitolo della Trilogia degli animali di Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo) e girato quasi interamente a San Francisco, questo titolo segna la prima incursione di Fulci nel genere giallo, dopo aver girato per anni solo musicarelli e commedie, molte delle quali con protagonisti Franco e Ciccio.
Si tratta, sotto molti aspetti, di un film assolutamente avanguardistico, che a fronte dell’esame del tempo può essere facilmente collocato tra le opere più esteticamente riuscite del regista. Andiamo a esaminarne i motivi.
Il tema basilare del film è quello della doppia identità, e in ciò l’ispirazione alla pietra miliare di Alfred Hitchcock La donna che visse due volte è palese. Ma in questo caso, diversi passaggi del film necessiteranno di una sospensione dell’incredulità decisamente maggiore rispetto al film di Hitchcock, dato il diverso tipo di rapporto del protagonista con la/le femme/s fatale/s, che a livello prettamente logico fatica a reggersi in piedi. Questo, molto probabilmente, costituisce l’aspetto più datato del film. Superato lo scoglio dell’inverosimiglianza della vicenda su cui poggia l’intero film, i pregi da ammirare si sprecano. Perché non è tanto rilevante l’intreccio in sé nella singolarità che il film esercita nel suo periodo di appartenenza, quanto la vasta gamma di sfumature che a un primo sguardo potrebbero passare in secondo piano.
La maggior parte dei gialli italici degli anni ’70 spesso tendevano a delineare la caratterizzazione dei personaggi con ingenuità e superficialità. Ciò su cui si concentravano principalmente era l’intreccio: un protagonista, una serie di delitti che avvenivano attorno a lui (o lei), e una risoluzione finale con scoperta dell’identità dell’assassino, che veniva tenuta celata per tutto il film. Oltre questo, i personaggi sia principali che di contorno venivano spesso tratteggiati come semplici pedine al servizio della trama, con poco da offrire a livello psicologico. Solo in seguito si comincerà a dare maggior importanza ai personaggi in questo genere, sancendo così la sua evoluzione da giallo a thriller e noir.
Fulci, con Una sull’altra, spende molto più tempo nel donare maggiore tridimensionalità ai suoi personaggi, anticipando quelle che sono caratteristiche tipiche del noir, ancora non in voga all’epoca nel cinema.
Il protagonista (il francese Jean Sorel, autore di una dignitosa prova e che in seguito lavorerà con Fulci anche in Una lucertola con la pelle di donna) viene da subito tratteggiato come un uomo dalla dubbia moralità, un bastardo infedele che non prova il minimo rimorso nel trattare la trasandata moglie come un oggetto. Un personaggio quindi lontano dall’archetipo del bel faccino da fotoromanzo con la principale utilità di apparire bene sullo schermo. La sua espressività viene spesso valorizzata da quello che in seguito diverrà un tratto inconfondibile della regia di Fulci: i primissimi piani sugli occhi in momenti cardine della scena.
Ed è anche vero che se nei gialli tipici di quegli anni (non ultimi quelli di Argento) gli spiegoni venivano inseriti con una certa elementarità, volta perlopiù alla mera comprensione da parte dello spettatore (es. “Ma allora sei stato tu!” “Sì , sono stato io, l’ho ucciso perché lo odiavo e non meritava di vivere, e adesso ucciderò anche te!”), qui Fulci riesce in un’impresa assolutamente degna di nota: inserire uno spiegone al completo servizio del movente dell’antagonista, esulando da semplice ingranaggio della storia. I minuti relativi al suo smascheramento costituiscono infatti uno dei momenti più alti del film, restando impressi per la qualità dei dialoghi e per la verosimiglianza del movente. Di magistrale fattura la costruzione dell’atto finale in cui Fulci mette in atto i meccanismi del thrilling con la massima efficienza, con il risultato di tenere lo spettatore col cuore in gola fino all’ultimo minuto.
Ma veniamo ora all’aspetto più importante. Con Una sull’altra, Fulci fu uno dei primi in Italia ad inserire in un suo film una componente erotica talmente preponderante.
Di lì a pochi anni saranno in molti ad aderire ai filoni nascenti del thriller erotico e della commedia sexy, ma ancora nel 1969 girare un film di questo tipo in Italia era difficile anche solo da pensare, con le restrizioni morali dell’epoca.
Ma Fulci non si accontenta solo di anticipare i tempi: gli va infatti attribuito il merito di aver inserito le scene di sesso come parte integrante della trama, con disinvoltura, naturalezza e una grande attenzione alla componente estetica, non come mera scusa per compiacere i lombi degli spettatori maschili.
Come protagonista di queste scene, accanto a Sorel troviamo una Marisa Mell (famosa per aver donato le sue fattezze ad Eva Kant nella trasposizione cinematografica di Diabolik del 1968, diretta da Mario Bava) semplicemente da sturbo, che si cimenta nella loro esecuzione senza neanche l’ombra di un’esitazione. Anche in dettagli sorprendentemente spinti in grado di turbare persino rispetto gli standard di oggi, come quello in cui in una lunga sequenza ella apre lentamente la zip di Sorel con la testa ad altezza bacino, mantenendo per tutto il tempo un magistrale eye contact. Memorabile anche la sua scena lesbo con un’altrettanto splendida Elsa Martinelli (da cui deriva probalilmente il titolo del film).
E’ da ricordare anche la presenza nel film di Riccardo Cucciolla, apprezzato attore italiano maggiormente ricordato per aver interpretato Nicola Sacco in Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo, attivo inoltre anche nel doppiaggio (sua la voce di John Cazale nei primi due film de Il padrino nei panni di Fredo Corleone e di Bruno Ganz ne Il cielo sopra Berlino), che con il suo breve ma incisivo ruolo dona al comparto recitativo del film un prezioso contributo.
Le musiche sono composte dal Maestro Riz Ortolani in vena di jazz.
Il quale svolge un lavoro egregio in grado di spaziare dallo scanzonato nelle scene di transizione, al malizioso nelle scene di sesso, al macabro nelle scene ambientate nella camera a gas, fino a richiamare in alcuni momenti delle musicalità tipicamente morriconiane.
Un film dalla fattura visibilmente grezza, a causa delle ristrettezze economiche che funestarono le produzioni di Fulci attraverso tutta la sua carriera, ma che non gli impedirono mai di girare con caparbietà film il cui valore artistico negli anni a seguire sarebbe stato riconosciuto in tutta la sua grandezza. Il suo giallo d’esordio non fa eccezione: trattasi di un’opera rivoluzionaria sotto molteplici aspetti, invecchiata benissimo e in grado di offrire una massiccia dose di suspense anche allo spettatore odierno. Come già accennato, non è disponibile in tutte le videoteche ed entrarne in possesso richiede uno sforzo leggermente maggiore, ma se siete fan di Fulci questo è un titolo che non può assolutamente mancare alla vostra collezione.
Daniele Bellucci
https://www.lascimmiapensa.com/2018/04/19/una-sull-altra-giallo-lucio-fulci/
Una sull'altra è la prima incursione di Fulci nel thriller, senza contaminazioni col sovrannaturale o l'horror. La trama del film è vagamente hitchcockiana e poco attinente al giallo codificato da Bava e compagnia (manca un misterioso omicida e quel senso incombente di pericolo che solo un serial killer senza volto può trasmettere), in compenso viene caricato parecchio l'aspetto erotico dell'intera vicenda, popolata da fanciulle conturbanti che gravitano all'interno dell'ambiente delle spogliarelliste e delle foto "artistiche" di nudo; a tal proposito, CREDO che su Cine34 sia andata in onda una versione tagliata perché sul web si parla di sequenze saffiche, che nel film che ho visto io erano solo vagamente accennate. Non che la cosa mi abbia turbata più di tanto, anche perché, rimanendo per l'appunto a livello di trama, i siparietti sexy servono giusto ad allungare il brodo e la storia di Una sull'altra entra nel vivo dopo una quarantina di minuti, nel momento in cui George comincia a venire sospettato dell'omicidio della moglie e arriva persino a rischiare la pena capitale in una sequenza al cardiopalma magistralmente diretta da Fulci; mi tocca ammettere dunque di aver trovato la prima parte del film parecchio soporifera, tanto che, complice la stanchezza, mi sono assopita quelle due o tre volte di troppo, senza peraltro che la comprensione della storia ne risentisse, dopodiché l'operazione subisce un'accelerata e tutto si fa molto più interessante.
Passando all'aspetto "tecnico" e artistico, che poi è quello che mi ha colpita di più, ogni volta ripenso ai budget risicati e ai progetti imbarazzanti proposti al povero Fulci negli ultimi anni della sua carriera e ogni volta ci rimango male, perché Una sull'altra, da questo punto di vista, è splendido. Ambientato a San Francisco, il film porta lo spettatore a respirare aria "esotica" e chic fin dalle prime note della colonna sonora jazz firmata da Riz Ortolani, veicolo attraverso cui si dipanano vicende ambientate in esclusivi club di spogliarelli, sale da gioco, appartamenti blasé e lascivi studi fotografici; il regista dà ovviamente molta importanza al corpo femminile, soprattutto quello di una Marisa Mell bella come una dea qualunque abito (non) indossi, e agli amplessi tra protagonisti, resi nel modo più "vario" possibile, per esempio attraverso il filtro di un tessuto rosso oppure ripresi dal basso, come se gli amanti fossero sdraiati su un materasso trasparente da cui lo spettatore voyeur può vedere ogni cosa. Ma non c'è solo sesso in Una sull'altra. La parte thriller è spettacolare e contiene quegli aspetti inquietanti, "persecutori" anche, che potremo ritrovare in altri film di Fulci, come sguardi riflessi negli specchi, altri riflessi di volti che diventano quasi dei fantasmi che insidiano i protagonisti o terrificanti primi piani di cadaveri in decomposizione, anche se la mia scena preferita è la "trasformazione" finale che non spoilero, girata con una raffinatezza tale da far slogare la mascella e piangere d'invidia il regista di qualsiasi sequenza di Alias. E pazienza se la conclusione del film non osa proprio fino in fondo, perché comunque riesce a tenere lo spettatore in tensione, nemmeno nella camera a gas ci dovesse andare lui. Se vi dovesse dunque capitare di veder passare Una sull'altra in TV non cambiate canale, mi raccomando!
http://bollalmanacco.blogspot.com/2020/06/una-sullaltra-1969.html
Visse due volte il film Una sull’altra di Lucio Fulci: una in versione integrale, l’altra in versione censurata. In realtà, in quest’ultima modalità morì, com’è normale che sia per un thriller dalle forti tinte erotiche che venga inibito dalla censura: “uno spettacolo osceno”, fu definito Perversion story (questo il titolo originale), sottoposto a sequestro nel settembre del’ 69, a quasi un anno dall’uscita (dicembre ’68) col divieto ai minori di diciotto anni.
Oggi diremmo “tanto rumore per nulla”, considerando tiepide le scene un tempo caldissime, o comunque più seducenti che scandalose, immerse in penombre colorate, tutte sensazioni di leggera follia cromatica: vedasi l’amplesso lesbo, appena accennato, tra la Elsa Martinelli e Marisa Mell, con un felpato contrabbasso nel soundtrack di Riz Ortolani, un interminabile gioco di sguardi e trasparenze, le luci a volte abbacinanti dello studio fotografico, il vestito di pelle nera della fotografa che si mimetizza nell’ombra (“posso spegnere le luci?”), il tappeto di pelliccia bianca su cui si adagia la Mell, di cui pare potersi avvertire, nell’atmosfera vellutata, la consistenza tattile del soffice.
“QUALE PARTE LE HANNO TAGLIATO? – LA MIGLIORE!” – Dal 2006 del film è disponibile una versione senza tagli in dvd. Certo, epurato delle nudità, il film perderebbe parte di quella morbosità che anticipa le successive traiettorie del regista romano, nonché di tanto thriller erotico a venire di lì a poco, già in rampa di lancio con Orgasmo di Umberto Lenzi (1969) e prima ancora Il dolce corpo di Deborah (1968) di Romolo Guerrieri.
In altre parole, il film sarebbe privato di quell’aura made in Italy che segna, tra l’altro, la distanza rispetto all’omologo più citato, La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, noto anche come Vertigo. Citazione, beninteso, tutt’altro che indebita, considerando l’espediente centrale del soggetto, ossia quello di una donna creduta morta che pare riapparire – o forse è solo una sosia – ponendosi al centro di un intrigo.
Sembrava infatti stramorta, Susan Dumurrier (Marisa Mell), moglie d’un medico distratto, George (Jean Sorel), più attento alla propria clinica che agli attacchi d’asma della consorte. Più attento, soprattutto, all’amante, Jane (Elsa Martinelli).
Consapevole del rapporto logorato con la coniuge, George è il primo a sorprendersi dell’assicurazione sulla vita stipulata a suo vantaggio, che ne fa un ricco ereditiero. Per la polizia, poi, il tutto puzza di bruciato. La situazione deflagra quando compare una spogliarellista identica a Susan, tale Monica Wenston: che sia stata complice di una macchinazione?
NUDI E CRUDI – Ambientato a San Francisco, e realmente girato in città (alcune riprese sono nel carcere di San Quintino), il film sembra essudare un disinibito clima di libertà sessuale in salsa pop. Il design di certi ambienti sembra far pensare allo scultore Allen Jones come ideale arredatore, mentre il kitsch non è lesinato né nelle scene ambientate nello studio fotografico di Jane (una modella di colore è invitata a pose lascive, con appariscenti accessori d’abbigliamento, quali libellule o farfalle finte sulle parti erogene), né in quelle del night club, con un’indimenticabile Marisa Mell che si sfila una divisa leopardata con guanti di pelle neri, su di una moto dorata, prima di vestire poco altro che la propria pelle e qualche adesivo.
È dunque un Fulci d’eccitazione epidermica, a suo agio nel proprio tempo, ma già incline a muoversi sul crinale del raccapriccio, oltre che del capriccio. Le allusive espressioni dell’assistente della fotografa, mentre allestisce il servizio, rimandano infatti ad un erotismo macabro, un piacere di scoprire l’orrendo: “piacere ed orrore, cara”; “il nudo non basta, dev’essere disgustoso”. Ed un nudo disgustoso lo si vede davvero: all’atto del riconoscimento del cadavere di Susan Dumurrier in obitorio, dopo settimane dal ritrovamento, compare un corpo semi-putrefatto (per l’epoca dovette essere uno shock), che tuttavia non si può far a meno di associare alle esplosive nudità a cui per tutto il film le carni vengono esposte. Una sensualità perduta, o la sottile sensualità della terribilità: un profumo di dama in nero, che inebria tra decadenza ed opulenza.
A TOUCH OF EVIL – Ecco, dunque, il tocco pienamente fulciano: innestato, lo si deve dire, su di un intreccio a tratti leggermente improbabile, ma di là dei giudizi di qualità, identificabile perspicuamente nella tipologia, come un classicheggiante congegno giallo, con tanto di corsa contro il tempo per fermare il boia, eppure non riconducibile alle strategie consuete della suspense, proprio per una saporosa perversione che muta la tensione sui fatti in tensione d’ambiente.
È proprio di Fulci, dunque, anche in queste prove post-musicarelli e post-Franco-e-Ciccio, ma pre- thriller degli anni settanta, la tendenza ad un’inquieta visività, se non visionarietà, anche nel rapportarsi a generi consolidati. Una sull’altra è una prova d’autore, figlia del proprio tempo, figlia d’un Maestro in transizione, ma già vigorosa, d’intreccio e d’identità stilistica.
Antonio Maiorino
https://www.cinerunner.com/thriller/una-sullaltra-di-lucio-fulci-la-morte-accarezza-le-carni/
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