TÍTULO ORIGINAL
La polizia ringrazia
AÑO
1972
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
100 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Steno
GUIÓN
Steno, Lucio De Caro
MÚSICA
Stelvio Cipriani
FOTOGRAFÍA
Riccardo Pallottini
REPARTO
Enrico Maria Salerno, Mariangela Melato, Mario Adorf, Franco Fabrizi, Cyril Cusack, Laura Belli, Jürgen Drews, Corrado Gaipa
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Francia-Alemania del Oeste (RFA); Dieter Geissler Filmproduktion, P.A.C, Primex Italiana
GÉNERO
Drama. Thriller | Crimen
Premios
1972: Festival de San Sebastián: Concha de Plata
La Polizia Ringrazia (di Steno, 1972) è ritenuto l'antesignano del genere poliziottesco (termine dispregiativo per "poliziesco") italiano. Enrico Maria Salerno è il commissario Bertone, in lotta contro la criminalità romana, sempre più feroce, sempre più sanguinaria, sempre più dilagante in città; altrettanto difficile però è il suo rapporto con lo Stato e le autorità a lui superiori, visto che le Leggi (una commistione di politica, magistratura, avvocatura e procure), divenute fin troppo tenere ed edulcorate, vanificano il sofferto e faticoso lavoro dei poliziotti, che tutti i giorni rischiano la vita per strada. Stampa ed opinione pubblica sono in rivolta, la Polizia è ritenuta violenta ma al contempo pure inefficace, cornuti e mazziati insomma. E come se non bastasse, in un clima del genere, Bertone si trova a dover fronteggiare anche una banda di giustizieri che ha deciso di eliminare la feccia criminale per proprio conto, con sentenze di morte immediate e senza processo. Le connivenze di questi assassini portano drammaticamente molto in alto ed il fine ultimo dei reazionari è sovvertire l'ordine democratico del Paese, fino alle estreme conseguenze di una nuova dittatura.
La Polizia Ringrazia è un film fondamentale per il genere, sotto molti punti di vista. Da qui (assieme a I Ragazzi Del Massacro di Di Leo) prendono forma molti degli stereotipi che poi popoleranno il nostro cinema di genere poliziesco. I cosiddetti poliziotteschi saranno una sorta di exploitation di questa pellicola, ancora ben bilanciata tra il cinema di denuncia alla Rosi e l'action movie americano alla Callaghan. Steno (che per la prima volta si firma Stefano Vanzina) plasma un commissario molto profondo e intenso, rigoroso, destrorso, incazzoso, anche molto concreto e sbrigativo nel (non) trattare con i malviventi, eppure non ancora tracimato nel proto-fascismo dei vari Merli e Merenda. Bertone crede nella Legge, il più delle volte non la condivide, ma non sgarra mai nell'applicarla, è il suo faro, la professione che ha scelto glielo impone, anche se sente forte la lacerazione di non poter rendere sicuri i cittadini a causa del lassismo imperante, ed infatti, deluso ed amareggiato, darà le dimissioni al termine di una carriera di onorato servizio, svolta suo malgrado con le "mani legate". La sua fidanzata è Mariangela Melato, una giornalista progressista che, nonostante le divergenze politiche, crede in Bertone e lo stima, perché prima che poliziotto o conservatore l'uomo Bertone è un uomo perbene, corretto, pulito. Interessante notare anche che, rispetto alle successive "Polizie" del cinema italiano, qui inseguimenti e sparatorie ci sono col contagocce, il film è un film d'indagine, di analisi, l'azione è sobria e misurata, messa al servizio della storia anziché viceversa. Ne guadagnano naturalmente i personaggi e i dialoghi (anche se la gita didattica organizzata dalla Polizia a favore della stampa, durante la quale si attraversa nottetempo la città, illustrando le varie attività criminali che la Polizia non può contrastare efficacemente a causa di leggi blande, è uno dei momenti meno "politically correct" mai visti sulla celluloide, con prostitute e travestiti trattati alla stregua di scarafaggi della società).
Affascinante Cyril Cusack, ex poliziotto in pensione, apparentemente sempre affaccendato a giocare a golf, così come gustose sono le caratterizzazioni dei vari Mario Adorf (il procuratore), Franco Fabrizi (il viscido delinquente Bettarini), Corrado Gaipa (avvocato della Mala). I giustizieri sono anch'essi ex poliziotti (quelli che in servizio era noti per la fama da "duri") e, rinominatisi "Anonina Anticrimine", lasciano cadaveri simbolici e non (prostitute, pederasti, estremisti bolscevichi) in giro per Roma, sotto dei manifesti con degli spazzini che chiedono aiuto alla cittadinanza per tenere Roma "pulita". Bertone nelle sue indagini (non convenzionali) scopre che la gang è protettissima ad alti livelli (ministri, politici, personalità influenti) con connivenze che farebbero saltare molte teste se venissero allo scoperto - SPOILER: ma purtroppo il finale della storia dà ragione all'Anonima e torto al povero Bertone (e all'Italia, parrebbe di poter dire, si pensi al cosiddetto "Golpe Borghese" del dicembre 1970). Il ruolo di Salerno (che poi vedremo altre volte calarsi in personaggi simili a questo) doveva essere di Buzzanca, Steno voleva Lando, credeva nelle sue qualità drammatiche, ma fu Buzzanca a non sentirsela. Peccato, nonostante Salerno sia stupendo come commissario Bertone, sarei stato curioso di vedere il buon Buzzanca in quei panni. La musica di Stelvio Cipriani non si discute, si ama, e qui più che mai risulta un capolavoro che aiuta a rendere il film indimenticabile. Se avete prestato attenzione alla questione "giustizieri che sfidano la Polizia" avrete immediatamente notato come la storia rimandi vistosamente ai vigilantes di Una 44 Magnum Per l'Ispettore Callaghan; ebbene il film di Steno è precedente a quello.
La Polizia Ringrazia (il ringraziamento va all'Anonima Anticrime si presume...) non ha sequenze particolarmente dure e spietate - quelle si concretizzeranno nella exploitation successiva - tuttavia si ricorda con particolare efficacia e brutalità la morte della bella Laura Belli (perdonate il calambour), sacrificata dal criminale in fuga, gettata dal motorino in corsa e praticamente maciullata dalla Giulietta della Polizia che insegue il fuggiasco. Una morte cruenta e girata in modo assai veristico. Nota bene: tutto questo al netto di sequenze tagliate nell'edizione italiana Shendene in mio possesso. Ho letto infatti di 6 minuti mancanti, tra i quali, ad esempio, anche di una scena di effusioni amorose tra Salerno e la Melato. Di sicuro qualche taglio c'è, visto che, per dire, quando Salerno incontra il capo della Polizia ed il Ministro il suo discorso è tagliato di netto, in modo anche piuttosto rozzo. Al cinema La Polizia Ringrazia fu un successone ed infatti il filone esplose letteralmente nelle sale, mentre fuori dai cinema, brigatisti, neofascisti, servizi segreti deviati, criminali spietati, sbirri violenti, insanguinavano per davvero le strade. Steno dirigerà due anni dopo La Poliziotta, sempre con Mariangela Melato, sorta di parodia che sdrammatizza le tinte fosche e complottiste de La Polizia Ringrazia. Anche in questo caso si può parlare di capostipite di un filone, visto che la pellicola è considerata tra le iniziatrici del genere soft-erotico della commedia all'italiana. La Melato ci vinse pure un David di Donatello e furono girati tre seguiti (da Michele Massimo Tarantini, con la Fenech al posto della Melato).
https://www.cineraglio.it/la-polizia-ringrazia/
Nacimiento del poliziottesco, por Roberto Curti
(Traducción: José Miccio)
Muchos críticos le atribuyen a La polizía ringrazia (1972) de Stefano Vanzina la incómoda etiqueta de fundadora del poliziottesco: la película que da inicio a un filón y que para algunos constituye uno de sus pocos ejemplos meritorios. En realidad, La polizía ringrazia es solo la lógica consecuencia de la metamorfosis del cine político ya anunciada por Confessiione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica (1971) de Damiano Damiani, tal como lo sugieren el título con el que la película entra en elaboración (Ipotesi del capo della squadra onicidi, que se relaciona explícitamente con el filón del compromiso civil) y la sinopsis: el comisario Bertone (Enrico María Salerno), poco amado por la prensa y los superiores debido a sus métodos expeditivos y a su propensión a no mirar a nadie a la cara, descubre que detrás de un misterioso escuadrón que elimina delincuentes se esconde una organización subversiva.
Cebe destacar, además, que por primera vez en su carrera Vanzina abandona su habitual seudónimo Steno, algo que, eventualmente, funciona como otra prueba de la continuidad con el filón político-civil “comprometido”. El guión, escrito junto a Lucio de Caro, debería haber sido dirigido por otro director, pero según Vanzina: “Como tenían miedo de hablar mal de la policía (lo que me causa mucha gracia porque eran directores izquierdosos), finalmente me encontré dirigiéndolo yo”. La película es un descanso que el director se toma de su género predilecto, la comedia, y un producto medio en el cual los elementos que de ahí en adelante se convertirán en requisitos obligatorios del filón están presentes en forma embrionaria e irresuelta.
La vulgata cuenta que Vanzina y De Caro tomaron como inspiración para el argumento a los escuadrones de la muerte de Brasil. Pero es evidente la influencia de El contexto, la novela de Sciascia aparecida en 1971, con la que el guión parece estar en deuda tanto por la figura de Bertone, que recuerda a la de Rogas (“Tenía principios en un país en el que ninguno los tenía”, escribe Sciascia) como por el cariz político que adquieren sus investigaciones. Otro punto de continuidad, no de ruptura, con el pasado es que, como ya lo había hecho Confessiione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica, La policía ringrazia adopta el punto de vista de un personaje que pertenece a las fuerzas del orden, haciendo hincapié en su sentimiento de impotencia, en la imposibilidad de desarrollar su tarea adecuadamente. Pero a diferencia de lo que ocurre en la película de Damiani, en la de Vanzina no son tanto las connivencias mafiosas las que funcionan como obstáculos sino la falta de hombres, de medios y de leyes adecuadas. Tampoco queda afuera el rol de la prensa, pronta a poner la mira sobre los poderes públicos. En la secuencia más declaradamente didascálica de la película, Bertone da una vuelta por la capital con un grupo de periodistas, mostrándoles cómo la criminalidad lleva una vida fácil también gracias a las reformas del código de procedimiento penal y de los reglamentos de la policía; un momento que, mutatis mutandis, recuerda las secuencias iniciales de Banditi a Milano, donde Tomas Milian ilustra para la cámara las mil caras de la delincuencia de Milán. “Tenemos las manos atadas: los delincuentes se burlan de nosotros y los periodistas nos bardean”, dice Bertone, en una de las tantas frases efectistas con las que sus émulos se llenarán la boca.
Como observaba Lino Miccichè, el presunto carácter reaccionario de la primera parte de La polizia ringrazia es rebatido por la segunda, que describe el nacimiento y la difusión, en todos los niveles, de una mentalidad y unas prácticas neofascistas, empezando por la brigada anticrimen, que sustituye a la policía, y por lo tanto a la autoridad del estado, y elimina delincuentes fugados de las redes de la justicia o liberados debido a los agujeros del sistema procesal. Por un lado, episodios singulares; por el otro, un plan subversivo orgánico: elementos típicos de las películas de conspiración que volverán a aparecer en películas posteriores. Manejando a distancia los hilos del complot, desde su cómodo retiro (el círculo Fidelitas, nombre que evoca abiertamente una filiación derechosa y con la vieja Democracia Cristiana) está el ex jefe de policía Stolfi (Cyril Cusack), que sostiene una versión deformada de los conceptos de ley y orden. Bertone, por el contrario, es el representante de una especie en vías de extinción: “Un hombre justo del lado equivocado”. Equidistante de los polos reaccionario y progresista, su límite intelectual es no poder concebir (lo hace demasiado tarde) una visión política de conjunto. El momento de la toma de conciencia coincide con el de la muerte.
La polizia ringrazia es también una película de tesis en la que la narración conduce a un mensaje final (el fascismo encuentra terreno fértil en los errores de la democracia, especialmente en el campo de la justicia) confirmado por las palabras de Salerno / Bertone en defensa del estado de derecho. También los personajes secundarios vienen del cine político civil: el rectísimo juez instructor Ricciuti a quien encarna Mario Adorf (“Yo no puedo solamente pensar… necesito pruebas”) es descendiente directo del Franco Nero de Confessiione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica, pero acá, a diferencia de lo que ocurre en la película de Damiani, queda sembrada la duda: ¿su celo es fruto de una interpretación obtusa de la ley o de la connivencia con la cúpula del complot? Vanzina no sabe o no quiere pone los puntos sobre las íes: en la coda Ricciuti abre los ojos a su propia laxitud pero su discurso final es una rebelión a medias, que no convence y deja una sensación de impotencia. Si, de modo realista, en la película político-civil la única manera de sobrevivir a la ley del más fuerte es bajar la mirada y aceptar con resignación la injusticia, como hace Franco Nero en L’istruttoria è chiusa: dimentichi (Damiano Damiano, 1971) y en Corruzione al palazzo di giustizia (Marcello Aliprandi, 1975), no tardará mucho el políziottesco en llegar a la conclusión que donde no puede la ley, pueden las armas.
Pero esta conclusión no llega a la mente de Bertone. Bertone es un comisario culto, reflexivo, muy poco amigo del uso de las armas (“Yo me ocupo de los delitos, las penas no tienen que ver conmigo”). Davide Pulici lo define como “más inclinado a resolver, tal vez, los problemas del calibre geométrico que los del calibre balístico, un tipo de detective no muy presente en las múltiples provincias del policial, más Maigret que Sartana”. También el actor influye en esto: por su voz, su porte y su sobria elegancia, Salerno remite menos a los modelos americanos que a figuras paternas como el Ingravallo de Un maledetto imbroglio (Pietro Germi, 1959) y el Fioresi de Il rossetto (Damiano Damiani, 1960), ambas interpretadas por Pietro Germi. Y si su Bertone puede permitirse todavía una pregunta sobre su propio rol (“Corro el riesgo de convertirme en un esbirro borbónico”), sus sucesores antepondrán el plomo a la materia gris. Uno de los puntos en los que la película de Vanzina aparece todavía balbuceante respecto de sus epígonos es, justamente, en la escenas de acción: la persecución entre el auto de la policía y la moto en la que el secuestrador lleva a una rehén (en los papeles, uno de los momentos más potentes) está resuelta de manera insatisfactoria, incluso torpe.
Si la etiqueta de fundadora del filón tout court le queda grande, hay que decir, sin embargo, que con su imprevisto éxito (1700 millones de liras, duodécima recaudación del año) y con su título conciso y efectista, ambiguo hasta decir basta, La polizia ringrazia se presenta, de acuerdo a la prosa crepitante de Gianni Buttafava, como “un cuerpo robusto inesperadamente revelado a los innumerables ojos del espectador de masas y a las fauces vampíricas del cine industrial”, y que da inicio a la explotación salvaje del filón y a “un género popular cerrado, estructurado alrededor de figuras recurrentes, organizado en una serie productiva auténtica”.
Pero esto ocurrirá sin su padre putativo. A pesar de la recaudación de La polizia ringrazia, Vanzina no seguirá por este camino, retornando solo tangencialmente al género con Piedone lo sbirro (1973, casi 3000 millones de recaudación), que ya cultiva la contaminación con la comedia en la figura de un policía que da trompadas en lugar de disparar y que tiene el rostro barbado y las manazas de “Bambino” de Bud Spencer, y con la igualmente exitosa La poliziotta (1974). Donde, entre los pliegues burlescos de una historia paradojal, se pone en escena un cuadro de corrupción y malversación no muy diferente del de tantos policiales serios.
Por su parte, Salerno se convierte en el primer divo del recién nacido filón, tanto que en la estación 73-74 retorna como protagonista de La polizia è al servizio del cittadino? (1973) de Romolo Guerrieri y La polizia sta a guardare (1973) de Roberto Infascelli. Como escenario de la primera de estas películas aparece Génova, el verdadero aglutinante de la historia: el puerto, las rutas de acceso, la Sopraelevata Aldo Moro, los rascacielos recuerdan análogos escorzos de Marsella y San Francisco y hacen emerger aquello que Renato Venturelli ha definido como “la doble naturaleza de la ciudad: simultáneamente escenario industrial y promesa de una exótica dimensión mediterránea”. Guerrieri es más astuto que Vanzina en el aprovechamiento del potencial espectacular de la historia: la secuencia inicial de la golpiza y asesinato del obrero portuario (colgado del gancho de una grúa como macabra advertencia a los otros trabajadores), acompañada solo de la música de Luis Bacalov, es un buen fragmento de cine, como también aquella -muda y resuelta por medio del teleobjetivo- del seguimiento en medio del tráfico.
Pero no obstante la potencia de las escenas de acción, el tono es amargo, ya desde el título, que deforma el célebre eslogan de las fuerzas del orden, agraviado con un signo de interrogación final. Y el comisario Sironi, que no tiene la estolidez política de Bertone, no tarda mucho en entender que su amigo y colega Martino (Giuseppe Pambieri) está aliado con la banda que hace lo que se le antoja con mayoristas y comerciantes bajo la Lanterna. Por lo demás, Sironi es un descreído. Los fracasos profesionales (no consigue proteger a los testigos, los superiores le ponen palos en la rueda) se suman a los personales: su vida privada es un desastre, la ex mujer le cuelga el teléfono y el hijo militante de Lotta Continua (Alessandro Momo) lo acusa: “¡No me avergüenzo de vos como policía, me avergüenzo de vos como padre!” La obstinación con la que se pone a la caza de pruebas para incriminar al ingeniero Brera (Daniel Gélin), eminencia gris de la organización criminal, parece más bien un modo de desahogar las propias frustraciones personales, una revancha que deja traslucir la sospecha de hybris: “Si supieras lo fascinante que es batirse contra los gigantes…”, le confiesa Salerno a Pambieri. Joven, coqueto, lleno de mujeres, Pambieri anticipa en ciertos aspectos la figura de Malacarne en Il poliziotto è marcio (Fernando Di Leo, 1974), y es un paso adelante en el intento de escapar de ciertos esquematismos en la caracterización, ya entonces perceptibles. De todos modos, el guión de Massimo De Rita y Dino Maiuri le concede una redención in extremis en la memorable secuencia de la emboscada en el círculo náutico, donde Guerrieri aprovecha los silencios y los amplios espacios abiertos para crear tensión.
En La polizia è al servizio del cittadino? el recambio generacional y de método al interior del crimen organizado es un hecho cumplido: “Mi organización funciona porque todo lo que hay alrededor está podrido”, dice Gelin. Para combatir con armas parejas, es necesario sobrepasar la línea de demarcación entre legalidad e ilegalidad, cada vez más lábil: Sironi no duda en entrar al cuartel general de Brera y forzar la caja fuerte, y cuando ve que la investigación se embarra delante de sus narices decide hacer justicia por su propia cuenta. La ejecución de Brera -uno de los momentos más intensos de todo el filón- tiene un exceso de sadismo que anticipa algunos ejemplos posteriores: el hombre es herméticamente encerrado en el auto, detenido en las vías mientras el tren llega; Sironi, que ha sacado las manijas interiores de las puertas, observa sus desesperados intentos de salir del vehículo y asiste impasible al impacto del tren.
Con La policía sta a guardare, por su parte, Infascelli reintenta el golpe que dio como productor con La polizia ringrazia, ocupándose esta vez también de la dirección. Salerno es el rectísimo jefe de policía Cardone, defensor de la línea dura contra una banda de secuestradores que tienen en la mira a los hijos de los personajes más acomodados del lugar. La impresión que la película da es la de haber sido escrita y filmada apresuradamente: la ambientación en el interior lombardo está apenas bocetada (“Aparte de las habituales historias con el fiscal, es un lugar como todos los otros”, comenta el segundo de Salerno, “fábricas, obreros, agitaciones, huelgas…”), los personajes secundarios son pálidos y la acción se concentra en el cuarto de hora final. No faltan las referencias a la actualidad: las bombas “como esas de Milán, que hacen descarrilar a los trenes”. En cuanto a la resolución, que funciona como preludio de un pedante duelo verbal lleno de alusiones a la estrategia de la tensión, repite sin innovaciones la de La polizia ringrazia: Salerno descubre que el dinero de los rescates sirve para financiar acciones subversivas y que el que mueve los hilos de la organización es el ex comisario Jovine (Lee J. Cobb). El propio Cardone es un personaje irresuelto: a despecho de sus propias proclamas (“Si seguimos haciendo que nos tiren bombas de izquierda y derecha, si nunca nos oponernos, si nunca reaccionamos, yo creo que este estado de cosas no podrá cambiar nunca”), está desprovisto del aura del justiciero / héroe, y no promueve la identificación del espectador.
Muy pronto, Salerno deja su lugar a héroes más jóvenes y enérgicos; en los años sucesivos aparecerá en papeles de antagonista (en La Cittá gioca d’azzardo, que Sergio Martino dirigió en 1975, es un viejo jefe del juego milanés, encanecido y atado a una silla de ruedas) o de reparto (en La polizia interviene: ordine di uccidere!, de Gousepe Rosati, también de 1975, es ministro del interior). Pero hay excepciones. La más importante es una película muy sui generis: Un uomo, una cittá (1974), dirigida una vez más por Guerrieri.
Un uomo, una città tiene la estructura rapsódica del fresco de costumbres y se muestra deudora del Pietro Germi de Signore e signori (1966) y del Ettore Scola de Il commissario Pepe (1969). El punto de partida es Il commissario di Torino, una novela escrita a cuatro manos por Riccardo Marcaron y el futuro intendente de Turín Diego Novelli, inspirada en la figura real del jefe de la Brigada Móvil Montesano y ampliamente manipulada por los guionistas Nico Ducci y Mino Roli, que hunden el bisturí en los vicios ocultos de la Turín-bien con actitud más lacerante que La donna della domenica (Luigi Comencini, 1975). Un uomo, una città es una película singular por su reparto. El cantautor y futuro diputado de la Liga Norte Gipo Farassino, doblado con acento napolitano, interpreta al brazo derecho de Salerno. Tino Scotti es un viejo obrero de la Fiat, ahora demente pero con el mito del Abogado (así era conocido Gianni Agnelli). Bruno Zanin, el Tira de Amarcord, tiene una rápida aparición en la secuencia inicial.
Guerrieri mezcla drama, ironía e investigación policial con sentido de la medida, cayendo solo ocasionalmente en el bocetismo, y consigue construir una aguda y nunca absolutoria representación de los males y contradicciones de una ciudad. Estas contradicciones no son ajenas al protagonista. El comisario Parrino, oriundo de Trápani e integrado a la sombra de la Mole Antonelliana de Turín (habla un italiano sin acento que disimula sus orígenes meridionales, y sabe cómo moverse en los ambientes que importan), es una de las figuras más bellas y complejas del policial italiano. Amante del buen vivir, Parrino frecuenta los estrenos teatrales, se siente cómodo en esmoquin y corteja sin la torpeza que se esperaría de un policía a la bella señora de la alta sociedad interpretada por Françoise Fabian. Pero no olvida sus propias raíces: es conmovedora la escena en la que, en la miserable cocinita de un gris barracón de inmigrantes, se pone hablar en dialecto siciliano con un pobre tipo cuyo hijo se ha suicidado porque no lograba integrarse a la gran ciudad (“De tarde no quería salir, demasiada luz en la calle; en el pueblo estaba oscuro”). Parrino es acompañado en sus peregrinaciones por un Virgilio que huele a grapa, el beodo cronista Paolo Ferrero (un gran Luciano Salce). Los dos son lo suficientemente cínicos como para tragarse el sapo de la podredumbre que los circunda, pero tienen un fondo de idealismo romántico propio de los perdedores espléndidos. Cuando Parrino descubre una banda dedicada a la droga y la prostitución en la que están involucrados los vástagos de familias importantes, los superiores tapan todo, transfiriéndolo a la policía tributaria, y por su parte el director del diario rechaza el artículo de Ferrero sobre el caso. Ambos se toman una revancha moral distribuyendo dossiers comprometedores en el foyer del teatro Regio en ocasión del estreno de una ópera que reúne a toda la Turín importante; pero el spleen que se apodera de Parrino después de la burla aleja cualquier semblanza de final feliz.
Roberto Curti, Italia Odia. Il cinema poliziesco italiano, Lindau, Torino, 2006, pp. 7 y 103-110
https://calandacritica.com/2020/09/04/8367/
Entre todas las vertientes de ‹exploit› que nos ha ofrecido el cine en favor del entretenimiento, las películas sobre vigilantes deben ser las únicas que buscan el lado concienzudo del ciudadano para triunfar allí donde destaca la palabra “justicia”. Obligándonos a sacar nuestro lado Charles Bronson (que siempre me ha parecido más apropiado para la serie B que Clint Eastwood, aunque ambos que hayan ofrecido para la causa en numerosas ocasiones), este tipo de cine se basa exclusivamente en el hombre de a pie, quien sobrepasado por las circunstancias vividas (excesivamente violentas e injustas), decide tomarse la justicia por su mano ayudado por otros tantos que han sufrido similares aberraciones, dejando de lado todo método legal por infructuoso. Porque el ojo por ojo también se puede esconder tras una ‹buddy movie›.
Si uno de los principios básicos de este subgénero es dejar de lado a policías y jueces sabiendo que el sistema falla constantemente, el italiano Steno, más conocido por su dirección de bofetones junto a Bud Spencer, se puso serio y quiso reescribir el orden establecido de estas ‹vigilante films› en La policía agradece (La polizia ringrazia, 1972), donde muestra de primera mano la reacción de la policía a un grupo de personajes anónimos que se toman la justicia por su mano y acaban con delincuentes que no reciben la condena merecida.
Para ello nos fijamos en el comisario Bertone, un tipo serio, enérgico y sin medias tintas harto de ver cómo su trabajo se desprecia tanto en los juzgados como en los periódicos cada mañana. Aunque promete ser nuestro Bronson de cabecera, nos sorprende con la lealtad del manual de normas básicas policiales que no está dispuesto a romper, dejando en la sombra en todo momento a aquellos que sí se toman la barbarie a modo de método correctivo fiable.
Como todo lo que el cine italiano sabía exprimir en los 70, la ambientación colorista, la conducta amenazante, los modernos frente a los bigotes y ese ligero tufillo a mafia constante podrían convertir a La policía agradece en una más, pero sabe sacarle punta ya no sólo a la ya entonces ruinosa imagen de la policía, la política y la justicia, también lo hace con la posición de aquellos que se sienten capacitados para dirimir entre lo que está bien y lo que está mal, dejando a Bertone constantemente cabreado y sin una posición digna que defender.
Lo que nos queda entonces es buena música, persecuciones y una buena tunda de golpes que se coleccionan mientras conocemos la ‹malavita› que se va gestando en las calles de Roma tanto a plena luz del día como al amparo de la noche. Ese toque ‹poliziesco› que parece tan ajeno al sentido propio de las películas de vigilantes pero que resulta tan identificativo en los 70’s italianos queda perfecto en La policía agradece, donde se gestan distintas lecturas sobre la utilidad de la justicia y la total ausencia de ella, sin renunciar por ello a ese aire mamporrero y extremadamente violento que promete este tipo de cine, donde finalmente hasta el más malo representa la escoria social tan bien como cualquier otro habitante de esta convulsa ciudad que se aprovecha de aquellos que miran siempre para otro lado.
Cristina Ejarque
https://www.cinemaldito.com/sesion-doble-la-policia-agradece-1972-vigilante-1983/
Mediafire dice che i link 2,3 non esistono
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