TÍTULO ORIGINAL
I basilischi
AÑO
1963
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español, Inglés, Francés, Portugués, Alemán y Turco (Opcionales)
DURACIÓN
84 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Lina Wertmuller
GUIÓN
Lina Wertmuller
MÚSICA
Ennio Morricone
FOTOGRAFÍA
Gianni Di Venanzo
REPARTO
Antonio Petruzzi, Stefano Satta Flores, Sergio Ferrarino, Luigi Barbieri, Flora Carabella
PRODUCTORA
Galatea Film, 22 Dicembre
GÉNERO
Drama | Drama social
Sinossi
La piccolissima provincia come riparo dal mondo e dalle responsabilità, rifugio per giovani cresciuti nell'accidia senza lo straccio di un ideale o di un obiettivo che non sia quello di una decorosa sopravvivenza.
Francesco, Sergio e Antonio sono tre giovani privilegiati che vivono in un tipico paesino di provincia, Minervino Murge situato tra la Puglia e la Basilicata: il film è il ritratto della loro vita, ormai troppo intrisa di apatia e provincialismo[1], per poter far loro desiderare davvero di spiccare il volo verso mete più stimolanti.
Infatti, quando un giorno la zia di Antonio, svogliato studente universitario, gli offrirà di andare ad abitare da lei a Roma trasferendo l'iscrizione dall'Università di Bari a quella della capitale, dopo poco tempo egli rinuncerà e farà ritorno al paese, incapace di abbandonare pregiudizi, luoghi comuni e rituali della provincia natia, ormai irreversibilmente radicati nel suo essere.
Critica
Rivedere l'opera prima della trentacinquenne Lina Wertmuller (14/08/1928) fa sempre un certo effetto. Tanto più che la geniale regista romana di padre svizzero, ne firma la regia, il soggetto e la sceneggiatura offrendo un ritratto a tutto tondo delle proprie capacità e conoscenze. Ennio Morricone firma le musiche.
La storia è ambientata nella provincia pugliese e racconta della vita quotidiana di tre ragazzi in attesa di un cambiamento di vita, sospirato ma non profondamente desiderato.
Toni, Sergio e Francesco sono tre amici che, pur appartenendo a famiglie di classi sociali diverse, trascorrono oziosamente la quotidianità degli anni '50/ '60, in attesa perenne di un cambiamento passivo, ma sorseggiando mollemente i piaceri offerti dal vivere in un piccolo paese del Sud di Italia.
A Toni giungerà improvvisa e inaspettata la grande possibilità. Il Paese natio e gli agi consueti avranno il sopravvento.Il film riproduce fedelmente l'Italia del tempo, e anticipa il percorso critico della nostra Nazione, saldamente legata a vincoli familiari e restia a mutamenti generazionali.
L'opera prima della Wertmuller, che in precedenza era stata aiuto regista di Fellini ne La Dolce Vita e 8 1/2, consegna a perenne memoria, le ragioni storiche, del ritardo socioculturale che ancora ci allontana dagli Stati maggiormente progrediti, soprattutto nel Nord Europa. Il film, I Basilischi, rappresenta con feroce ironia, la mentalità e il modo di vivere Italiano, in perenne stato di insoddisfazione, ed in eterna attesa di miglioramento: a condizione che questo non alteri i ritmi acquisiti. Come affermava saggiamente Ennio Flaiano " L'Italia è un Paese dove sono accampati gli Italiani".
https://www.arsenalecinema.com/archivio-film/i-basilischi
I basilischi, quel film nato da una visita casuale alla terra di suo padre
“Era il 1961. Stavo andando con Tullio Kezich a trovare Francesco Rosi sul set di Salvatore Giuliano. Prima di giungere sul posto dove si girava il film, decidemmo di fare un giro in Puglia per visitare alcune cattedrali. Volli passare per Palazzo San Gervasio, il paese natale di mio padre. Fu per me la scoperta di un mondo, di quella parte d’Italia tagliata fuori dalle rotte delle tante guerre e dalla Storia”. Lina Wertmuller racconta così le sue origini lucane e la scoperta della sua terra, nel libro “Tutto a posto e niente in ordine”. Il volume, edito da Feltrinelli, racconta la vita e l’arte di Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, cioè Lina, sceneggiatrice e regista che poche settimane fa ha ottenuto l’Oscar alla carriera.
“Mi aveva fato un grande effetto vedere i miei zii, i miei cugini e lo stile di vita che conducevano in quella terra del profondo Sud”.
Lina raccontò le sue impressioni a Tullio Kezic: “Perché non scrivi questa storia? Se ne potrebbe fare un film insolito sul Sud”, le disse il critico.
“La scrivo”, replicò Lina. Tornata a Roma impiegò una settimana a scrivere la storia e le sue emozioni provate nella Basilicata dei suoi avi.
Quel copione piacque, ma non c’erano fondi. Racconta la Wertmuller che per un’opera prima servivano, all’epoca, circa 100 milioni. Per girare I Basilischi – questo il titolo del film scaturito da quel copione _ furono trovati 34. La troupe era quella che aveva girato, con Fellini Otto e mezzo; per risparmiare chiamò amici e conoscenti a recitare, al fianco di Clarabella Mastroianni e Stefano Satta Flores.
“A Palazzo San Gervasio non c’erano alberghi o pensioni – scrive ancora la regista nella sua biografia _ non sapevamo dove far alloggiare la troupe e i collaboratori”.
Si fecero prestare gratuitamente una casa del paese che l’Inps aveva appena realizzato per i contadini.
“Lì organizzammo la nostra pensione: al primo piano c’erano le camere da letto, al pian terreno una piccola buvette”.
“Per me la sconosciuta Basilicata nella quale mi apprestavo a girare il mio primo film _ racconta ancora _ era stata fin dall’infanzia la favolosa “Terra dei Re”, lontana, come lontani erano pure quei nonni dai roboanti nomi di mitici baroni svizzero-tedeschi. Ora scoprivo la verità: era una terra dove vivono uomini piccoli e forti come tronchi d’olivo e donne dal volto greco e con gli occhi saraceni, dentro case bianche di calce e grigie di pietre. Una terra ricca di leggende misteriose”.
Il film fu presentato al festival di Locarno dove ottenne anche un riconoscimento (“Durante la proiezione mi chiedevo quanto potesse interessare a quei giurati svizzeri, inglesi e tedeschi, un film che raccontava la vita di un paese sperduto della Basilicata”, ha raccontato la regista.
...
Il film. I basilischi sono i giovani della provincia del Sud Italia, che, come lucertole al sole, passano le giornate apatici e svogliati su e giù per il paese o al circolo senza un vero obiettivo, un ideale, una prospettiva di vita.
Antonio, figlio del notaio di un piccolo paese del Meridione, ha venti anni e trascorre noiosamente le sue giornate come parecchi suoi conterranei.
Studia legge, ma è poco assiduo all’Università.
Le sue soddisfazioni e i suoi svaghi si riducono al circolo e alle passeggiate per il corso con gli amici.
Uno di questi è Francesco, figlio di piccoli proprietari terrieri, che è riuscito a conquistarsi il posto tra gli eletti del paese in virtù del suo titolo di ragioniere. Seguendo i due ragazzi nei loro incontri si può conoscere la storia di quelle famiglie che costituiscono la classe alta del piccolo centro.
I giorni passano e sembrano far parte di un solo lungo giorno: stessi discorsi, stessi posti; una vita ristretta in pochissime attività.
Antonio, al quale verrà offerta la possibilità di andare a vivere a Roma, preferirà rimanere per sempre nella monotonia e nella pigrizia del paese.
https://www.storieoggi.it/2019/11/27/i-basilischi-quel-film-nato-da-una-visita-casuale-alla-terra-di-suo-padre/
Mi trovo qui, nel silenzio tonificante della montagna, dove l’erba rugiadosa profuma ancora di taglio e ti rinfresca, dove il verde benevolo e ombroso dei pini ti protegge la vista. E, per gli amanti del film “d’autore”, penso e azzardo un consiglio: riscoprite il film “I Basilischi”, ho avuto l’occasione di rivederlo ieri, in casa di un amico, in vacanza insieme ad Antermoia, piccola frazione di San Martino in Badia. È l’opera prima di Lina Wertmüller, 1963.
Il nome “basilisco” risale a quel rettile che, nel Medio Evo, si diceva, avesse il potere di uccidere, se ti guardava. L’unico modo di disfarsene, era credenza, quello di piantargli uno specchio davanti agli occhi, moriva lui stesso, rimirandosi! Fu pure usato, in senso traslato, per indicare una grossa bocca di fuoco, un grande obice, per esempio. Anche Plinio il Vecchio ne parlava ma non voglio divagare.
I Basilischi, infatti, sono i nativi della Basilicata, tutti dei “piccoli re”, dalla radice greco/latina, come la regista che, pur se romana di nascita, ha origini lucane, da Palazzo San Gervasio.
Il nome fu anche sinonimo di chi si nasconde, non per paura ma perché non vuole essere visto; il piccolo paese, dove sei nato, come quello dove venne girato il film, è il riparo dal Mondo. I tre personaggi chiave, Antonio, Francesco e Sergio, pur se capaci e intelligenti, non hanno uno straccio di ideale, e, come quegli altri basilischi, assumono i loro connotati, ramarri che evitano di comparire, escono allo scoperto solo se c’è il sole, per ignavia, per insofferenza atavica, per indolenza.
Sanno, i virgulti indigeni, che possono essere criticati da coloro i quali, raggiunta l’età della saggezza, quella dell’esperienza, non vorrebbero che i loro discendenti diventassero quei “basilischi” che loro furono, (vedi, al contrario, mi viene in mente, Pupella Maggio, in “Nuovo Cinema Paradiso”, dove, invece, il figlio parte per Roma, “vattìnne, vattìnne, nun ti vogghiu cchiù vìriri”, lo incitava Philippe Noiret, e diventa un grande regista), e per questo li scantonano perché non hanno la forza di staccarsi dalla loro terra.
La Wertmüller, nota per un vezzo, quello delle montature bianche alle lenti da vista, rivela subito il suo genio, scrive e cura la sceneggiatura del film, col montaggio di Ruggero Mastroianni, fratello di Marcello, con un’altra opera prima, all’interno, il leitmotiv, pregevolissimo, di Ennio Morricone.
Il cast contiene personaggi come Stefano Satta Flores, scomparso prematuramente, e Flora Carabella, moglie di Marcello Mastroianni, che fu amica e compagna di scuola della Wertmüller. Gli attori, tanto sono immedesimati nella parte, che paiono nati in quella “sperduta landa”, in quel paesino della Basilicata, in quei primi anni sessanta, dove “lo svago dei poveri”, “ ‘o svago ‘e puverielli ”, era ancora l’unico su cui si potesse contare, dove la stessa aria pareva volesse dormire: ne è esempio pregevole la scena della “controra”, esame analitico del come, (dopo la minestra risucchiata da tutti i membri della famiglia, non si scambiano una parola durante il pranzo, e che si devono.… dire, tutti curvi e riversi verso il piatto, giusto il movimento del collo a raggiungere il cucchiaio, a pelo di brodo, con il capo famiglia, in canotta d’ordinanza e cappello in testa), ci si deve comportare a fine pasto: il “patriarca” va in camera da letto, si sdraia col cappello, dorme, lo raggiunge la moglie che, molto più raffinata, dorme in sottoveste, e si mettono a dormire tutti i membri della famiglia, dormono tutti, nelle case attaccate, nelle casupole limitrofe, (di pregiata fattura coi muri a secco), contigue, staccate di poco le une dalle altre, anche l’”ottimato” notaio, anche il “ceto medio “rappresentato dal farmacista, con la testa appoggiata sul bancone e la… “plebe”, il barbiere semi sdraiato nella poltrona del cliente, non vale la pena chiudere la “locabilità, con questo calore, restammo ccà“!
È sveglia solo la proprietaria terriera, sbarcata qui per matrimonio, non è di queste parti, costretta a far conti, tra mezzadri e masserie, il marito è da tempo scomparso, e lei ha il suo bel da fare. La “controra”, dunque! Non si nega a nessuno, dormono le tre figlie racchie, grasse, cervello vuoto, del farmacista, ma ”si sposeranno, la … ‘farmaceutica rende’, uno straccio di marito lo troveranno”; il problema è per la figlia del “povirazzo”, che non dorme, baffuta, insipida, ignorantella, è però… istruita, legge “Sogno” e “Grand Hotel”, appannaggio in città delle servotte, conosce un suo mondo tutto particolare, un mondo di “Amélie” ante litteram, fatto di eroi inverosimili, di principi azzurri che, arrivati al.….. “Cristo si è fermato a Eboli”, girano i tacchi e sperano nelle Calabrie!
Matera, capitale della cultura, era di là dal divenire….
In questo scenario, assolutamente vero, confermato dal sottoscritto per essere vissuto a lungo nel Sud, ed ancor prima della data d’uscita del film, (conosce “capre e cavoli”, ottimati, campagnoli e ceto medio, ‘bassa forza’ militare e contadini, la cui terra è arsa dalla lava cocente indurita, con l’acqua che scarseggia, con la natura che produce arance e fichi d’India), il film si snoda perfetto, ironico, sarcastico, rappresentando un popolo in stile arabeggiante, svevo, borbonico, aragonese, umiliato e affranto dalla fatalità che tutto muove e.… ferma.
Mirabile l’inizio, la voce narrante, locale nel dialetto, nella controra, con Stefano Satta Flores che “gattona” una vezzosa quanto insulsa ragazza, il.… mercato questo offre!, e dopo tanti appostamenti, non visto, non visti, si decide, “avrà notato, signorina, che è un po’ di tempo che, … inzomma, la noto, vorrei sperare che lei, … inzomma, siccome nutro interesse, spero voglia esaminare la mia richiesta, ah, ci sarebbero pure due miei amici, interessati ad una sua amica cui lei si accompagna...”.
La sdegnosetta, dopo un “embè” quasi indispettito, ma doverosamente ci sta tutto, tutta scena nella scena, “sì, sì, ho preso notizie, lei è un bravo giovine, senza grilli per la testa, studia, va all’università, ci penserò”, (vorrebbe subito esternarsi ma pare brutto, si fa ritrosa e cheffà, al primo che ti ferma.…) “la risposta tra tre giorni”; “chi?, ah, è mia cugina, riferirò, sì, sì, abbiamo notato anche gli altri due, la risposta, sempre qui, il posto è tranquillo”, – lontano da occhi indiscreti (ndr) – “tra quattro giorni”!
All’interno della scena, nella canicola, una scalinata lunga che porta chissà dove: si sente solo il caldo, l’ombra dei muri, il silenzio mosso esclusivamente dal ticchettio delle zeppe basse di lei e dal fruscio della gonna che ondeggia ad ogni passo calcato, a destra e a sinistra, con cadenza, ancora abbastanza lunga, ma sufficiente per far notare che le gambe sono dritte!
È la controra! Le loro parole sono da repertorio, ereditate da padri e nonni, da madri e nonne, semplici, declamate in tono sostenuto, gli atteggiamenti, il dialetto in…. lingua, le abitudini, la vita scorre in discesa, lenta, verso un domani inesistente, tutto fa presagire che tutto continuerà come prima.
La Wertmüller ha reso così, con pienezza e dovizia di particolari, l’atavica stagnazione del Sud, dove, “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, diceva Tancredi Falconieri, nipote del Principe Tomasi di Lampedusa, ne “Il Gattopardo” di Luchino Visconti.
Di pregio, per chiudere, ma tutto il film è “ ‘nu zucchero ”, la “dispensatrice d’amore” locale, arrivata dal Nord, osannata da metà del paese, disdegnata dall’altra, ha fatto quattro figli qui, “vabbè, oramai è parente”!
Dai telefoni bianchi al neorealismo di Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, di Germi, De Santis e Lattuada, si passa, d’un subito, con la Wertmüller, ad un nuovo cinema, fatto anch’esso con poco, ma che rende molto, per il sarcasmo, l’amarezza, l’ironia, la fatalità.
Il consiglio è quindi di rivederlo, gustarne pane e briciole, capire quell’Italia com’era e tutto diventa consequenziale.
La romana Wertmüller, basilisca d’origine, ha messo, sul piatto d’argento della celluloide, un pezzo raro, un antico Sheffield, di puro stampo italico.
Beh, sento tuoni, dai monti lontani, austriaci, dopo la Plose, l’acqua è in arrivo, meglio “schiodare”, smobilitare.
Massimo Marchitto
https://www.basilicata24.it/2019/08/basilischi-alto-adige-omaggio-lina-wertmuller-67272/
I link non funzionano, dice "The file you requested has been blocked for a violation of our Terms of Service."
ResponderEliminarCambiados todos los enlaces y alojados en un nuevo servidor.
EliminarFunziona solo il primo link,da 2 a 8 non esistono.
ResponderEliminarModificati tutti i collegamenti e ospitati su un nuovo server.
Eliminargrazie
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