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domingo, 24 de octubre de 2021

La verità sta in cielo - Roberto Faenza (2016)

TÍTULO ORIGINAL
La verità sta in cielo
AÑO
2016
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
94 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Roberto Faenza
GUIÓN
Roberto Faenza
FOTOGRAFÍA
Maurizio Calvesi
REPARTO
Riccardo Scamarcio, Maya Sansa, Greta Scarano, Valentina Lodovini, Shel Shapiro, Tommaso Lazotti, Luciano Roffi, Anthony Souter, Elettra Orlandi, Alessandro Bertolucci, Giacomo Gonnella, Alberto Cracco, Paul Randall
PRODUCTORA
Jean Vigo Italia
GÉNERO
Intriga | Secuestros / Desapariciones. Años 80

Sinopsis
La desaparición de Emanuela Orlandi es un acontecimiento que aún hoy cuenta con escabrosas ramificaciones. El 22 de junio de 1983, Emanuela, hija de un empleado de la prefectura del Vaticano, desapareció en misteriosas circunstancias cuando apenas había cumplido 15 años. Su desaparición supone la ocasión para relatar la génesis de la pirámide criminal que desde aquel momento en adelante echó raíces en la capital transalpina. (FILMAFFINITY)
 
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Roberto Faenza dirige una storia vera, che voleva raccontare già da molto tempo: il sequestro di Emanuela Orlandi.
Il 22 giugno 1983 la quindicenne Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, figlia di un messo pontificio, sparisce dopo essere uscita dalla sua scuola nel centro di Roma.
La verità sta in cielo parte dai nostri giorni, esattamente da un’inchiesta dello scandalo “Mafia capitale”; un’emittente inglese decide di inviare a Roma una giornalista di origine italiana, Maria (Maya Sansa), per raccontare dove tutto ebbe inizio in quel 22 giugno di tanti anni prima. Raffaella Notariale, una giornalista della RAI (Valentina Lodovini), aggiorna Maria sulle scoperte fatte tempo prima, cioè del coinvolgimento della Banda della Magliana nella scomparsa della Orlandi. Le rivelazioni sono state fatte a Raffaella da Sabrina Minardi (Greta Scarano), l’amante di Enrico De Pedis (Riccardo Scamarcio), meglio conosciuto come Renatino, il boss che ha saputo gestire meglio di ogni altro il malaffare della capitale.
Nonostante il suo passato criminale, Renatino verrà sepolto nella Basilica di S. Apollinare, nel cuore di Roma, proprio accanto alla scuola di musica frequentata da Emanuela.

Realizzato con l’appoggio della famiglia Orlandi, di Pietro Orlandi soprattutto, fratello di Emanuela, ancora in attesa dei documenti secretati dal Vaticano, La verità sta in cielo è un classico film di inchiesta, senza grinta però. I fatti sono sceneggiati in modo chiaro, attraverso una narrazione che ricalca lo stile del documentario, qualche immagine di repertorio si unisce al lavoro di fiction che si snoda su tre piani temporali: i giorni nostri, il 1983, il racconto della Minardi alla giornalista RAI. Tuttavia il film, nel suo voler essere troppo cronaca, fatica a prendere ritmo e anche i bravi attori del cast non riescono a tenere il passo con un copione lento, mentre il lavoro di indagine richiede un confronto accurato, meno indignato e più concreto.

Ilaria Falcone
https://www.nonsolocinema.com/la-verita-sta-cielo-roberto-faenza.html


La parola al regista Roberto Faenza

All’inizio hai pensato di farne un documentario?
Il progetto è sempre stato cinematografico. Avevo pensato però di farne una serie televisiva, ci sono così tanti personaggio da poter seguire nel loro percorso criminoso. Spero che questo film trasmetti emozioni, per provocare un coinvolgimento, per questo motivo faccio lungometraggi. Mi interessa inoltre dimostrare che anche il cinema può dire la verità. “Non ad probandum, ma ad narrandum” [non per dimostrare qualcosa, ma per narrarlo] dicevano i latini.

In La verità sta in cielo, cosa c’è di vero o cosa di inventato?
Di inventato non c’è quasi niente, c’è un’elaborazione dei fatti. È tutto basato su cose avvenute.
Anche il vescovo [interpretato da Alberto Cracco] trae spunto dalla verità. La cosa che mi dispiace di questo film è che molti penseranno che sia un attacco al Vaticano.
Il papa nel film dice che ci sono due chiese e io le rappresento. Bisogna ricordarsi che il Vaticano è uno stato, non solo la chiesa. Oltre al lato corrotto, c’è un rappresentante della chiesa che a me piace [il vescovo], che dice “meglio il clamore del silenzio”, che fa quel discorso bellissimo sulla parola di cristo e la voce del diavolo. Mi sono ispirate alle parole del cardinal Martini. Noi abbiamo avuto una committenza epistolare.
Questo è un film che racconta che il vaticano non è un monolite.

Nell’ultima scena si parla di una trattativa. È stata una sua lettura dei fatti?
È un ipotesi scaturita dall’incontro con i magistrati, leggendo le carte. È una scena compatibile con le informazioni raccolte.

De Pedis e la Minardi vengono presentati come pedine. Secondo lei, lui si è pentito di ciò che ha fatto o non è stato mai realmente cosciente delle conseguenze delle proprie azioni?
Il personaggio più interessante del film è la Minardi. Molti rilievi sono stati accurati, nonostante sia una donna malata, che ha fatto uso di droghe. A me non interessa questo, ma il lato umana. Secondo me è un personaggio shakespeariano, meriterebbe un film solo lei.
Nasce come una ventenne di successo, si sposa con Bruno Giordano e finisce su tutti i giornali.
Poi non capisci come mai un personaggio così scende negli inferi, diventa prostituta, mette in piedi un bordello, si associa alla malavita. Credo che nel film viene fuori questo aspetto umano.
Credo che la Scarano abbia fatto un lavoro eccezionale.
De Pedis a 20 anni è già in carcere e passa lì 7/8 anni, muore a 38 anni, quindi come ha fatto a diventare quello che è diventato? Deve essere stato molto intelligente, inoltre quando abbiamo girato la scena a via del Pellegrino tutti quelli che lo hanno conosciuto hanno detto che era una persona stupenda, “se mi rubavano il motorino mica andavo dalla polizia, andavo da lui e me lo ritrovava”, uno di loro ci ha raccontato. Anche questo parla di Roma.

Lei definirebbe il suo film antitetico a Romanzo Criminale?
Sì, esattamente l’opposto. La banda della magliara era una banda di accattone e di straccioni. In realtà non è mai esistita, è esistita la batteria che i romanzi e la televisione hanno portato ali estremi della popolarità, sbagliando e facendo delle cose grossolane. De Pedis non soltanto non ne faceva parte, ma era il nemico numero uno.
Perché nessuno ha mai raccontato la vera banda, quella dei Testaccini? Perché significa toccare dei santuari. Erano legati ai servizi segreti (che poi sapevano che sarebbe stato ammazzato De Pedis, hanno seguito i killer, senza dire né fare niente), ai politici e al Vaticano.
Finora il cinema non ha avuto il coraggio di fare nomi e cognomi. Infatti noi rischiamo, ma abbiamo solide basi, non mi sono inventato nulla.

Quanti scheletri nell’armadio ha ancora intenzione di tirare fuori?
Datemi delle idee, io sono qua.
https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/focus/la-verita-sta-cielo-intervista-roberto-faenza-riccardo-scamarcio-greta-scarano/

“Lei è in cielo”. Sono le prime parole che sanno di verità dette dal Vaticano in questi infiniti 33 anni trascorsi dalla scomparsa di Emanuela Orlandi. Le ha sussurrate all’orecchio del fratello di Emanuela, Pietro, papa Francesco. Come a dire: trova pace, tu e la tua famiglia, Emanuela non c’è più, è in cielo.

Roberto Faenza, regista rigoroso e impegnato da sempre con la storia e la cronaca italiana, si cura poco – devo dire – delle qualità formali di “La verità è in cielo”, preoccupato a tenere dritto il testimone affidatogli dalla famiglia e dalla propria coscienza. Ne viene fuori una ricostruzione piuttosto chiara di una delle principali tesi sulla fine di Emanuela, quella in cui crede la sua famiglia almeno: un rapimento, una vendetta contro il Vaticano, un avvertimento forse finito male per quei soldi che la Chiesa di Roma aveva preso “in prestito” dalla malavita romana e mai restituito. Soldi che servivano a sostenere la rivoluzione polacca di Walesa, a cui papa Wojtyla guardava ovviamente con occhio benevolo, speranzoso che quello fosse il primo atto della caduta della cortina ad est. A far fare il giro ai soldi dalla malavita al Vaticano ci sono le banche di Calvi e di Marcinkus, a compiere l’operazione gli scagnozzi del capo testaccino De Pedis, a supervisionare il tutto i servizi segreti italiani e vaticani. In alcune notti romane, era possibile incontrarli tutti insieme in case-bordello altolocate.

Senza alcuno sforzo artistico, Faenza affida la spiegazione passo passo ad una giornalista italo-inglese (interpretata da Maya Sansa), inviata dal suo giornale ad occuparsi del “cold case” Orlandi dopo l’arresto di Massimo Carminati durante i blitz di Mafia capitale.

Famiglia Cristiana e l’Osservatore romano hanno reagito male al film, e non poteva essere diversamente. Accusano Faenza di faziosità e di aver scelto – senza contraddittorio – una delle mille tesi in campo, quella del complotto Vaticano, non dando alcun conto delle altre ipotesi al vaglio della magistratura (tra cui, quella ancora più lercia, del festino pedofilo in Vaticano). Il caso in realtà è appena stato appena archiviato per la seconda volta dalla magistratura italiana. La speranza di Faenza e  della famiglia Orlandi è che il film spinga ad una riapertura delle indagini.

Noi, da italiani più che da spettatori, ci auguriamo che ci sia ancora spazio per la verità sul caso di Emanuela. E non solo per lei, che come dice papa Francesco, probabilmente è in cielo. Ma anche per noi, ancora qui, vittime tutti di un silenzio troppo lungo. E di un’orgia di potere che ci infanga la vita.

Roberta Ronconi
https://www.articolo21.org/2016/10/la-verita-sta-in-cielo-di-roberto-faenza-%E2%98%85%E2%98%85%E2%98%86%E2%98%86%E2%98%86/?cn-reloaded=1

La verità sta in cielo, il nuovo film di Roberto Faenza, in sala dal 6 ottobre con 01 Distribution, riaccende i riflettori sul caso di Emanuela Orlandi. La sparizione della giovane cittadina del Vaticano non merita di essere archiviata, sia perché si tratta di una vittima innocente, sia perchè ne sono collegate personalità politiche e la malavita romana.

Il regista de La verità sta in cielo ha voluto fornire un quadro più grande della vicenda, mettendo insieme i pezzi del caso Orlandi, dalle testimonianze, agli atti depositati, fino alle inchieste svolte.
Cercando di rimanere più aderente possibile alla verità, ha usato la struttura fittizia del film, in grado di coinvolgere ed emozionare lo spettatore. Nella sua missione, di smuovere le coscienze del pubblico, viene talvolta a mancare un equilibrio, che possiamo perdonargli.

La coerenza e la fedeltà ai fatti portano il film a dare più valore alle parole che alle immagini. A raccontare nomi, luoghi e vicende, piuttosto che lasciare spazio alle inquadrature. Il racconto filmico è al servizio dell’informazione, dando un ibrido tra un lungometraggio drammatico e un documentario, tra realtà dei contenuti e finzione della struttura.

Il punto di vista usato è quello di Sabrina Minardi (Greta Scarano), amante di “Renatino”, Enrico De Pedis (Riccardo Scamarcio), che a distanza di anni ha raccontato quello che sapeva.

Articolata su tre livelli: passato, presente e futuro, si segue il passaggio del fatto, al suo racconto, alla distorsione delle informazioni, fino all’occultamento.
Questi livelli vengono attraversati nella testimonianza di Sabrina, una ragazza di vent’anni che entra in un mondo dall’aspetto strabiliante, ma marcio fino all’osso, che tra festini, droga e sesso ha corroso anche lei. Dopo il matrimonio con Bruno Giordano, è diventata l’amante di Enrico De Pedis, accompagnandolo ovunque e facendo per lui qualsiasi cosa.

Attraverso la loro relazione conosciamo un malvivente affascinante, romantico, ma anche disposto a tutto e immischiato con tutti. Di sfondo politici dello Stato italiano e del Vaticano, servizi segreti, magistrati che giocano a fare dio, mentre giornalisti, vescovi, devoti, cittadini, tutti vengono ingannati e usati come merce di scambio.  Tra questi Emanuela Orlandi, di cui si è occupato Renatino con la sua complice Sabrina, pedine di un gioco più grande: l’hanno rapita, mentre i mandanti riposavano tranquilli nelle loro regge.

La storia è raccontata tramite flashback, attraverso l’incontro della giornalista di Chi l’ha visto?, Raffaella N., e Sabrina.
Poi ci spostiamo nel futuro, quando una giornalista inglese, Maria, arriva in Italia per condurre un’inchiesta e contatta Sabrina, incontrando altri testimoni.

Gli attori sono riusciti a entrare con molta sensibilità nei personaggi di cui hanno sentito parlare, visto interviste, letto la loro storia sui libri o riportata nei documenti giudiziari.
In particolare Greta Scarano che ha vestito i panni sia della giovane Sabrina, che della donna matura, ha dato prova di una grande abilità. Un personaggio doppio, le cui esperienze lo hanno portato dalla spensieratezza alla pesantezza, dall’ingenuità alla consapevolezza.

Che vorrebbe fare qualcosa per rimediare al suo passato, ma deve combattere con i postumi della droga che trasformano i ricordi e modificano la percezione del tempo.

I personaggi delle giornaliste sono i nostri Virgilio, che ci conducono da un episodio all’altro, nel tempo e nei piani politici.
La ricercatezza registica offre sia immagine nitide e vicine alla realtà, seguendo Raffaella e Maria, sia la meraviglia, il sogno di Sabrina di sentirsi all’improvviso una principessa, circondata dal lusso e da persone importanti. Ogni realtà può essere ambivalente, il sogno di una persona può trasformarsi nell’incubo di un’altra. La verità esclude il giudizio, cerca solo la congiunzione tra causa ed effetto.

La verità sta in cielo è la frase detta dal Papa Bergoglio al fratello di Emanuela Orlandi. Circa dopo 30 anni qualcuno ha detto che la ragazza è morta, ma questo non basta. La verità è quella che ti permette di avere giustizia, di sentirti libero, di capire e affrontare il futuro. Noi italiani siamo abituati a conoscere una realtà distorta e questo ha indebolito la nostra speranza di sapere. Questo film per quanto da molta importanza a una ricostruzione effettiva dei fatti, non vuole comunicare intellettualmente, bensì punta a provocare delle reazioni emotive. Vedere La verità sta in cielo aiuta a ricordarci che il passato deve essere affrontato, accantonarlo a un angolo ci impedisce di essere sempre impreparati ad andare avanti, smembrando la nostra identità di popolo.

Federica Guzzon
https://www.cinematographe.it/recensioni/la-verita-sta-in-cielo-recensione/

Emanuela Orlandi, quando il 22 giugno 1983 non fece ritorno a casa, non era altro che una ragazza quindicenne con una vita normalissima e una sincera passione per la musica. Inizialmente non era nemmeno certo se fosse stata vittima o meno di un rapimento, ma quando presto si intuì che la sua unica colpa era quella di esser figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, i contorni della sparizione divennero ben più complessi.
Da allora sono passati trentatré anni, e nonostante la verità rimanga ancora una chimera, quel che è certo è che a proposito di quel fatto di cronaca nera sono stati tirati in ballo interessi tutt’altro che limpidi del Vaticano, la criminalità organizzata (in particolar modo la Banda della Magliana e quella dei Testaccini), le istituzioni deviate, gli istituti bancari, i servizi segreti di diverse nazioni e movimenti estremisti come quello dei Lupi Grigi.
Quello della scomparsa della Orlandi è sì un mistero legato a doppio filo alla storia italiana degli ultimi decenni, evidentemente ramificato nelle numerose zone grigie in cui i gangli del potere istituzionale si sovrappongono agli interessi criminali, ma è soprattutto la storia tristissima di una ragazza incolpevole travolta da eventi più grandi di lei e del dolore e della perenne incertezza con cui hanno dovuto fare i conti i suoi familiari, ai quali ancora oggi non è stata restituita la giustizia di una verità e che non possono piangere il corpo della loro cara – sempre che sia effettivamente deceduta.
La complessa vicenda non era mai stata raccontata al cinema, e soprattutto ora che l’inchiesta è stata archiviata senza che si sia giunti a nessuna verità processuale definitiva, il lavoro di Roberto Faenza è un importantissimo atto di impegno civile per ricordare un episodio che troppo a lungo è stato oggetto di depistaggi e insabbiamenti.
La Verità Sta In Cielo, di cui Faenza firma sceneggiatura e regia, parte dallo spunto narrativo di un’inchiesta giornalistica inglese per portare in scena un meticoloso reenacting degli atti processuali del caso Orlandi.
Faenza ha da sempre una predilezione per i cold case e il suo impressionante curriculum, in cui a numerose produzioni cinematografiche internazionali si alternano altrettante pubblicazioni saggistiche legate alla sua laurea in scienze politiche, sembrerebbe farne il regista perfetto per questa ‘operazione verità’. Se poi consideriamo che nel mirabilissimo lavoro di ricerca preparatoria è stato aiutato dalla famiglia di Emanuela, e che alcuni degli elementi emersi potrebbero addirittura far riaprire il caso, è evidente quando La Verità Sta In Cielo possa essere un piccolo ma importantissimo passo avanti nel percorso apparentemente infinito verso la soluzione del caso Orlandi.
Detto questo, però, subentra la componente artistica della realizzazione di un film, e purtroppo sembra proprio che alla grandissima attenzione di Faenza verso il lavoro di ricerca e ricostruzione corrisponda un altrettanto lapalissiano disinteresse verso la messinscena cinematografica, che presenta una trascuratezza tecnica e artistica di gran lunga più preoccupante rispetto a quella che ha reso famigerate le peggiori fiction televisive italiane.
I problemi sono evidenti sin dallo script, che indulge con qualsiasi mezzo possibile su ‘spiegoni’ forzatissimi ma che al contempo risulta incomprensibile a chi non abbia una buona conoscenza degli eventi susseguitisi nei primi anni successivi alla sparizione, rendendo quella che poteva essere una pellicola in parte ‘divulgativa’ un approfondimento riservato relativamente a pochi. Come se non bastasse i dialoghi sono quanto di più innaturale e artificioso si possa concepire, a volte sono addirittura oggetto di correzioni successive al girato (tanto da comportare uno sgradevolissimo doppiaggio di un diverso parlato, italiano su italiano) e come se non bastasse sono affidati a interpretazioni attoriali a dir poco distratte, in cui un parlato cantilenante con punte gigionesche e un’inespressività vitrea affossano definitivamente la pagina (il riferimento è in particolare a Maya Sansa, qui trasformata in ‘promoter’ involontaria di un tablet Android, alla bellissima e spesso brava Valentina Lodovini, ma anche a Shel Shapiro).
Uno script problematico potrebbe in parte esser salvato da una confezione accurata, ma non è certo questo il caso: ogni attore, poltrona o evento viene posizionato sempre in favore di camera come in una trasmissione televisiva, c’è un abuso ingiustificato dello zoom come se ancora fossimo negli anni ’70, e i dialoghi sono raccontati con un ping-pong tra campo e controcampo che ha del dilettantesco.
Anche chi normalmente lavora magnificamente qui non riesce a brillare, e viene quindi il dubbio che il problema principale del film sia proprio la guida di Faenza: il montatore è l’ottimo Massimo Fiocchi (Io Non Ho Paura, Educazione Siberiana), ma i tagli arrivano sempre troppo tardi (effetto “F4/basito”) o troppo presto; la fotografia è affidata al grande talento di Maurizio Calvesi (Le Confessioni, Non Essere Cattivo, Mine Vaganti) eppure c’è un eccesso di illuminazione e in alcuni casi sono evidenti gravissime incoerenze di color grading (la scena in cui avviene il passaggio della Orlandi da De Pedis all’autista è un puzzle inaccettabile) e addirittura il geniale Teho Teardo, che ha segnato la fortuna di molti film cui ha partecipato, qui si impigrisce su tappeti sonori non certo originali. La traccia audio soffre infine di uno sbilanciamento fastidiosissimo tra suoni ambientali e parlato a favore di quest’ultimo, e nonostante l’operato di Brando Mosca, vincitore di un David come fonico di presa diretta per Cesare Deve Morire nel 2012, risulta indifendibile.
Fortunatamente c’è anche qualche nota positiva, e se l’interpretazione della brava Greta Scarano (già apprezzata in Suburra) riesce a emergere nella sua naturalezza nonostante il rigido trucco prostetico dietro il quale è spesso trincerata, il vero mattatore è Riccardo Scamarcio, che si è ormai definitivamente liberato della cattiva fama degli esordi ed è semplicemente impeccabile nel ruolo del boss ‘Renatino’ De Pedis.
In conclusione il cineasta Faenza fallisce clamorosamente e ci consegna un’opera filmica dalla realizzazione risibilmente scadente, ma ha il grandissimo merito di tenere accesi i riflettori su una vicenda che aveva un bisogno disperato di essere raccontata, di dare voce a chi da anni combatte senza sosta per la verità e di incuriosire chi quella vicenda ancora non la conosce.
In questo senso La Verità Sta In Cielo è un film necessario, la cui visione in sala non può che essere raccomandata. Starà poi a voi scegliere quanto essere clementi o meno nel giudizio artistico e tecnico.


Luca Ciccioni
http://www.anonimacinefili.it/2016/10/05/la-verita-sta-in-cielo-la-recensione-in-anteprima-no-spoiler/

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