TÍTULO ORIGINAL
Le mura di Sana'a
AÑO
1971
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
16 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Pier Paolo Pasolini
GUIÓN
Pier Paolo Pasolini
FOTOGRAFÍA
Tonino Delli Colli
REPARTO
Documental
PRODUCTORA
Rosima Amstalt
GÉNERO
Documental | Cortometraje
Muros de Sana'a (incl. Le mura di Sana'a) - italiano documental cortometraje dirigido por Pier Paolo Pasolini filmado en 1974[1] año. La película está narrada por el propio director. La película fue filmada en Sana, capital de hoy Yemen, en blanco y negro, Tira de película de 35 mm.
Este documento fue creado durante el rodaje de la película. La flor de las mil y una noches. Muestra decadencia restos la ciudad antigua luego la capital República Arabe de Yemen y es un llamamiento que pide desesperadamente la preservación de los tesoros arquitectónicos de la cultura[2]. El destinatario de este recurso es La UNESCO.
El proyecto proviene del período posterior de la obra de Pasolini. Los críticos lo asocian con cada vez más pronunciado pesimismo un director especialmente visible en textos periodísticos y, sobre todo, en películas Saló o los 120 días de Sodoma[3].
Intenciones del creador
El motivo principal de "Los muros de San" es el mismo que el de "La trilogía de la vida"; queríamos grabar ciertas formas de existencia en cinta. Y ni siquiera se trata de obras arquitectónicas individuales, sino de la ciudad en su conjunto, de los barrios habitados por los más pobres, porque son los más antiguos, aún no modernizados. Mientras trabajaba en La flor de las mil y una noches, me sentí muy decepcionado en los cuatro países que visitamos: Yemen del norte y del sur, Persia y Nepal. Todo lo que se parecía al pasado fue destruido. En Nepal y Yemen, existe una sensación de esnobismo urbano que recuerda a las ciudades occidentales. Los propios nativos ya no quieren vivir en la pobreza. Esto es comprensible, por supuesto, pero no necesariamente significa que ciudades enteras serán arrasadas ... Ciertamente, existe una solución intermedia. Todavía no se han dado cuenta de que los hermosos edificios que ahora están derribando para dar cabida a la modernidad pueden convertirse en una fuente de ingresos para el país dentro de diez años, cuando la industria del turismo comience a desarrollarse. (...)
Hoy en día, no hay cultura oriental u occidental, las fronteras se han difuminado hace mucho tiempo. Ahora tenemos una cultura común que lo abarca todo. Las antiguas murallas de Saná son tan importantes para los europeos como Venecia y sus canales.
- Pier Paolo Pasolini[3]
Notas al pie
(1) Nota: las bases de datos de los sitios web Filmweb.pl e IMDb dan el año 1964 incorrecto.
(2) Retrospectiva de Pasolini en Kino.Lab, Servicio Stopklatka.pl, 09-04-2004
(3) y si Catálogo II FF Nowe Horyzonty, Cieszyn 2002 basado en los materiales del distribuidor y el texto de Reihe Hanser Pier Paolo Pasolini
https://manualdatecnologia.com/pages/cortometrajes-italianos/muros-de-sana-a.html
Pier Paolo Pasolini a Sana’a di fronte le mura della città vecchia osserva i luoghi scelti come set di Alibech, unico episodio (peraltro poi non confluito nel montaggio finale) del Decameron non girato nel napoletano. Il 18 ottobre 1970, l’ultima domenica che avrebbe trascorso con la troupe nello Yemen del sud, con un po’ di pellicola avanzata dalle riprese e con le ultime energie residue («energia e forza fisica mi son bastate, o perlomeno le ho fatte bastare – dirà poi il regista al Corriere della Sera – ci tenevo troppo a girare questo documento») gira un cortometraggio in forma di appello all’UNESCO per la salvaguardia della città: Le mura di Sana’a.
Prodotto da Franco Rossellini, con la fotografia di Tonino Delli Colli e l’aiuto al montaggio di Tatiana Casini Morigi, il film è una sorta di reportage poetico, mandato in onda dalla Rai all’interno della rubrica boomerang il 16 febbraio del 1971 (in una forma embrionale in cui mancavano le sequenze su Orte e Sabaudia) e proiettato poi al Cinema Capitol di Milano in occasione dell’anteprima de Il Fiore delle mille e una notte (1974), opera per la quale Pasolini era tornato a Sana’a per girare le scene dell’episodio di Aziz e Aziza. Le due sequenze sulle città di Orte e Sabaudia verranno aggiunte dopo che Pasolini realizzerà insieme al regista Paolo Brunatto La forma della città (1974), per una trasmissione Rai (Io e...) curata da Anna Zanoli, una storica dell’arte della cerchia di Roberto Longhi.
Lo sguardo di Pasolini verso, e attraverso, Le mura di Sana’a risulta emblematico della capacità dello scrittore di cogliere gli elementi architettonici come specchio dei mutamenti sociali, come accade del resto anche ne La forma della città. Se nel corto (il cui testo viene integralmente pubblicato dalla rivista Epoca il 17 marzo 1988) Pasolini si rivolge all’UNESCO «perché aiuti lo Yemen a salvarsi dalla sua distruzione, cominciata con la distruzione delle mura di Sana’a», nella trasmissione Rai sono le città di Orte e Sabaudia ad essere al centro della preoccupazione del regista. Questa attenzione alla ‘forma della città’ percorre trasversalmente tutta l’opera pasoliniana: si pensi ai reportage del 1951 dalla puglia per il Quotidiano, in cui Pasolini si lascia ammaliare dalla perfezione architettonica de I Nitidi “Trulli” di Alberobello (8 marzo 1951) descrivendo con ammirazione i luoghi in cui poi ambienterà il Vangelo. Si pensi altresì ai racconti Dissolvenza sul mare del circeo e Testaccio, usciti in rivista rispettivamente su Quotidiano (7 giugno 1951) e La fiera letteraria (7 ottobre 1951), che contengono un iniziale nucleo tematico cui Pasolini attinge per la realizzazione dei romanzi degli anni ’50, nei quali gli elementi architettonici iniziano ad essere usati in una chiave non solo descrittiva e raccontati con ‘l’occhio del regista’. Del resto per cogliere l’importanza della città e dei suoi elementi basta rileggere ciò che Pasolini stesso dice, in un intervista rilasciata a Elio Filippo Acrocca nel 1957 (La fiera Letteraria, 30 giugno1957): «Roma nella mia narrativa è stata la protagonista diretta».
La forza di questo sguardo emerge a pieno in Un viaggio per Roma e dintorni (Vie Nuove, 3 maggio 1959), in cui la descrizione degli elementi architettonici della città diventa spunto per raccontare una Roma «ignota al turista, ignorata dal benpensante», racchiusa in un’immagine molto distante da quella raccontata nei film neorealistici:
villaggi di tuguri, distese di casette da città beduina, frane sgangherate di palazzoni e cinema sfarzosi, ex casali incastrati tra grattacieli, dighe di pareti altissime e vicoletti fangosi, vuoti improvvisi in cui ricompaiono sterri e prati con qualche gregge […] Roma, si sa, formicola ancora di sottoproletariato (Trastevere, Borgo Panigo, Campo dei Fiori ecc. ecc.): e, quindi, di anarchia e malavita.
Tali elementi ritornano sia ne La forma della città che ne Le mura di Sana’a e attestano quella continuità tematica che emerge nell’ultima produzione del Pasolini corsaro e luterano:
Sabaudia è stata creata dal regime, non c'è dubbio, però non ha niente di fascista, in realtà, se non alcuni caratteri esteriori. Allora io penso questo: che il fascismo, il regime fascista, non è stato altro, in conclusione, che un gruppo di criminali al potere. E questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente, non è riuscito a incidere, nemmeno scalfire lontanamente la realtà dell'Italia. […] Ora invece succede il contrario. Il regime è un regime democratico eccetera eccetera, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce ad ottenere perfettamente: distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha, che l'Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. (La forma della città)
Qui lo sguardo pasoliniano rivela tutta la sua peculiarità: tramite la forma della città, infatti, Pasolini analizza la più intrinseca natura del fascismo, allo stesso modo in cui attraverso fenomeni di costume (la moda dei capelli lunghi o lo slogan della pubblicità dei jeans), eventi sportivi o trasmissioni televisive (Canzonissima o il Festival di Sanremo) riesce ad andare oltre e vedere la profonda natura della società italiana. In un’intervista rilasciata a Tommaso Anzoino nel 1971, spiegherà poi che il vero dramma è l’imposizione dall’alto di modelli culturali e non, e c’è poca differenza, in questa imposizione, tra un regime socialista ed uno neocapitalista:
Come in tutte le nazioni del terzo mondo ciò è indifferenziato: la società neocapitalista o socialista sono interscambiabili. Ambedue i modelli appartengono ad un mondo ugualmente avanzato, che, dall’alto della sua modernità, manda tecnici, che sono, in definitiva, ugualmente repressivi. Non si sa quale sia la vera volontà, quella che si manifesta dal basso dei popoli medievali sopravvissuti – per qualche ragione misteriosa ma evidentemente buona – fino ad oggi.
La citazione dei popoli medievali non è casuale; sono molti i riferimenti alla purezza delle città antiche, come testimonia Puro medioevo, un paragrafo del già citato I Nitidi “Trulli” di Alberobello. Tornando indietro nel tempo lo sguardo di Pasolini coglie quel «passato senza nome» che sente di dover difendere, insieme all’architettura più povera:
Questa strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso e antico, non è niente, non è quasi niente, è un’umile cosa. Non si può nemmeno confrontare con certe opere d’arte, d’autore, stupende, della tradizione italiana, eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un’opera d’arte di un grande autore. […] voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende e che è opera, diciamo così, del popolo, di un’intera storia, dell’intera storia del popolo di una città. Di una infinità di uomini senza nome […] con chiunque tu parli, è immediatamente d’accordo con te nel dover difendere un’opera d’arte d’un autore, un monumento, una chiesa, la facciata di una chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico ormai è assodato. Ma nessuno si rende conto che invece quello che va difeso è proprio questo anonimo, questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare. (La forma della città)
Rivolti verso le mura di Sana’a, gli occhi di Pasolini si caricano di quella poeticità che risiede non solo nella capacità di percepire e cogliere un passato anonimo, ma anche nella forza di difenderlo con lo stesso rigore e con la stessa passione con cui ci si batte per l’opera d’arte di un grande autore: «in nome degli uomini semplici che la povertà ha mantenuto puri, in nome della grazia dei secoli oscuri, in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del passato...».
http://www.arabeschi.it/3-corpi-e-luoghi-36-oltre-le-mura-di-sanaa/
La relación que traza Pasolini con el sol y el desierto –con la luz y el sol del desierto– no debe concebirse únicamente en un sentido físico, sino en la dimensión de un destino antropológico y de orden moral. Queda allí sugerida la ruta –peligrosa, impetuosa, incluso abrasadora– de la regeneración. Pero, para ello, hay que aprender a amar el desierto. Estar dispuestos a asumir la propia destrucción. Tal vez sea necesario estar solo, rodear por el desierto, para poder alcanzar el sentido más alto, o simplemente algún sentido. A menudo, el relato de Pasolini se sustenta en este contradictorio principio de partida: el desierto como lugar esencial –primero y último– de la historia, pese a su manifiesta incapacidad de sostener lo humano, de que lo humano se pueda sostener en él, abandonado como está al mortal influjo de una muy fuerte luz. Una luz que puede ser salvífica, o letal. Es decir: el desierto como lugar por antonomasia en el que se concentra un destino. El desierto, también, como foco en el que se convoca y condensará la vida más ardiente.
Alberto Ruiz de Samaniego, "El lugar era el desierto"
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