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lunes, 30 de diciembre de 2013

Exit: una storia personale - Massimiliano Amato (2010)


TÍTULO ORIGINAL Exit: Una storia personale 
AÑO 2009 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACIÓN 75 min.  
DIRECTOR Massimiliano Amato  
GUIÓN Massimiliano Amato 
MÚSICA Francesco Perri
FOTOGRAFÍA Massimiliano Amato 
REPARTO Luca Guastini, Nicola Garofalo, Marcella Braga, Paolo Di Gialluca, Antonio Calamonici 
PRODUCTORA A Film Productions 
GÉNERO Drama  

SINOPSIS Dopo il suicidio del suo compagno di stanza, Marco, un giovane disagiato, inizia a pensare che la sua esistenza sia molto simile a quella del suo amico, se non peggiore. La mancanza di prospettive, un forte senso di inadeguatezza non fanno che peggiorare il suo stato d’animo. In piena crisi, il ragazzo chiede al fratello Davide di accompagnarlo in Olanda per fare quello che il suo amico Maurizio aveva programmato lucidamente: un suicidio assistito. Confessa che vuole farla finita con la sua vita di emarginazione e malessere. Davide, abituato a convivere con le crisi e i deliri del fratello, non prende nemmeno in considerazione la richiesta. Non sa, e non può sapere che quello che Marco afferma ha una sua plausibilità. Infatti il protocollo olandese sull'eutanasia contempla anche la sofferenza psichica. (Cineclandestino) 

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)


È spesso difficile inquadrare le opere prime prodotte nel nostro mercato, vuoi per una scarsità di mezzi economici che spesso le rende vittime delle loro ambizioni, vuoi per una difficile collocazione in un mercato invaso da cinepanettoni e commedie scollacciate per un pubblico della domenica. Se a questo aggiungiamo la dozzinalità della distribuzione nostrana, si comprendono appieno le difficoltà da chi, aspirante regista, si lancia nella carriera dietro la macchina da presa con un carico di passione che va a cozzare con la realtà delle cose. Un input che possa risvegliare i giovani talenti emergenti del Belpaese è senza dubbio arrivato grazie alle nuove tecnologie, e non è difficile al giorno d'oggi realizzare pellicole interessanti con un budget abbordabile. È questo il caso dell'esordiente Massimiliano Amato: ha girato il film con una videocamera ad alta definizione che gli ha permesso di sviluppare anche delle sequenze impegnative dal punto di vista logistico e sperimentare sulla materia Cinema. Lo stesso Amato è anche sceneggiatore e produttore, in una sorta di progetto personale che, più di una ricerca autoriale, pare un'espressione vibrante e genuina motivata dal desiderio di voler raccontare un evento difficile e ricco di significati, ispirato da un incontro avuto nella vita reale.

Marco Serrano (Luca Guastini) soffre di problemi mentali che lo portano alla paranoia. È convinto di sentire voci che lo inducono al suicidio e di esser vittima di un complotto da parte del mondo intero. Neanche il centro dove si reca ogni giorno e che ospita gente reduce da dipendenze riesce a curare la sua psicosi. L'unico appiglio alla realtà sembra essere il fratello Davide (Nicola Garofalo), la cui vita però è messa inesorabilmente a soqquadro dalle sue continue richieste e stranezze. Marco decide così di optare per una scelta estrema: dopo aver letto su un giornale che in Olanda vi sono dei centri dove si pratica l'eutanasia assistita per problemi psichiatrici, decide di partire e abbandonare tutto.

Dolce e malinconico ritratto di una crisi, sia questa mentale nella testa della sfortunato protagonista, che familiare nel rapporto contrastato col fratello, ancorato ad una vita normale ma tenace e strenuo protettore di un'unità mai così solida. Exit - Una sfida personale non è un film semplice, è un'opera che va inquadrata nelle sue diverse sfaccettature che si incrociano e si diluiscono in un incipit narrativo apparentemente semplice ma in realtà ricco di spunti di riflessione. Il merito di Amato è - a differenza di suoi tanti colleghi - di non risultare sfacciatamente presuntuoso e di credersi un nuovo maestro rimasto sino ad ora nell'ombra: al contrario - e questo senza sminuirne le qualità - riesce a convincere proprio perché si limita all'essenziale. La raffinatezza della messa in scena, che gioca nel sottile bilico tra il cinema verità e guizzi più autoriali, riesce a rendere le due città protagoniste della vicenda, Roma e Amsterdam, compagne pulsanti dei personaggi: la prima fa da sfondo alle assolate giornate di confusione e solitudine di Marco, la seconda, luogo quasi magico, risulta Anfitrione involontario ma benevolente di un abbraccio, di un ritorno sospirato e forse chiarificatore per il futuro. L'acqua infine, nella sua incarnazione più poetica, rappresenta una sorta di catarsi interiore, ripulita dai demoni verso un domani difficile ma da affrontare con la certezza di non essere soli. Per nulla accessoria, ma anzi preponderante nel suo co-protagonismo, la presenza di Marcella Braga nei panni di Nina, la ragazza di Davide: la sua figura, agente estraneo di questo profondo legame familiare, serve a collegare i sentimenti e le passioni a un mondo reale fatto di carne, pensieri e amore. 


Correndo verso la fine

Per commisurare il valore di certi film, specialmente quelli che riflettono un doloroso passato magari realmente vissuto, è forse necessario adottare altri criteri di giudizio che non siano quelli "classici" usati ad esempio per scrivere di un qualunque blockbuster hollywoodiano. Se poi l'opera in questione è anche italiana, la faccenda va esaminata con ancora maggiore cura. In Exit - Una storia personale (opera che già dal sottotitolo lascia trasparire la propria ragion d'essere), esordio alla regia di Massimiliano Amato, c'è tanto, forse troppo e nemmeno ben amalgamato. Però è un film che nasce da un'urgenza, quella di raccontare un dramma umano sia per renderne noti gli esatti contorni che forse per metabolizzarlo definitivamente. Due aspetti che si  percepiscono con chiarezza in ogni singola sequenza, quasi sempre animata da un ritmo convulso - accentuato dalle continue e nervose riprese a mano in digitale - come se l'opera stessa non potesse fare a meno di identificarsi in toto con la vicenda ed i personaggi che mette in scena, soprattutto con quello principale del giovane disturbato in disperata ricerca di un modo attraverso il quale porre fine alle proprie sofferenze.
Exit - selezionato in competizione al Festival del Cinema Italiano di Annecy, in svolgimento proprio in questi giorni nella località francese - è in fondo una storia di libertà assoluta che è possibile leggere a più livelli. Ci sono quelli strettamente diegetici del desiderio di morire da parte di chi sente di non aver difese nei confronti delle terribili asperità della vita (Marco Serrano, il giovane protagonista) ma anche di colui che, comprensibilmente, vorrebbe a tutti i costi trattenere il proprio consanguineo accanto a sé, in nome dell'affetto e forse di quel pizzico di egoismo che ci porta sempre e comunque tutti a temere il rischio della solitudine affettiva (il fratello di Marco, Davide). E c'è poi quello, esclusivamente simbolico, del fare cinema per seguire un percorso di ricerca personale, allo scopo di superare paure e dolori che probabilmente si ha il coraggio di affrontare solo davanti - o dietro - una macchina da presa. Il caso di Exit sembra esattamente questo, ovvero il trascinarsi dietro dalla vita vissuta un fardello assai pesante che non può essere solo frutto di un'idea di sceneggiatura, sia pur meditata. Di conseguenza, pregi e difetti del film finiscono con l'avere la medesima origine, mescolandosi in un flusso magmatico nel quale non solo può diventare difficile distinguere gli uni dagli altri, ma anche un apparente difetto può non rivelarsi tale e viceversa. 
Balza subito agli occhi, ad esempio, la frenesia registica - uso ripetuto della macchina a mano, montaggi alternati forse con superfluo significato narrativo - attraverso i quali Amato cerca di drammatizzare la storia che racconta allo scopo nobile di condividerla empaticamente con il pubblico; uno stile sussultorio che mira evidentemente a riflettere, come si accennava poc'anzi, la psiche dilaniata del personaggio principale, fino a fare entrare chi guarda dentro di essa, a percepire quasi fisicamente il grido di dolore emesso da una persona sofferente. Un procedimento comunque coraggioso anche se tendenzialmente debordante rispetto ad una nuda trama invece piuttosto semplice e lineare, che forse avrebbe preteso un tono più distaccato, pacato e intimista. Tuttavia Exit è pur sempre un'opera prima, volutamente lavorata su materiali narrativi grezzi in cui appunto si confondono finzione e trascorsi esistenziali; cosa che rende il film quantomeno interessante anche nel caso non riesca a concludere con un pieno successo - secondo l'interpretazione soggettiva dello spettatore - l'intento di partenza di rendere universali le vicende umane che ne costituiscono il cuore pulsante. 
Ma proprio per questa ragione non si può certo negare che Exit abbia una sua febbrile e vitale autenticità, un coraggio di esporsi troppo spesso assente in un cinema italiano costretto a mirare verso il basso non tanto per incapacità creativa quanto per insicurezza congenita, dovuta a ragioni - anche di vile “mercato” - che sarebbe eccessivamente lungo spiegare in questa sede.
Che piaccia o meno, al di là delle recitazioni disomogenee nel cast o della ovvietà di alcune soluzioni formali, Exit - Una storia personale è comunque un'esperienza di cinema e di vita. Aspetto che dovrebbe essergli sufficiente per meritare una visione, purtroppo tutt'altro che garantita, nelle sale.
Daniele De Angelis

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