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sábado, 7 de diciembre de 2013

Miele - Valeria Golino (2013)


TITULO ORIGINAL Miele
AÑO 2013
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 96 min.
DIRECCION Valeria Golino
GUION Valeria Golino, Francesca Marciano, Valia Santella (Novel: Angela Del Fabbro)
FOTOGRAFIA Gergely Pohárnok
MONTAJE Giogiò Franchini
REPARTO Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero De Rienzo, Iaia Forte, Vinicio Marchioni, Roberto De Francesco, Barbara Ronchi
PREMIOS 
2013: Festival de Cannes: Sección oficial (Un Certain Regard)
2013: Premios del Cine Europeo: Nominada al Premio Discovery
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Buena Onda / Les Films des Tournelles
GENERO Drama

SINOPSIS Irene tiene 32 años, es una mujer como tantas otras, vive sola y tiene sus historias ocasionales. Hace tres años que decidió dedicar su vida a personas en busca de ayuda, asistiendo y aliviando el sufrimiento incluso cuando llevan a decisiones extremas; por eso su nombre en clave es "Miel". Pero un día ha de hacer cuentas con Grimaldi y su mal invisible... (FILMAFFINITY)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)

Valeria Golino racconta Miele, il film che segna il suo esordio nella regia

Esordio nella regia di Valeria Golino, che ha meritoriamente scelto di non recitarvi (e di non offrire ruoli al compagno Riccardo Scamarcio, che produce), Miele è uno di quei film che, appena terminata la proiezione, gli addetti ai lavori amano descrivere con quella formula oramai un po’ stereotipata e, dopo Boris, un po’ risibile del “non sembra italiano”.
Liberamente tratto da un tratto da un romanzo di Mauro Covacich, “A nome tuo”, pubblicato da Einaudi, Miele tratta infatti, come precisa la stessa regista “non di eutanasia ma di suicidio assistito, che sono due cose molto diverse: qui si parla di decisioni conscie del malato che da un certo punto in poi deve fare tutto da solo.”
Protagonista è infatti una ragazza, interpretata da una Jasmine Trica sofferta e dai capelli corti, che si occupa di assistere coloro che scelgono di togliersi la vita perché affetti da malattie terminali o drammaticamente invalidanti.
“Ho letto il romanzo tre anni fa, quando era uscito con un altro titolo e sotto pseudonimo,” racconta Valeria Golino, “mi era sembrato fulminante, contemporaneo, doloroso e provocatorio, con un personaggio femminile inedito nel panorama letterario e ancor di più cinematografico italiano. Ne abbiamo parlato con i miei partner produttivi e ne abbiamo acquisito i diritti.
Inizialmente avevamo un po’ paura e c’era incertezza, soprattutto da parte mia, sul fatto di affidarlo a me come regista,” prosegue con sincera modestia, “dato che è un film difficile per un esordio: non perché l’argomento fosse troppo ostico, ma semmai perché la mia inesperienza mi avrebbe penalizzato nel raccontare la storia come avremmo voluto.”
Dopo aver specificato che sulla storia del romanzo lei e le sue cosceneggiatrici, Valia Santella e Francesca Marciano, sono intervenute moltissimo, filtrandola e reintepretandola secondo un filtro e un’etica tutti personali, la Golino spiega poi perché né lei né Scamarcio appaiono nel film come interpreti: “Io volevo che il personaggio della protagonista fosse più giovane di me, e non abbiamo mai realmente pensato che potessi essere io ad interpretarlo. E poi ero più curiosa di filmare qualcun’altro che non me, volevo come primo istinto pensare agli altri. Anche per quanto riguarda Riccardo, abbiamo valutato che non fossero personaggi giusti per lui quelli poi affidati a Libero De Rienzo e Vinicio Marchioni.”
Pur trattando un tema spinoso e controverso, eticamente e, soprattutto nel nostro paese, politicamente, Miele è un film che rifugge ogni militanza. “Quel che mi sembrava più interessante,  mentre scrivevamo, era semplicemente raccontare questa storia,” spiega la Golino. “Questo, prima che una qualche urgenza etica o politica, è stata la spinta primaria per girare il film. Poi certo, trattiamo di temi che sono dei tabù, ma più per le istituzioni e per la politica che per la gente comune. Questo  un film che si pone delle domande: non ho voluto prendere posizioni definitive, ho voluto lasciare molto aperto, pur pensando fermamente che ogni essere umano abbia il diritto di decidere del proprio corpo, della propria vita e di come terminarla. Certo, ci sono mille implicazioni in questo, che cambiano da storia a storia, da caso a caso: e con il film ho voluto addentrarmi in queste implicazioni e in questi dubbi.”
La neoregista, poi, si è autoimposta dei limiti precisi per quanto riguarda il mostrabile di situazioni tanto delicate, nel contesto di un film che però non si risparmia molto: “In questo film la morte non si vede mai, davvero. Si vede un rituale, perché volevo che si sentisse il peso e la tensione di un momento grave e sacro, ma non volevo vedere le morti.”
Ricevuti molti complimenti per le doti dimostrare dietro la macchina da presa, Valeria Golino spiega di non avere ancora un metodo registico preciso, di procedere ancora in maniera caotica e disordinata. Ma di aver sempre saputo quel che voleva dal film anche dal punto di vista estetico: “Volevo che il film fosse libero e formale al tempo stesso, volevo serietà senza fronzoli nell’inquadratura ma con la libertà di far accadere piccoli incidenti di luce o altro. Alcune delle cose più belle del film dal punto di vista visivo le ho dovute lasciare fuori, perchè mi pareva che il materiale non reggesse troppe estetizzazioni. Il tema del film impedisce l’inutile, e quindi tutte le volte che mi sono spinta troppo in là sono poi dovuta tornare indietro.”
Tornare, Valeria Golino tornerà anche a Cannes, dove Miele sarà presentato nella sezione Un certain regard. E, a chi gli chiede come si senta per questo, la regista non si trincera dietro false modestie inutilmente blasé e risponde con un sorriso a trentadue denti: “Ne sono molto, molto contenta. Davvero.”
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Se non altro, a Valeria Golino va riconosciuto il merito e il coraggio di non essersi scelta un tema e una storia facili, per l’esordio nella regia.
Miele, infatti, tratta di suicidi assistiti di malati terminali, visti dal punto di vista una giovane che, appunto, assiste e che per compensare tanto dolore si aggrappa con rabbia a scampoli di vita incerti e precari, e tocca corde e temi che, in un paese come il nostro più ancora che in altri, sono ad alto rischio di polemiche e strumentalizzazioni.
Ma la neoregista, che qui sceneggia anche e rinuncia con intelligenza al voler apparire sullo schermo, mostra una determinazione e una misura che la mettono al riparo dalle critiche più ideologiche.
Golino si aggrappa ad una protagonista tormentata e sofferente, interpretata con altalenante intensità da Jasmine Trinca, fornendo a Miele uno sguardo e un punto di vista squisitamente ma mai militantemente femminili, ragionando sui temi della vita e della morte ponendo questioni che riguardano soprattutto la degna continuazione della prima, prima ancora che una libera e dignitoso scelta della seconda.
Vi si aggrappa con tenacia, forse troppo, troppo preoccupata di fornire un ritratto intimo e fragile da supportare con lutti mai superati e amori spezzati, sublimati nell’attività dolorosa di chi si mette al servizio della fine di una sofferenza non più sopportabile, perdendo così a tratti di vista una dialettica che travalichi quella interiore della protagonista.
Allora non è un caso che Miele trovi i suoi momenti migliori e più intensi con l’irrompere sulla scena del personaggio di Carlo Cecchi, ingegnere avanti con gli anni che vuole anche lui farla finita, ma per un male oscuro della mente e non del corpo. Nichilista e deluso dalla volgarità del mondo, il personaggio di Cecchi fa saltare le certezze, le routine e i nervi della protagonista, che si rifiuta di aiutare uno che, secondo i suoi standard, non è malato e con il quale costruirà il rapporto che con suo padre, evidentemente è sempre mancato.
Salta, quindi, la routine della Trinca (anche stimolata attorialmente dal confronto col collega), meno quella della Golino, che racconta un andirivieni di personaggi e situazioni senza mai scartare dal binario su cui si è piazzata fin dall’inizio, senza mai sorprendere, sacrificando il dinamismo narrativo adagiandosi sul tema e sulla forma.
Una forma che, per essere frutto di una mano inesperta, è di tutto rilievo, mai banale, ricercata fino a rasentare e in qualche punto abbracciare l’eccesso consapevole e compiaciuto di formalismo pur nel contesto di una fotografia plumbea e dolente sia nella scelta dei colori che in quella delle inquadrature.
Valeria Golino, quindi, avrebbe potuto essere più netta e radicale, rinunciare ad alcuni abbellimenti retorici anche nella narrazione, avrebbe potuto rischiare un po’ di più strutturando alcuni conflitti in maniera meno semplicistica e prendendo delle posizioni più nette e meno autoassolutorie.
Ma, nel complesso, il suo Miele rimane comunque un esordio interessante e soprattutto promettente, se la neoregista sceglierà alla sua seconda prova di dismettere del tutto alcuni vezzi tutti nostrani e di trovare la forza di perseguire senza distrazioni quella ruvidità amara che emerge nei momenti migliori del film.
Federico Gironi


L'esordio alla regia di Valeria Golino si ispira al libro "A Nome Tuo" di Mauro Covacich (inizialmente "Vi Perdono" di Angela Del Fabbro)

Prima di tutto, una nota: il libro che Valeria Golino lesse tre anni fa e che la ispirò per esordire alla regia era "Vi Perdono" di Angela Del Fabbro. Su quel volume (lo stesso letto da chi scrive questo articolo...) il nome dell'autrice era segnalato come "pseudonimo", scelto da una "persona che intende rimanere nell'ombra". Molti allora pensarono che quel nome fittizio nascondesse la vera identità di Miele, la protagonista del romanzo, il cui lavoro illegale (aiutare e accompagnare malati terminali verso una "dolce morte", una eutanasia volontaria e misericordiosa) la costringeva a restare sconosciuta.
Da allora a oggi molte cose sono cambiate: si è scoperto che il vero autore del libro (di finzione) era un uomo, Mauro Covacich, e la casa editrice Einaudi lo ha ripubblicato col suo nome e un nuovo "formato": "A Nome Tuo" è una raccolta di storie e racconti di cui Miele è una delle protagoniste, "creatura" ufficiale di un autore (uomo). 
Valeria Golino ammette subito di aver voluto mediare quella visione con la sua, arricchendo il racconto di sguardi femminili (il suo, quello delle co-sceneggiatrici Francesca Marciano e Valia Santella, della co-produttrice Viola Prestieri). La differenza fondamentale tra libro e film - come spiega lei stessa nel video qui sotto - è nel rapporto tra Miele e Grimaldi, da come nasce a come si conclude. 
Detto questo, resta pressoché identico quello tra lei e i suoi pazienti, le storie e le metodologie del suo lavoro, il rispetto per la morte e la fatica per Miele di proseguire giorno dopo giorno nella sua missione. Sono modificati pochissimo i rapporti con i suoi uomini (anche se "scompare" il nonno) e con le amicizie, e sono di minima importanza le differenze nei dettagli (Torino diventa Padova, e altre quisquilie). 
Per il resto, le motivazioni e le differenze, nessuno meglio della stessa regista-sceneggiatrice può spiegarle meglio: il video integra questo ragionamento nel modo migliore.

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