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jueves, 25 de noviembre de 2021

T'amerò sempre - Mario Camerini (1943)

 

TÍTULO ORIGINAL
T'amerò sempre
AÑO
1943
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
68 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Mario Camerini
GUIÓN
Sergio Amidei, Mario Camerini, Giulio Morelli
MÚSICA
Enzio Carabella
FOTOGRAFÍA
Arturo Gallea (B&W)
REPARTO
Alida Valli, Gino Cervi, Antonio Centa, Jules Berry, Amelia Bissi, Ernesto Calindri, Renato Cialente, Loris Gizzi, Tina Lattanzi, Guido Morisi, Adriana Serra
PRODUCTORA
Società Italiana Cines
GÉNERO
Drama. Romance | Remake

Sinopsis
Adriana tiene una niña de un joven aristócrata que no se responsabiliza de ella. Para sacarla adelante, consigue un trabajo en un salón de belleza. El tímido contable del establecimiento se enamora de ella, pero Adriana no se atreve a revelarle su condición de madre soltera.
 
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Una storia d’amore e T’amerò sempre: in difesa della maternità (1940-43)
...

Un anno dopo Mario Camerini dirige l’intenso Una storia d’amore (settembre 1942; 94 min.) su sceneggiatura propria, di Mario Pannunzio e di altri, pellicola che, per molti aspetti, si lega alle tematiche sopra esposte. Gianni, operaio specializzato (Piero Lulli) incontra fortuitamente Anna, una donna equivoca (Assia Noris) e se ne innamora. La giovane, stanca di un’esistenza di tribolazioni, cede al “fascino” della normalità, va a vivere con il fidanzato, resta incinta e lo sposa. Nel frattempo il passato illegale della giovane (un anno di carcere, prostituzione d’alto bordo) riemerge e causa una rissa tra Gianni e il figlio del direttore della fabbrica dove è impiegato. L’uomo, stoicamente disposto a tutto perdonare, perde il posto e cerca di tirare avanti con lavoretti di fortuna. La donna, nel tentativo di aiutarlo, accetta l’aiuto di un ex amante che, dapprima, con una telefonata fa riassumere l’uomo, poi pretende favori sessuali in cambio del proprio interessamento. Anna disperata si ritrova una pistola tra le mani e lo uccide. Condannata a dieci anni di carcere, alcuni mesi dopo la giovane entra in ospedale per partorire: sfinita muore dando alla luce una bambina; il marito, colto dalla più cupa disperazione, trova la forza di superare il trauma osservando la neonata che in qualche modo è destinata a prendere il posto della moglie.
Come le precedenti, la pellicola cameriniana costituisce un elemento di felice diversità nel panorama cinematografico coevo. Innanzitutto l’ambientazione operaia, svolta con verosimile realismo quanto ad ambienti e psicologie, è un fatto abbastanza inusuale; essa mostra un universo modesto e austero, fatto di piccole camere ammobiliate, pranzi fugaci in latteria e interni di fabbrica ritratti con piglio documentaristico. Altrettanto insolito è il taglio complessivamente amaro e desolato della vicenda, illuminato solo dalle ultime immagini del padre che osserva la neonata.
Del tutto allineato alla mentalità prevalente è invece la simpatia nei confronti di questi lavoratori semplici e generosi (al protagonista si affianca un ottimo Campanini nel ruolo di amico e collega di lavoro) cui si contrappone il consueto ritratto di una borghesia debosciata e “decadente”, immorale e ricattatoria. Questo quadro composto per nette antitesi (gli umili e i potenti) fornisce materia per un costante crescendo emotivo: il riemergere del passato provoca una serie ininterrotta di disgrazie alla giovane coppia che va a infrangersi nel fatale colpo di pistola che azzera ogni sforzo e ogni illusione di riscatto (si noti che la medesima situazione, una donna ricattata che uccide per disperazione, verrà riproposta ne La vita ricomincia di Mattoli, 1945, e Albergo Luna camera 34 di Bragaglia, 1946; vedi). La giovane viene incarcerata e l’ultima parte del film, ambientata entro gli ambienti luminosi di un reparto ospedaliero di Maternità, fornisce (pur con qualche eccesso lacrimoso) una sorta di spirituale catarsi: in questo tempio della vita la giovane protagonista arriva sfinita e consapevole che morirà durante il parto; felice tuttavia di avere qualcosa da “donare” all’amato per ricambiarlo della fiducia che aveva riposto in lei, superando faticosamente i più ovvi pregiudizi sociali. Ai distaccati piani medi dell’immagine con cui era stata condotta la precedente narrazione si sostituiscono ora intensi primi piani di Gianni e Anna, consapevoli della tragedia incombente. Eppure in quell’ambiente sereno e composto anche il peggio appare superabile: il dono della vita è dunque il momento alto che tutto consola e redime, rendendo accettabile l’eterno ciclo delle nascite e delle morti. Le serene note della sezione centrale cantabile della pianistica Fantasia-Improvviso op 66 di Chopin, arrangiate per orchestra, rafforzano (in molte pagine del film) questo atteggiamento spirituale.
Le stesse considerazioni valgono per il successivo T’amerò sempre (novembre 1943; 93 min.) con il quale Camerini ripropone l’omonimo film da lui diretto un decennio prima. La pellicola del 1933, su un soggetto dello stesso cineasta coadiuvato per la sceneggiatura da Ivo Perilli e altri, costituiva uno degli esiti massimi dell’autore. Dunque appare motivata l’idea di rigirare il film (medesimi sono i dialoghi, le inquadrature e il senso complessivo dell’opera) con un cast nuovo che può ora avvalersi di Alida Valli e Gino Cervi, entrambi perfettamente calati nei propri ruoli. La nuova versione attribuisce in modo complessivamente inesatto la sceneggiatura (oltre che a Camerini) a Sergio Amidei: trattandosi, come si è detto, di un remake fedelissimo nei dettagli, andavano innanzitutto riconfermati gli sceneggiatori del 1933; il lavoro di Amidei consiste semmai nell’aggiunta di un intreccio secondario (quello dell’avvocato, rappresentante degli interessi di una banca, deciso a ottenere le grazie di Alida Valli in ogni modo) che serve ad allungare il lavoro (dai 70 min originari ai 93 min del 1943) senza in nulla modificare la struttura narrativa principale.
La vicenda riprende i temi di Una storia d’amore (come pure della Fuggitiva e di E’ caduta una donna) nel suo contrapporre la decisa semplicità di Adriana (Alida Valli) la quale, sedotta, messa incinta e abbandonata da Diego (Antonio Centa), un fatuo giovanotto dell’alta borghesia, decide di mettere al mondo la propria bambina e di crescerla contro tutto e contro tutti. Camerini eleva un vero e proprio inno alle qualità della donna-madre, creatrice e custode della vita e, contemporaneamente, sviluppa un quadro astioso come pochi altri dell’universo altoborghese della capitale. La protagonista lavora in un istituto di bellezza per signore gestito dal perfido Oscar (Jules Berry) il quale risulta il luogo deputato di un disonesto e vacuo edonismo tra uomini a caccia di avventure coniugali e signore completamente assorbite da ogni tipo di cura estetica mentre il padrone dell’istituto, non casualmente, parla uno snobistico italofrancese. Insomma le abituali critiche all’alta borghesia lassista e improduttiva (peraltro già presenti, sebbene leggermente più sfumate, nel film del 1933) interpretano in modo fedele le abituali direttive del populismo fascista mentre l’accentuazione del tono antifrancese è in linea con l’ossessiva propaganda intorno a una Francia decadente (e anzi ormai sconfitta dal nazismo). Accanto a questa umanità scostante e “inutile” si muovono i due protagonisti rappresentanti di quella piccola borghesia umile e fattiva che costituisce la forza primaria del fascismo. Adriana non cede alle lusinghe erotiche dei frequentatori della maison di Oscar che la vogliono ridurre a serva-amante, continua a dedicarsi con stoica fermezza alla propria bambina e trova infine comprensione nella figura del contabile Mario Faustini (Gino Cervi) il quale la corteggia, scopre poi che ha già una figlia, assorbe il duro colpo e infine decide di sposarla comunque, non prima di avere preso a pugni l’ultimo corteggiatore della donna (tra l’altro il padre della bimba che nel frattempo ha ritrovato per caso Adriana da Oscar) e ad avere lasciato in malo modo (insieme ad Adriana) quell’ambiente. Una nuova esistenza si prepara per la coppia che ha deciso di rompere ogni legame con un ambiente tanto malsano.
Sergio Amidei (futuro sceneggiatore di Roma città aperta) e Camerini firmano pertanto un film che, nel proprio disprezzo per la mentalità dell’ “internazionalista” borghesia urbana, sviluppa con coerenza le linee della politica culturale del regime (alcuni aspetti “popolari” di tale cinema confluiranno senza modifiche nel cinema “neorealista”; lo dimostra tra l’altro la capacità di numerose figure esemplari del cinema fascista di riciclarsi senza difficoltà nel cinema “socialisteggiante” dell’immediato dopoguerra). Non a caso la pellicola è prodotta dalla statale Cines. In particolare il lavoro degli autori sulla figura femminile tende a esasperare le due tipologie prevalenti della donna-seduttrice (le colleghe di Adriana) e donna-madre, elogiando quest’ultima anche al di là delle consuetudini morali (Adriana aveva sbagliato ma poi, sacrificandosi per il benessere della figlia, si era ampiamente “redenta”) e deprecando la vuotezza esistenziale cui andava inevitabilmente incontro la scelta edonistica della prima. Il pragmatismo del regime supera, in questo frangente, la visione morale cattolica, e loda senza condizioni sia il comportamento di Adriana, sia quello del contabile che riesce ad annientare il forte pregiudizio nei confronti di una giovane che ha gravemente sbagliato e si presenta al matrimonio tutt’altro che illibata.
Camerini conferma la propria sensibilità di attento narratore e gioca con abilità tra i contrasti più netti che animano personaggi e contesti: umili e semplici gli uni (la casa di Adriana, l’ambiente familiare del contabile), sontuosi e artefatti gli altri (l’intero istituto di bellezza, luogo principe di ogni corruzione morale; l’ambiente familiare del seduttore di Adriana). Le stesse mimiche sono curate nel dettaglio: sempre dirette e senza infingimenti quelle dei due dolenti protagonisti; sempre sovraccariche e ricche di doppi sensi quelle che prevalgono nella maison di Oscar, vere e proprie sfuggenti “maschere” pirandelliane governate dalla ricerca del piacere istintivo (Oscar infatti esordisce mostrando a tutti una nuova maschera di sua creazione). D’altronde lo stesso titolo, frase ipocrita pronunciata dal seduttore nell’incipit del film, allude all’uso menzognero e opportunista che i potenti sanno fare del linguaggio al fine di possedere ciò che loro non spetta.
Una storia d’amore e T’amerò sempre sono opere che veicolano i valori della Tradizione e che sembrano provenire da incomprensibili “galassie lontane” rispetto al nuovo millennio segnato dalla “modernità” più esasperata, dall’edonismo individualistico e dalla ossessione del corpo, delle merci e dei consumi.

http://www.giusepperausa.it/e__caduta_una_donna_e_la_fuggi.html

 

Una ragazza, abbandonata dal proprio fidanzato dopo essere stata sedotta, riesce a trovare un impiego presso un importante Istituto di Bellezza. Essa può così provvedere decorosamente al sostentamento per sé e per la propria figlia. Ma l'uomo che un giorno l'ha abbandonata ritorna improvvisamente. I due si incontrano ed hanno una spiegazione ma la ragazza, disgustata dalle proposte del giovane, non vuol saperne di riallacciare l'antica relazione. E allora il giovane ragioniere dell'Istituto, segretamente innamorato della fanciulla, venuto a conoscenza delle angustie che la torturano, la libera dalle molestie dell'ex fidanzato. La donna troverà conforto nel sincero e profondo affetto del giovane ragioniere.

CURIOSITÀ SU T'AMERÒ SEMPRE
- E' IL REMAKE DEL FILM DALLO STESSO TITOLO DIRETTO SEMPRE DA CAMERINI NEL 1933.- GIULIO MORELLI E GIORGIO PASTINA HANNO COLLABORATO, NON ACCREDITATI, ALLA SCENEGGIATURA.

https://www.comingsoon.it/film/t-amero-sempre/25126/scheda/

T'amerò sempre es una película italiana de 1943 dirigida por Mario Camerini. Es la nueva versión de una película del mismo título dirigida diez años antes por el mismo Camerini, en la que Alida Valli sustituye a Elsa De Giorgi en el papel principal, mientras que Gino Cervi, Antonio Centa interpretan los papeles en la película anterior fueron de Nino Besozzi y Mino Doro. La película también cuenta con Loris Gizzi en el papel de Meregalli, a quien también interpretó en la película original.

La trama es la misma que la película anterior, con muy pocos cambios: al tener un hijo del Conde Diego y luego abandonado por él, Adriana Rosé encuentra un trabajo como empleada en una perfumería, logrando así llevar una vida digna con su hija. Mario Fabbrini, el Contador de la tienda, se enamora de ella, quien lo rechaza avergonzado de su condición. Un día Diego regresa a Adriana, le dice que se va a casar y le propone volver a ser su amante. Mario, escuchando casualmente la conversación entre los dos, arremete a Diego arrojándolo al suelo; inmediatamente después de que él y Adriana son despedidos y en el camino de regreso Adriana acepta la propuesta de matrimonio de Mario.

La película se rodó en las instalaciones de Cinecittà.

La película fue estrenada en los cines italianos desde el 5 de noviembre de 1943.

https://kripkit.com/siempre-te-amar-pelcula-de-1943/

In piena guerra, Mario Camerini, già tra i principi della messinscena fascista e gran sacerdote dei telefoni bianchi, ricicla un suo melo drammone di dieci anni prima e lo adatta semplicemente ad altri interpreti, dilatandone un po’ la durata.

È un veicolo per Alida Valli, l’attrice più magnetica del nostro cinema, ventitreenne ma già bravissima, alle prese con un ruolo femminile da archetipo (la ragazza madre romantica e sventurata): il codardo e nobile fidanzato la lascia per interposta persona (nella fattispecie una Tina Lattanzi da urlo) e si rifà vivo dopo cinque anni, mentre Alida cerca di sbancare il lunario nel negozio del signor Oscar, in cui lavora il timido ragioniere Gino Cervi che vorrebbe fidanzarsi con lei.

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Stereotipi e luoghi comuni a iosa, ma il coinvolgimento c’è soprattutto grazie ad una messinscena che sa dove colpire al cuore dello spettatore più malinconico (pubblico di riferimento del film). D’altronde il titolo è abbastanza eloquente, e in fondo, nei suoi limiti, sta al cinema italiano come certi classici con Bette Davis (penso a Schiava d’amore o Tramonto) stanno al cinema americano.

Imperano l’atmosfera mesta e il birignao d’altri tempi e dio sia lodato quando, nel finale, Gino Cervi fa valere i suoi diritti di innamorato sul meschino Antonio Centa. Alla sceneggiatura mise mano anche  

Sergio Amidei.



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