ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




jueves, 26 de agosto de 2021

Le evase_Storie di sesso e di violenze - Giovanni Brusadori (1978)

TÍTULO ORIGINAL
Le evase - Storie di sesso e di violenze
AÑO
1978
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
95 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Giovanni Brusadori
GUIÓN
Giovanni Brusadori, George Eastman, Bruno Fontana
MÚSICA
Giuseppe Caruso
FOTOGRAFÍA
Sebastiano Celeste
REPARTO
Lilli Carati, Ines Pellegrini, Marina Daunia, Zora Kerova, Dirce Funari, Filippo De Gara, Ada Pometti, Artemia Terenziani, Franco Ferrer, Angela Doria
PRODUCTORA
Cinema 13 Cooperativa
GÉNERO
Acción. Drama

Sinopsis
Cuatro fugitivas secuestran un pequeño autobús en el que viajan unas chicas y gracias a esos rehenes pasan los controles policíales y se refugian en una torre aislada, encerrando a sus prisioneros en una bodega. Durante la forzada permanencia y mientras esperan ayuda del exterior, se crea entre las cuatro mujeres y los rehenes una atmósfera densa de tensiones, dramas y celos. Los instintos sexuales, reprimidos durante mucho tiempo, explotan sin ninguna contención. (FILMAFFINITY)
 
1 
2 
3 
Sub 

Quattro donne evadono dal carcere e prendono in ostaggio un bus di tenniste, sarà un lento massacro.
Il 1978 fu un anno difficile per l’Italia, soprattutto dal punto di vista politico e sociale. Il rapimento di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, e la sua successiva uccisione da parte della Brigate Rosse, scosse tutto il paese, causando un terremoto politico che cambiò la storia d’Italia. Nel frattempo, il regista Giovanni Brusatori girava “Le Evase – Storie di sesso e di violenze”, film con qualche analogia, con le dovute differenze, con l’affaire Moro/Br.
La storia narra infatti di un sequestro ai danni di una squadra di tennis femminile (rappresentante la tanto odiata borghesia) e di un giudice (aguzzino e pedina del “sistema”) da parte di una componente di un gruppo di estrema sinistra (una Lilli Carati in un ruolo diverso dal solito) e dalle sue compagne di cella. Il risultato è un film che riesce ad intrattenere e soddisfare i cultori del cinema di genere, anche se non privo di difetti.
Il film parte subito a razzo, vediamo 4 donne (le evase per l’appunto)scappare e raggiungere l’auto di un loro complice (fratello della capobanda) che le aspetta in macchina. Sfortunatamente (per loro) nello stesso istante, degli agenti in borghese li bloccano per arrestarli. Scoppia un conflitto a fuoco e le donne riescono a far fuori gli agenti, il loro complice  invece rimane ferito, così le 4 donne, rendendosi conto di essere seguite dalla polizia, decidono di fuggire per le strade di campagna limitrofe trascinandosi dietro il ferito. Per una tragica fatalità si imbattono in un pullman ospitante una squadra di tennis femminile, con annessi presidente ed allenatore, che (involontariamente) le farà uscire di strada  in un avvallamento. L’autista del pullman, preoccupato per quanto accaduto, ferma il mezzo, tutte le ragazze scendono dal pullman ed aiutano in buona fede le 4 donne ed il complice, sincerandosi delle loro condizioni di salute. Salite in pullman per le evase sembra andare tutto bene, quando la radio dà notizia della fuga di 4 donne da un penitenziario locale, tra le quali una famosa terrorista di estrema sinistra : Monica Habler. Da quel momento in poi le evase, trovandosi costrette a rivelare la loro identità, prendono possesso del mezzo e sequestrano il pullman e le ragazze. Terry (Ines Pellegrini), una delle tenniste sequestrate, rivela a Monica che lì vicino c’è una villa in cui una sua amica vive con il marito magistrato (Filippo de Gara). Arrivate sul posto, Monica e le altre, prenderanno possesso della villa e, tra violenze fisiche e psicologiche, tentativi di fuga e momenti di tensione, passeranno la nottata più lunga della loro vita…
Se volessimo catalogare questo film, definendolo con una sola parola, non c’è dubbio che quella parola sarebbe “WIP”ossia “Women in prison – Donne in prigione”. Questo filone cinematografico non nasce in Italia, già negli anni 30 questi film venivano prodotti in Francia in America ed altre nazioni. Solamente dagli anni 50 inpoi cominciamo a vedere pellicole in cui la storia si svolge interamente (o quasi) in un carcere femminile, per citare qualche titolo : “Prima colpa”con Eleanor Parker ed Agnes Moorehead e “ La rivolta delle recluse” con Ida Lupino e Cleo Moore. La storia tipica di un “WIP” movie vede una donna (solitamente avvenente) rinchiusa in un carcere ingiustamente (o fattasi rinchiudere volontariamente per svolgere delle indagini all’interno del carcere) che subisce le angherie (più o meno violente) sia dai suoi carcerieri (secondini/e, direttori/trici) che dalle sue compagne di cella (sempre in cerca di rapporti saffici). Dobbiamo però fare un distinguo tra i “WIP” movies – pre  e – post 70: se infatti nei primi citati le storie vertevano sempre sull’amicizia tra le recluse e sulla riabilitazione nella società attraverso la detenzione (mostrata come strumento positivo), rendendole cittadine migliori di prima; nei secondi invece non c’è né insegnamento morale né crescita interiore del personaggio, esiste solo il gusto per la “sexploitation” , una sorta di voyerismo per la violenza fine a se stessa e per le scene un po’ (tanto) morbose a base di sesso. Va comunque detto che alcune pellicole avevano velleità di  denuncia sociale (poche). Manco a dirlo, il filone ebbe il suo successo più grande proprio negli anni 70, con pellicole simbolo come “Ilsa, la belva delle SS” (nazisploitation altro sotto genere dei WIP movies), 99 Donne di Jess Franco, “Femmine in gabbia” di Jonathan Demme ecc.
Certo, “Le Evase” non si svolge in una prigione, ma tutti gli altri elementi del film, il sequestro, le sevizie, le violenze sessuali sono sicuramente attribuibili al filone “WIP” sopracitato.
Giovanni Brusadori confeziona un film godibilissimo dove il ritmo è sempre alto e non ci si annoia mai, intelligentemente il regista non punta su scene di sesso di 10 minuti l’una, rischiando di annoiare lo spettatore, ma pone le scene dove è presente il sesso al servizio della storia, e non viceversa. Il cast è ben nutrito e ben amalgamato, i nomi più importanti sono ovviamente quelli di Lilli Carati (La compagna di banco” di Mariano Laurenti, “Avere vent’anni” di Fernando di Leo,“Il corpo della ragassa” di Pasquale Festa Campanile), Zora Kerowa (“Antropophagus” di Joe D’amato “La ragazza del vagone letto di Ferdinando Baldi “Lo squartatore di New York “ di Lucio Fulci) ed Ines Pellegrini (“Il fiore delle mille e una notte”  e “Salò o le 120 giornate di Sodoma”di Pier Paolo Pasolini, “Gatti rossi in un labirinto di vetro” di Umberto Lenzi). Le tre ragazze si comportano bene nei ruoli rispettivamente di carnefice e vittime, anche se a dir la verità, molto più convincente nel ruolo di carnefice è Marina Daunia (o D’Aunia come usava farsi accreditare nei film), che nel film interpreta Diana, una lesbica sadica che troverà in Claudine (Dirce Funari) la sua vittima preferita. Il ruolo del magistrato è recitato molto bene da Filippo de Gara, che riesce ad interpretare in maniera impeccabile la figura del vecchio bavoso, diviso in due tra credo politico e lussuria verso la protagonista, una sorta di attrazione fatale.  La colonna sonora diretta dal maestro Pino Caruso è molto bella, e la sua canzone di apertura e chiusura del film “On my way to liberty”, cantata da Charlie Cannon , è di pregiata fattura e adatta al riascolto. Non tutto nel film è perfetto, c’è qualche piccola imperfezione qua e là, una su tutti: ho contato personalmente le possibilità di fuga delle tenniste durante tutto l’arco del film, e sono almeno una decina! Il fatto che un’intera squadra di tennis rinchiusa in una stanza  non possa contrastare una singola donna che va a controllarle (anche se armata) non sta né in cielo né in terra.
In conclusione consiglio il recupero del film, in quanto molto più dignitoso di altri “WIP” movies nostrani e non.

Curiosità
Lilli Carati ricorda oggi di aver interpretato con piacere un ruolo anticonvenzionale per lei (una terrorista dal carattere molto duro).
L’attrice Artemia Terenziani, che recita nel personaggio di Betty, era un’attrice amatoriale, ed è stata reclutata attraverso dei provini sul posto, il regista voleva evitare che ci fossero troppe belle ragazze nel cast.
Per il ruolo di Lilli Carati, originariamente si era pensato a Gloria Guida, che in quegli anni aveva un forte peso nella distribuzione. Non se ne fece più nulla perché subentrò la Caratied il regista volle evitare di mettere due personaggi di questo calibro nello stesso film per evitare competizione tra le due.

Frasi e Dialoghi da ricordare
Legenda: G = Giudice M.H = Monica Habler
–      G: La vostra è un’assurda rivoluzione, il regno della paura e del terrore, siete solo giacobini nell’esercizio della violenza, fate sfoggio di una ferocia disumana!
–      M.H: La nostra lotta non è una lotta assurda, abbiamo il compito di organizzare ovunque il potere proletario.
–      G: Una vera società socialista non si impone con l’assassinio, la strage.
–      M.H: Tu hai sempre fatto parte della cricca che serve il potere imperialista, che ne sai tu di quelle che sono le aspirazioni dei proletari!?
–      G: Io ho servito soltanto la giustizia, quella stessa identica giustizia di cui neanche voi potete fare a meno. E se un giorno vincerete, magari la chiamerete proletaria.
–      M.H: SARà proletaria.
–      G: Ma non potrà avere che lo stesso fine: punire chi delinque! È questa, la sua vera funzione.

Emanuele Woody Greco
https://cinemaitalianodatabase.com/2014/02/17/le-evase-storie-di-sesso-e-di-violenze-1978/


Sabato notte, in pratica la mattina di domenica 28 luglio 2019, IRIS ha ripescato dai polverosi archivi Mediaset un film davvero controverso: un potente spaccato dell’Italia sul finire degli anni Settanta, infiammata dalla violenza criminale ammantata di vari colori politici… e il tutto edulcorato dallo stile “commedia sexy all’italiana”, con una Lilli Carati intensa nel ruolo di brigatista che nelle locandine sembra una divetta dell’erotismo.
In fondo, quale modo migliore di neutralizzare una storia che mette a disagio se non spacciandola per “bomba erotica”?

Sto parlando de Le Evase, scritto e diretto da Giovanni Brusadori (che però come regista si nasconde dietro lo pseudonimo Conrad Brueghel) con il sottotitolo Storie di sesso e di violenze per ingannare meglio il pubblico.
Stanno al “gioco” anche gli americani, che millantano il film come appartenente al genere WIP (Women In Prison) e lo ribattezzano con un farlocco Escape From Women’s Prison.

Il film si apre con la fuga di quattro detenute dal penitenziario di Costagmagna, che non so se sia un nome vero o inventato per il film.
Tutto ciò che sappiamo di loro ci viene raccontato da un presentatore che parla attraverso una radio: non tutto è chiaro, non tutto è distinguibile, ma ecco l’identikit:

la 25enne trentina Monica Haber (la giovane riccioluta Lilli Carati), iscritta alla facoltà di sociologia ed entrata nella clandestinità dal 1975, «secondo gli inquirenti è una delle responsabili della colonna nord-orientale del gruppo terroristico»;
la 35enne parmense Betty Ossola (Artemia Terenziani);
la tostissima Diana Brauni (Marina Daunia), un bocciolo di rosa condannata per omicidio, spaccio di stupefacenti ed istigazione alla prostituzione;
la 35enne Erica Bernacci (Ada Pometti).
Sono criminali di diverso stampo («una bombarola, una ladra, una puttana e una pazza drogata» verranno definite in seguito) ma la differenza politica si avverte subito: la “terrorista” Monica ha un “compagno” che l’aspetta e vuole mollare le altre, tanto da attirarsi il disprezzo dell’assassina.

Durante la fuga hanno la sfortuna di incontrare una pattuglia della polizia ma il più sfortunato è il poliziotto che finisce ucciso: non è stato un incidente, è stato un atto deliberato che brucia per la freddezza con cui è eseguito. Non sono quattro ragazze vittime della società, sono quattro spietate combattenti che non si fermano davanti a nulla pur di raggiungere l’obiettivo che si sono prefissate.

Lo scontro a fuoco con la polizia lascia ferito Pierre, il fratello di Monica, e disperate la quattro donne con uomo esangue chiedono aiuto al primo mezzo che passa: un pulmino che sta portando una squadra femminile di tennis al Torneo giovanile regionale.
Un modo come un altro per passare inosservate, e per accudire Pierre ormai in fin di vita.

«I compagni della tua organizzazione sono tutti come lui? Perché se sono tutti come lui è meglio che lasciate perdere: dimenticatevela la rivoluzione!»

Il film dà molte cose per scontate, in fondo si sta rivolgendo ad una platea che conosce questi avvenimenti perché ogni giorno i telegiornali li raccontano, in un’Italia infuocata dalla criminalità di stampo politico che potete anche chiamare “ideologica”, “rivoluzionaria” o come vi pare, ma sempre cadaveri lascia sul terreno.

Quindi non viene mai fatto alcun nome né viene mai specificato a quale “organizzazione” appartenga Monica, anche se il chiamarsi “compagni” ed aspirare alla rivoluzione non lascia certo dubbi. Non so se all’epoca ci fossero altre organizzazioni criminali di sinistra oltre alle Brigate Rosse, ma il concetto non sembra cambiare molto: forse il non citarla è proprio un modo per non rimanere nel particolare e riferirsi a tutte quelle ideologie che spingono a sparare alla gente.

Non a caso quando il 26 luglio 1978 la commissione di censura italiana analizza il film, non fa alcuna menzione del discorso politico, e si limita a chiedere il taglio di un paio di scene sessuali, prima di rilasciare il film l’11 agosto successivo con un divieto ai minori di 18 anni.
Va comunque specificato che 19 metri di pellicola tagliata è davvero una cifra importante: temo che, sebbene non specificate nel rapporto finale, molte scene abbiano subìto una corposa sforbiciata.

Ci pensa la distribuzione italiana ad “annullare” ogni vaga eco politica, distribuendo il film dal 25 novembre 1978 come fosse una delle tante pellicole erotiche che riempivano le sale.

Per non parlare di quando la VideoGroup porta il film in VHS nel 1989, presentandolo quasi come un film porno. Almeno il DVD CineKult (Cecchi Gori 2012) è più onesto con la sua frase di lancio: «Quattro donne disposte a tutto e senza più niente da perdere».
IMDb ci dice che il film in versione cinematografica dura 95 minuti, mentre la VHS riporta la durata di 90 minuti, che è la stessa del DVD: IRIS ha trasmesso 95 minuti puliti di film, quindi è un’edizione non tagliata? Ne dubito, visto che i tagli si vedono eccome.

Scoperte come criminali, la situazione si fa incandescente e rischia di scapparci un altro cadavere, quando la tennista Terry (Ines Pellegrini) propone alle fuggiasche di rifugiarsi in una villa lì vicino («sulla Statale 18»), di proprietà di un giudice che lei conosce. Non c’è nessuno, è isolata e potranno aspettare lì che si calmino le acque.
Insediatesi nella villa del giudice, il proprietario (Filippo Degara) non esita certo a mostrare il suo disprezzo: non per l’atto criminale in sé, ma per gli appartenenti a quella corrente che lo rendeva possibile:

«Vi proponete come interlocutori dello Stato, e in realtà siete solo responsabili di attentati, di atti terroristici, sequestri a scopo di lucro, ferimenti, e di una catena d’omicidi: da magistrati a dirigenti industriali, da uomini politici a giornalisti. Il vostro è un calendario vergognosamente macchiato di sangue, e il conto sale. La vostra è un’assurda rivoluzione, un regno della paura e del terrore.»

Non è una bella Italia, quello in cui è nato questo film, semmai ne è esista una bella.

Quindi è un film di scottante denuncia? No, quello sociale è solo un bruciante contorno, una carta da parati davanti alla quale far svolgere la vera vicenda del film. Perché appena le criminali portano le loro vittime nella villa isolata, le proletarie iniziano a torturare le borghesi, come accadeva in Milano odia (1974) di Umberto Lenzi e come accadrà ne La casa sperduta nel parco (1980) di Ruggero Deodato… No, neanche questo.
A spiegarci cosa accadrà, ci pensa la “mangiona” Betty:

«Questo posto sta diventando uno schifoso casino.»

E non intendeva “confusione”, ma proprio “bordello”!

Ogni messaggio sociale, ogni critica alla situazione dell’Italia contemporanea deve farsi indietro davanti alla patacca, gloria nazionale e prodotto tipico da esportazione. Con scuse più o meno plausibili e trovate a volte discutibili, si apre il teatrino della commedia sexy all’italiana.
Lilli Carati smette di avere un qualsiasi peso nella vicenda – da organizzatrice degli atti criminali che era – e si mette a fare spogliarelli immotivati, la rude Diana concupisce una giovanissima tennista mentre Erica deve rifarsi di tutte le copule perse in carcere, assalendo ripetutamente l’autista Marco (Franco Ferrer).
Tutto immaginato attraverso ciò che rimane dei citati 19 metri di pellicola tagliata dalla censura. Cioè un filmino da cinema parrocchiale.

Il giudice non smette di simboleggiare la società costituita e di criticare i rivoluzionari, ma questa foga politica lo spinge a spupazzarsi la brigatista, in una scena il cui stile mi sento di riassumere in questa frase: «Bombarola, facci vedere la bomba!»

Va be’, a questo punto, dopo la bernarda che vuoi far vedere? Qual è l’altro prodotto tipico italiano? Ovvio: la marchetta. E vai con gli spot!

Nel finale Brusadori cerca disperatamente di racimolare quegli spiccioli di serietà che ha perso sul letto ancora caldo di strusciate finto-lesbiche e cerca di buttarla sul tragico e sul morale, con una sbrigativa fine che va applaudita con le mani aperte in faccia al regista.
Trovo più logico pensare che il finale raffazzonato sia frutto della scadenza dell’affitto della villa per girare. Brusadori si guarda in giro e dice: «Bòn, la barbisa l’abbiamo fatta vedere, gli spot li abbiamo piazzati: io andrei…» E fine del film.

Lilli Carati che si spoglia lentamente e immotivatamente è la scena più sensuale di un film che promette “storie di sesso”; il giudice che viene costretto ad urinarsi nei pantaloni è la scena più violenta di un film che promette “storie di violenze”. Il resto o è stato tagliato dalla censura, o non è mai esistito.
Cosa c’entrassero tutte quelle menate sulla rivoluzione, lo sa solo lo sceneggiatore.

Lucius Etruscus
https://ilzinefilo.wordpress.com/2019/07/29/le-evase-1978/


“Le Evase – Storie Di Sesso E Di Violenze” è l’unica pellicola diretta da Giovanni Brusadori, qui per l’occasione accreditato con lo pseudonimo Conrad Brueghel. Il film solitamente viene accostato al filone women in prison (il titolo internazionale “Escape From Women’s Prison” è addirittura fuorviante), ma la prigione la vediamo soltanto durante le prime battute dell’opera, quando quattro spietate detenute riescono a evadere dal carcere grazie all’aiuto del fratello della terrorista Monica (il quale rimane gravemente ferito durante la fuga). Il meccanismo però resta invariato anche al di fuori del penitenziario, poiché le nostre protagoniste finiscono rinchiuse dentro un’altra gabbia dove succede proprio di tutto: si tratta della casa di un magistrato.
Brusadori si avvale di un cast quasi del tutto al femminile: conosciamo subito Monica (Lilli Carati), Diana (Marina Daunia), Erica (Ada Pometti) e Betty (la sconosciuta Artemia Terenziani), un poker molto variegato disposto a qualunque cosa pur di salvare la pelle, pure a prendere in ostaggio alcune giocatrici di tennis presenti all’interno di un pullman (tra le quali troviamo Zora Kerova, Ines Pellegrini e Dirce Funari), un mezzo poi dirottato proprio nell’abitazione di cui sopra, dove presto la tensione sale alle stelle. Il fratello di Monica ha urgente bisogno di cure e anche se la polizia tarda a identificare il luogo dei misfatti, il nervosismo che serpeggia in quella villa provoca una catena di uccisioni e di perverse degenerazioni.
“Le Evase” parte bene per poi perdere qualche colpo durante i passaggi cruciali, quando il plot può dare libero sfogo alla violenza (per giunta abbastanza contenuta) e al sesso (saffico ed etero), forse l’unico elemento che il regista non trascura affatto (in fin dei conti c’è lo zampino di George Eastman in fase di sceneggiatura). La pellicola mostra tante sfaccettature ognuna delle quali piuttosto abbozzata, come ad esempio quel substrato politico dove il terrorismo viene messo in antitesi con l’alta borghesia (il tennis come sport per ricchi o la stessa figura del magistrato, in realtà un individuo viscido e corrotto). In una scena piuttosto umiliante, l’uomo è costretto a pisciarsi nei pantaloni di fronte alle sue aguzzine, quasi una citazione rovesciata di “Cani Arrabbiati” (1974) dove in quel caso era una povera ragazza a dover espletare i propri bisogni davanti ai criminali di turno (guarda caso uno di questi era proprio George Eastman!).
Tra le varie attrici, la figura cazzuta e mascolina di Marina Daunia risulta più intrigante rispetto alle altre, compresa quella di una (compianta) Lilli Carati non sempre convincente, tranne quando la vediamo proferire qualche simpatica frase ad effetto (“la prossima volta la mano infilala nel culo di quella troia di tua moglie”). Che “Le Evase” sia un film politicamente scorretto dopotutto è un dato di fatto, peccato quindi che Giovanni Brusadori non sia riuscito a trasformare questo soggetto interessante in un lavoro imprescindibile del cinema sexploitation all’italiana: qui c’è troppa carne al fuoco gestita con una certa approssimazione, però il divertimento è assicurato.

Paolo Chemnitz
https://cinemaestremo.wordpress.com/2019/04/09/le-evase-storie-di-sesso-e-di-violenze/


 

 

No hay comentarios:

Publicar un comentario