TÍTULO ORIGINAL
Nero veneziano
AÑO
1978
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
88 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Ugo Liberatore
GUIÓN
Ugo Liberatore, Ottavio Alessi, Roberto Gandus, Mimmo Rafele
MÚSICA
Pino Donaggio
FOTOGRAFÍA
Alfio Contini
REPARTO
Renato Cestié, Rena Niehaus, Yorgo Voyagis, Fabio Gamma, José Quaglio, Justine Gall, Angela Covello, Lorraine De Selle, Florence Barnes, Olga Karlatos, Bettine Milne, Tom Felleghy, Linda Larsen, Jacqueline Kluger, Francesca Bosco, Tiziana Cipelletti, Gloria Bozzola, Renzo Martini
GÉNERO
Terror | Discapacidad. Discapacidad visual
Venezia. Mark (Renato Cestiè), un ragazzo cieco di quattordici anni, allucina un uomo con un bastone ed un mantello nero, in compagnia di un cane e di una donna. La sorella Christine (Rena Nehaus) cerca di rassicurarlo e di convincerlo che le sue terrificanti visioni sono solo il frutto della sua mente malata. Ma le figure che Mark allucina sono in realtà le diverse facce del demonio che, sotto le mentite spoglie di Dan (Fabio Gamma) mette poi incinta sua sorella Christine. Mark, dopo aver ucciso il nipotino neonato Alex, riacquista magicamente la vista, immergendo una mano nell’acqua di un pozzo.
Liberatore dissipa un tema affascinante (un cieco affetto da allucinazioni) che meritava però ben altra fortuna. Il film dovrebbe incutere terrore e paura, ma le ambientazioni prevalentemente diurne e il viso angelico dei due attori protagonisti finiscono per diluire troppo la tensione. La trama è contorta e confusa e le continue allucinazioni che assalgono il protagonista sono stilisticamente poco convincenti. Qualche morto di troppo, qualche effettaccio di scena (serpenti, finestre che sbattono, fiamme che divampano all’improvviso) e la guarigione magica di Mark abbassano ulteriormente il livello del film.
Ignazio Senatore
https://www.cinemaepsicoanalisi.com/it/nero-veneziano-di-ugo-liberatore-1978/
Renato Cestié era un attore che, da bambino, sapeva reggere da solo le storie dei suoi film e NERO VENEZIANO non fa che confermare la sua bravura: il film di Ugo Liberatore è brutto e se qualcosa si salva è solo per la sua ennesima, ottima prova. Un bambino cieco, a Venezia, ha dei flash in cui vede un uomo inquietante con un bastone che porta con sé un cane nero ma quando prova a raccontare quello che gli succede nessuno gli crede, eppure la sorella viene messa incinta da un uomo uguale a quello delle visioni. Guai a mettersi in mezzo però, perché l’austero signore è il Demonio e si sa, non è mai una bella idea intromettersi in certe faccende…
In più di un punto NERO VENEZIANO annoia, Liberatore prova a creare un po’ di suspense senza riuscirci mai sfruttando male l’alto potenziale che c’era, in più sono un po’ troppe le scene involontariamente comiche (e nemmeno poco) che peggiorano la situazione, così l’arrosto è servito: una finestra che si spalanca improvvisamente e si schianta in faccia al povero ragazzino, un neonato lanciato a tutta forza in muro di chiodi sono due sequenze che vorrebbero risultare arcane e inquietanti, ma che, come detto, provocano soltanto una sonora risata.
A parte il protagonista quindi, poco o nulla da salvare, però vanno comunque segnalate Ely Galleani, Lorraine De Selle e Olga Karlatos, dopodiché rimane l’umida ambientazione di Venezia e qualche (rara) inquadratura suggestiva. Se avete voglia di brividi in gondola, rivolgetevi altrove, perché NERO VENEZIANO non fa paura a nessuno…
http://clubunderground.altervista.org/nero-veneziano-ugo-liberatore/
Nero veneziano, un titolo che ha subito stuzzicato il mio interesse. Senza voler sminuire perle d’originalità quali per esempio Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile di Roberto Bianchi Montero o il classico Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave di Sergio Martino, il titolo del film di Liberatore, si distacca per la sua cupa semplicità.
Quest’intrigante tonalità di nero, sempre che il nero sia provvisto di tonalità, ci spinge ad immergerci in un’atmosfera così particolare che solo Venezia sa darci. Il nero veneziano non esiste in quanto colore, è una sensazione, un qualcosa che mette in moto tutti i nostri sensi. Venezia e la sua laguna nebbiosa, Venezia e i suoi misteri, e i suoi fantasmi, questo è il terreno fertile nel quale Liberatore scava, con una piccola pala d’argento, senza fretta ma con un cieco accanimento.
Il lirismo decadente e malinconico che l’immortale Visconti ci ha regalato in Morte a Venezia si ritrova qui forse impoverito di quell’eleganza che solo Luchino ci poteva dare ma sicuramente arricchito da un’aurea funerea unica nel suo genere. Tale magia non poteva che essere l’opera di un maestro della luce quale Alfio Contini, artefice di capolavori come Zabriskie Point o Il portiere di notte. Il signor Contini, per riprendere una frase emblematica del film, presagio funesto pronunciato da Padre Stefani, confidente dei fratelli Mark e Christine, sa gettare su Venezia un velo mortuario che la rende unica, che mette in risalto quella sua bellezza estatica capace di ammaliare anche il più fervente dei credenti: “Il male è il negativo del bene come una foto non ancora sviluppata, così come il nero è invidia di colori e invidia di luce“. La Serenissima è un mondo a sé, separata dalla terra ferma da una sottile striscia d’acqua, un sottile ma implacabile lembo di mistero, quello stesso mistero che separa il bene dal male, il nero dal suo contrario, le tenebre dalla luce.
Dopo la tragica morte della nonna, e seguendo il consiglio di Padre Stefani, il loro mentore spirituale, gli orfani Christine e Mark si trasferiscono dagli zii materni, i Winters, che possiedono una pensione, ormai in disuso, alla Giudecca di Venezia. Sebbene i fratelli risentano un’ostilità non ben precisata nei confronti di questi zii incartapecoriti e austeri, le motivazioni di Padre Stefani sono sufficienti a convincerli. Se Christine si lascia sedurre dall’idea di poter riprendere la gestione della pensione, Mark non può che porre tutte sue speranze nell’esistenza di quel pozzo miracoloso, nascosto nella casa degli zii, e elogiato da Padre Stefani, che potrebbe ridargli la vista. I due, come stregati dalle loro stesse aspettative, confezionate da un religioso, la funzione del quale ci è per ora misteriosa (seduttore satanico o protettore minacciato da forze malefiche?), entrano quindi nella pensione degli zii che, come un fantasma fatto di polvere e ragnatele, cercherà di risucchiargli ogni forma d’umanità.
Sebbene Mark sia cieco, è soggetto a visioni spaventose abitate da un fantomatico e crudele individuo descritto da lui come il Maligno. Proprio come anticipato dai presagi del ragazzo, moriranno tragicamente i suoi zii, i Winters, una sua amichetta e Giorgio, scultore, amico, fidanzato e poi sposo della sorella. Nessuno sembra credere a Mark, sempre più spaventato e ossessionato dall’idea che il losco individuo sia il Diavolo pronto ad impossessarsi del corpo della sorella affinché questa concepisca l’anticristo. Il climax della paranoia del quattordicenne è raggiunto con l’arrivo alla pensione, infine ereditata da Christine, di un individuo rassomigliante in tutto all’uomo delle sue visioni. La situazione si degrada progressivamente, prendendo una piega decadentista e surreale: Christine rimane in cinta pur essendo ancora vergine e la pensione si popola a poco a poco di figure femminili ambigue, prostitute-ninfe protette dalla strana coppia formata da Christine e il fantomatico viandante. Quest’ultimo, stanco delle accuse formulate da Mark, decide infine di lasciare la pensione che continua ciò nonostante ad essere terreno fertile per le allucinazioni del ragazzo. Alex, il bambino di Christine, viene alla luce, un biondo pargolo rubicondo, l’apparenza angelica del quale non può ingannare un cieco che vede con un’occhio ben più lucido, quello del suo subconscio …
La trama di Nero veneziano non spicca forse per la sua originalità, ma di sicuro l’adattamento brilla per la sua cupa genialità. Nel film di Liberatore non è questione di trucide scene sanguinarie o di visioni raccapriccianti, tutto rimane avvolto in quel velo mortuario lagunare che inquieta molto di più di tante esplicite rappresentazioni. Le visioni di Mark sono quasi oniriche, come statue gotiche, i suoi personaggi si muovono guardinghi, lanciandoci sguardi di sfida, maligni e sicuri. In quest’atmosfera vellutata e perversa una delle scene di omicidio finali spicca per la sua insita crudeltà che lascia senza parole, anche perché a compierla è il pacato Mark.
Il film di Liberatore, nella sua trama apparentemente classica, disturba. I suoi personaggi, ambiguamente manichei ci lasciano inquieti, ci invogliano a credergli e allo stesso tempo ci spingono a diffidare. In fondo, quale prova concreta abbiamo della veridicità delle visioni di Mark? E se, sotto quell’aria innocente e candida, si celasse invece il Maligno stesso da lui tanto temuto? E se questo suo terrore fosse dato proprio dalla sua vicinanza al male? La scena finale, sul traghetto, dove Christine, affiancata dal fratello, tiene fra le braccia Alex, riassume quest’ambiguità insita in tutto il film. Mark sembra sereno, oppure è solo rassegnato? Tutto sembra così calmo. La laguna, incarnata da Rena Niehaus, è così bella e misteriosamente spettrale. Castié, rubicondo e adolescenziale, ci spinge a credere a tutto, perché noi vogliamo credere che la bellezza sia pura, che il candore sia la verità, proprio come ce l’hanno insegnato.
http://www.throughtheblackhole.com/nero-veneziano-ugo-liberatore/
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