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jueves, 19 de agosto de 2021

Questa è la vita - Aldo Fabrizi, Giorgio Pastina, Mario Soldati, Luigi Zampa (1954)

TÍTULO ORIGINAL
Questa è la vita
AÑO
1954
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
103 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Aldo Fabrizi, Giorgio Pastina, Mario Soldati, Luigi Zampa
GUIÓN
Giorgio Bassani, Aldo Fabrizi, Giorgio Pastina, Mario Soldati, Luigi Zampa. Relatos: Luigi Pirandello
MÚSICA
Carlo Innocenzi, Armando Trovajoli
FOTOGRAFÍA
Giuseppe La Torre (B&W)
REPARTO
Totò, Aldo Fabrizi, Lucía Bosé, Walter Chiari, Myriam Bru, Turi Pandolfini, Natale Cirino
PRODUCTORA
Fortunia Film, Titanus
GÉNERO
Comedia | Película de episodios

Sinopsis
Basada en cuatro relatos de Luigi Pirandello; "La tinaja", "El abanico", "El certificado" y "Un frac estrecho". (FILMAFFINITY)
 
2 

Il film a episodi è ispirato a quattro novelle di Pirandello , l'episodio interpretato da Totò è della durata di circa 15 minuti. Pare che anche in questo film la censura abbia messo lo zampino: nella scena finale in cui Totò ottenuta dal tribunale la patente di jettatore alza il pugno in direzione del paese e grida: " Ed ora a noi due ! " , ma su questa inquadratura una voce fuori campo commenta: "Ma la lotta col paese non ci sarà perchè anche per Rosario Chiarchiaro la vita tornerà a sorridere , con e senza patente ".
Scriveva Tullio Cicciarelli: "[..] La patente è la biografia di uno jettatore [..]. L'episodio ondeggia fra il grottesco e la consueta perizia facciale del comico napoletano [..]"
E Mario Gromo: "[..] La patente trasforma in commediola , e talvolta in farsa , una stridente situazione drammatica[..] e Totò è qua e là efficace [..]".

Secondo film, dopo "L'uomo, la bestia e la virtù", sempre del 1953, tratto da un episodio pirandelliano e primo film a episodi con registi diversi, era stato annunciato con il titolo "La patente" che poi uscì con il titolo "Questa è la vita", mentre il titolo "La patente" rimase solo per l'episodio interpretato da Totò, per la regia di Luigi Zampa.

La presenza di Vitaliano Brancati come unico sceneggiatore conferisce al film la sua giusta misura pirandelliana e garantisce il pieno rispetto del testo letterario, anche se la regia di Zampa indulge all' estrema caratterizzazione del personaggio di Rosario Chiarchiaro, presentato volutamente quasi come un manichino da esposizione, ossia proprio quello che il personaggio vuole essere nell'esercizio della sua professione di iettatore, per il quale chiede un legittimo riconoscimento, appunto la patente. I capelli lucidi di brillantina e incollati alla testa, sono separati da una riga molto pronunciata in mezzo, che separa il viso in due parti nettamente distinte, dando rilievo al più impercettibile movimento facciale.

Così truccato, il personaggio diventa un vero e proprio clown bianco, depositario di una infinita malinconia, come un visibile accumulo e una sedimentazione secolare di miseria, di stenti e di fame, accompagnati tuttavia da una dignità irrinunciabile e da una volontà di rivalsa che proprio per questo, anzichè una rassegnazione visibile, rivela una  un sentimento senza perdono nei confronti del mondo.

L'interpretazione di Totò, strettamente legata alle intenzioni di Zampa e al testo pirandelliano, nel quale maschera e volto si intercambiano e si intrecciano spiegando il fenomeno dell' esistenza come finzione e della finzione come esistenza, si muove su un registro fisso, nel quale i movimenti sono lenti, la mimica ridotta a zero, le parole pronunciate come sentenze. Qualche esagerazione, come l' arrivo del telegramma funesto, il lampadario che cade, l'esplosione dei fuochi d'artificio e la machina che sbanda, costituiscono il limite del film, che avrebbe espresso molto meglio le facoltà del personaggio senza mostrarle visivamente.

Unico film nel quale la "maschera" di Totò viene usata per evidenziare un personaggio che non solo non ride mai, ma che è associato, sia pure in modo grottesco, ad una dimensione di morte. "La patente" fu scritta da Pirandello appositamente per Angelo Musco.

Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione

http://www.antoniodecurtis.org/vita.htm

Diretto dai registi Aldo Fabrizi, Giorgio Pàstina, Mario Soldati e Luigi Zampa, “Questa è la vita” mette in scena sul grande schermo quattro famose novelle dello scrittore siciliano Luigi Pirandello: La Giara, Il Ventaglino, La Patente e Marsina stretta. Nel primo episodio, La Giara, Don Lolò Zirafa (Natale Cirino) grosso proprietario terriero, è ossessionato dalla paura che la propria giara possa rompersi per l’arrivo di un imminente temporale e l’affida a un suo dipendente il quale finisce col romperla. Una volta placata l’ira, Don Lolò chiama il mastro Zi’ Dima (Turi Pandolfini) il quale ripara sì il contenitore, ma finisce col restarci intrappolato all’interno, rifiutandosi di pagare i soldi che l’inevitabile rottura della giara per liberarlo comporterebbe. A questo punto Don Lolò, esasperato dalla situazione calcia via il grosso vaso che, sbattuto contro un albero, si rompe restituendo la libertà all’incauto Zi’Dima. Il secondo episodio, Il Ventaglino, diretto da Mario Soldati, vede protagonista la giovane ragazza madre Tuta (Myriam Bru) che, seduta su una panchina dei giardini pubblici, non sa come nutrire il proprio figlioletto. Mossa a compassione, una donna benestante le regala un pezzo di pane che viene però preso dal figlio della facoltosa donna, il quale lo getta in una fontana. A questo punto la ricca signora dona dei soldi a Tuta la quale, invece di comprare del cibo, acquista un ventaglino da un venditore ambulante per poi allontanarsi, sperando nella provvidenza circa il cibo per il proprio figlio. Il terzo episodio, La Patente, diretto da Luigi Zampa, vede come protagonista Rosario Chiarchiaro (Totò) che “bollato” come iettatore dai suoi compaesani decide, dopo aver messo da parte la voglia di vendicarsi, di chiedere la patente di iettatore per poter esercitare tale “mestiere”. Incredibilmente la sua proposta viene accettata e a Chiarchiaro non resta che dettare alla figlia, in lacrime per quanto sta avvenendo, il listino prezzi per ottenere i propri servigi. La novella che chiude il film, Marsina stretta, diretta da Aldo Fabrizi, narra la vicenda del corpulento professor Fabio Gori (Aldo Fabrizi) il quale, invitato al matrimonio di una sua ex allieva, decide di farsi prestare una marsina che tuttavia gli va stretta. Giunto a casa della sposa Angela Reis (Lucia Bosè), viene a sapere che la madre di lei è morta per l’emozione; a questo punto Gori, “stimolato” anche dall’indossare una marsina troppo stretta, convince la giovane donna a sposarsi lo stesso, e a fronteggiare i parenti dello sposo, che vorrebbero cogliere l’occasione per rimandare le nozze, riuscendo a far sposare la sua ex allieva col proprio fidanzato Andrea Migri (Walter Chiari).

Nel complesso il film scorre piacevole; se nel primo episodio un ruolo di spicco e un plauso lo merita un attore – spesso ritenuto “secondario” – del calibro di Turi Pandolfini, è comunque evidente che a risaltare maggiormente sono i due episodi che vedono come protagonisti due “mostri sacri” del cinema italiano come Totò e Aldo Fabrizi. L’attore napoletano, infatti, conferisce indubbio spessore alla trasposizione della novella in questione, mentre l’attore e regista romano, caratterizza il proprio personaggio con una profonda dose di umanità “paternalistica” potremmo dire, che pervade l’intero episodio che lo vede protagonista.

Giovanni Fenu
http://cinemaitalia.altervista.org/recensione-del-film-questa-la-vita-1954/

 

...

Nel caso di Questa è la vita (febbraio 1954; min.), i quattro autori scelgono di prendere spunto da testi della cultura “alta” ossia da racconti di Pirandello. Gli esiti sono alterni.
Pàstina mette in immagini La giara, racconto del 1906 imperniato sull’avidità senza limiti di Don Lolò, possidente che vive nell’adorazione della sua nuova giara. Quando si rompe, accetta di farla riparare a Zì Dima (Turi Pandolfini) il quale, malauguratamente, rimane imprigionato nel grande vaso. A quel punto inizia un aspro duello tra il padrone che non vuole rompere la giara e l’artigiano immobilizzato ma estremamente combattivo. Dopo una notte di canti e balli intorno alla giara “contestata”, Don Lolò, come impazzito dal furore, la prnede a calci e la rompe. Zì Dima è nuovamente libero.
La celebre novella verrà filmata, con risultati più interessanti, dai Taviani in Kaos (1984), un film anch’esso imperniato su quattro testi pirandelliani.
Come si nota il tema del racconto è la “roba”di verghiana memoria; lo stesso può dirsi dei successivi tre episodi.
Ne Il ventaglino, racconto breve del 1903, girato da Mario Soldati, una donna (Myriam Bru), sola, senza casa, senza soldi e con un bambino a carico, dopo essersi scandalizzata delle proposte equivoche della propria ex padrona di casa che voleva avviarla alla prostituzione, cambia idea, compra un ventaglio e inizia a guardare con interesse un gruppo di soldati.
Ne La patente, racconto del 1911, la celebre figura dello iettatore Chiarchiaro, interpretato da un sulfureo Totò, diviene un vero menagramo, dotato di poteri illimitati. L’uomo decide di utilizzare la propria patente di iettatore per porre sotto ricatto l’intero paese e medita di farsi pagare per stare al largo da questa o quella persona o da un preciso esercizio commerciale...
Il finale, del tutto incongruente (un sermone moralistico, affidato alla voce fuori campo) è stato imposto dalla censura, spaventata dal tono crudo del racconto; in realtà l’episodio terminava con Chiarchiaro che dichiarava guerra all’intero paese e si accingeva ad affrontarlo.
In Marsina stretta, racconto del 1901, un eccezionale Aldo Fabrizi (per l’occasione anche regista) è un professore anziano e mite che lotta con uno strettissimo abito da cerimonia preso in prestito. Giunto nella casa della sposa scopre che la madre di questa è morta improvvisamente e che i cinici parenti dello sposo (Walter Chiari), con grande sollievo, hanno già disdetto le nozze. Si tratta infatti di una famiglia assai ricca mentre la giovane (Lucia Bosé) è molto povera. Il professore, già irritato dallo scomodissimo vestito, diviene una furia e riesce a portare gli sposi in chiesa, tra l’irritazione generale della famiglia facoltosa.
Il tema della ricchezza è il filo conduttore dei quattro racconti: gli individui lottano per il benessere con ogni arma. I quattro autori dipingono con evidente antipatia i personaggi benestanti vengono dipinti e parteggiano per gli umili, anche nel caso del terribile Chiarchiaro la cui storia pirandelliana, del tutto differente, viene inserita a forza in questa tematica della “lotta di classe”. Mentre i primi tre episodi sono compitini noiosetti, il quarto, per merito di uno straordinario Fabrizi, diviene un’avventura ricca di svolte inattese e di gesti squillanti.
In tutti gli episodi un personaggio in difficoltà si ribella alle convenzioni e cerca una via personale alla felicità, non fermandosi neppure di fronte ai dettami della morale. Perfino prostituzione e ricatto sembrano vie possibili - anche se estreme -  per raggiungere un benessere che il sistema sembra volere negare agli umili. Così la pellicola, pur rievocando Pirandello, sembra porsi in una precisa continuità con le tematiche del recente e ormai tramontato”neorealismo”.

Il successo è modesto.

...
http://www.giusepperausa.it/l_oro_di_napoli.html 


 

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