TÍTULO ORIGINAL
Madonna che silenzio c'è stasera
AÑO
1982
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Italiano (Separados)
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Maurizio Ponzi
GUIÓN
Francesco Nuti, Elvio Porta
FOTOGRAFÍA
Carlo Cerchio
REPARTO
Francesco Nuti, Edy Angelillo, Massimo Sarchielli, Giovanna Sammarco, Mario Cesarino
PRODUCTORA
Hera International Film
GÉNERO
Comedia
Madonna che silenzio c’è stasera (1982) è il primo film che vede Francesco Nuti protagonista assoluto, dopo lo scioglimento de I Giancattivi che aveva prodotto il divertente Ad ovest di Paperino (1981). Nuti, diretto da Maurizio Ponzi – come in Io, Chiara e lo Scuro (1983) Son contento (1983) – viene tenuto nei ranghi di una comicità surreale e originale, senza avere campo libero per pericolose improvvisazioni d’attore. Maurizio Ponzi (Roma, 1939) è un ex critico cinematografico che frequenta la bottega di Pasolini come assistente, lavora per la televisione, ma raggiunge il successo con la trilogia di Francesco Nuti, conferendo un taglio d’autore a un cinema comico cabarettistico. Non può dirsi regista impegnato ma resta un professionista serio e capace che ha conosciuto anni di importante cinema civile. Soggetto e sceneggiatura sono di Nuti, quindi l’impronta d’autore è soprattutto del comico pratese che inventa battute e tormentoni a non finire, regalandoci situazioni originali indimenticabili. Il debutto di Nuti come protagonista è incentrato sulle vicissitudini di un ragazzo di Prato, mollato dalla fidanzata e tormentato dalla madre, che la mattina si sveglia e si mette in cerca di lavoro. Il film racconta una giornata tipo del ragazzo e in parte ricorda certi lavori di Charlie Chaplin, sia per temi che per soluzioni comico – surreali, ai limiti della battuta slapstick e della comica che profuma di cabaret. Molti tormentoni: la madre che telefona in ogni momento del giorno e che implora al figlio di tornare a casa (il ragazzo vive nel portone accanto); la fidanzata Maria che ha lasciato Francesco, perché lui l’ha voluto, perché l’uomo decide e, in ogni caso, tanto telefona; l’incontro con un personaggio folle (Muggiani) che indica a Francesco il negozio del fratello, intimandogli di riferire che a lui la macchina serve perché ci tromba le donne… Molte le battute cult: Il Magnifico (un operaio della fabbrica, padre di Filippo e amico del padre morto) incontra Francesco ed elenca le tre cose importanti da fare nella vita (andare in Perù, spostare la chiesa o vincere al totocalcio); la scenetta tra Francesco Nuti e Novello Novelli che ha per tema il silenzio, ma soprattutto la dialettica sul chi tace acconsente, chi tace sta zitto; le canzoncine trash da Puppe a pera e Sono un vigile dimolto vigile (cantata dal fratello Giovanni), per finire con la sigla di coda scritta dal fratello Giovanni, intitolata Madonna che silenzio c’è stasera. Tutto il resto è cinema senza badare alla logica, ma in ogni caso geniale, da un bambino (Filippo) che si spaccia per un ladruncolo senza famiglia, a un lavoro che non si trova. Da notare che la fabbrica dove Francesco tenta di impiegarsi possiede un telaio mozzadita, che tenta di farlo fuori sparando pezzi, inoltre si ricorda una fidanzata come presenza telefonica che viene cercata e rimpianta, ma senza darlo troppo a vedere. Esilarante la scena di un matrimonio interrotto da francesco e Filippo, pensando che sia Maria a sposarsi, ma non è da meno tutta la parte finale con una prostituta (Angelillo) interrotta sul più bello da una madre iperprotettiva. La cifra stilistica del film è il surreale corretto al grottesco, un genere di comicità nelle corde di Nuti. Perfetta l’ambientazione nel centro di Prato, buone le musiche di Giovanni Nuti, interessante la presenza di Ricky Tognazzi aiuto regista e rapida comparsa canora. Da rivedere, senza pregiudizi, per riscoprire una pietra miliare della comicità anni Ottanta.
Gordiano Lupi
https://cinemaitalianodatabase.com/2017/10/03/madonna-che-silenzio-ce-stasera-1982-di-maurizio-ponzi-recensione-del-film/
Tra i grandi e ingiusti dimenticati dalla memoria cinematografica nazionale, spicca un autore-attore della nostra storia recente che forse più di tutti ha subito una feroce rimozione collettiva. Si tratta di Francesco Nuti, tanto idolatrato dal pubblico di tutta Italia lungo gli anni ’80, quanto adesso raramente ricordato sia dal pubblico, sia dalla critica, sia da tv e rassegne. Sempre meno frequenti sono infatti i passaggi-tv dei suoi film, così come nessuno si è mai preoccupato fino a questo momento di proporre una retrospettiva globale o un serio studio sul suo cinema. Si tratta probabilmente anche di un deplorevole imbarazzo istituzionale, viste le drammatiche vicissitudini che purtroppo hanno caratterizzato gli ultimi quindici anni dell’autore. In Italia e per la sua concezione di spettacolo, niente è più rimosso della malattia, salvo poi recuperarla se ben pettinata per pessimi contenitori televisivi basati sullo sfruttamento del dolore privato (i due ultimi passaggi pubblici di Nuti in tv hanno avuto luogo in programmi di Giancarlo Magalli e Barbara D’Urso).
In tal senso, la serata dedicata alla prima uscita assoluta di Madonna che silenzio c’è stasera in home video, che ha avuto luogo lunedì 5 maggio al cinema Odeon di Firenze, si è svolta secondo un ammirevole registro, diametralmente opposto, all’insegna della sobrietà e della sincera emozione. Francesco Nuti è stato accolto da una lunghissima ovazione, e successivamente suo fratello Giovanni ha letto una lettera scritta dall’autore in cui prendeva forma un’intensa rivendicazione di esistenza e di creatività. Io sono ancora qui, scrive Francesco Nuti, e voglio ancora fare film. Il suo ultimo progetto, infatti, che doveva entrare in produzione ancor prima della sua malattia, è il mai realizzato Olga e i fratellastri Billi, opera a cui Nuti continua a pensare a distanza di più di dieci anni. Al cinema Odeon ha preso forma un rinnovato appello ai produttori; “tirate fuori le palle” scrive Nuti, e finanziate il mio film. A ben vedere, si tratta di un ennesimo capitolo della lunga diatriba tra Nuti e la classe dei produttori. In qualche modo, gli inizi del suo dramma privato risalgono proprio ai primi conflitti tra lui e Vittorio Cecchi Gori, ai tempi di OcchioPinocchio e della sua sofferta gestazione. Da lì in poi, lavorazioni tormentatissime per ogni suo nuovo film (anche Il signor Quindicipalle restò bloccato per più di un anno), e il parallelo emergere di problemi personali sempre più pressanti. Probabilmente però adesso qualcosa inizia a muoversi, e ci si augura che l’arte di Francesco Nuti si trovi soltanto alle porte di una riscoperta collettiva.
Un primo passo è questo preziosissimo recupero in home video di Madonna che silenzio c’è stasera, film mai distribuito in DVD a causa di un’intricata vicenda sui diritti d’autore. Grazie all’impegno di CG Home Video e Mustang Entertainment, l’opera è ritornata a nuova vita, restaurata e rieditata in DVD e Blu-ray. L’entusiasmo al cinema Odeon di Firenze è stato enorme, con file e spintoni fuori dalla sala come sempre più di rado accade oggigiorno, specie per un film italiano. E’ innegabile che la portata di Francesco Nuti in ambito locale sia straripante: a Firenze e dintorni il suo cinema, e in particolare Madonna che silenzio c’è stasera, viene citato a memoria, assumendo tratti quasi proverbiali. Dalla canzone “Pupp’a’ppera” alla Macchu Picchu vagheggiata in sogni di fuga, siamo di fronte a un film che ha segnato più generazioni una dopo l’altra, sull’onda di un’interessante identificazione del pubblico in un racconto fortemente surreale.
Ma la rivalutazione che il cinema di Nuti merita dovrebbe partire esattamente da qui, ovvero da un netto rifiuto della dimensione regionalistica, partendo anche da una semplice constatazione: negli anni ’80 i suoi film raccoglievano un enorme successo di pubblico in tutta Italia (del resto è un tratto comune a tutti i “malincomici” di quel decennio: Verdone aveva successo anche fuori Roma, Troisi era amato ovunque, Benigni pure…). Eppure tutto il racconto di Madonna… si muove volutamente in una dimensione piccola e ristretta, in cui il provincialismo si trasforma in culla e prigione al contempo. Che cosa dunque assume tratti universali, e rende Madonna… un pregevole pezzo di cinema? Innanzitutto l’aspirazione a una comicità surreale, che tale rimane, sorta di esperanto, a Prato come nel resto d’Italia, così come nel resto del mondo.
Si è parlato molto delle ascendenze cinematografiche di Madonna… e di tutto il cinema di Nuti. Per il film in questione i parallelismi con Chaplin e il neorealismo italiano sono anche troppo immediati. Da un lato il personaggio di Nuti, lunare e malinconico, che vive con mesta sofferenza la frattura tra sé e un imprendibile, rigidissimo mondo esterno, alle prese con macchine-mostro di una disumana industrializzazione in odore di Tempi moderni (la famosa lotta di Nuti con il telaio), e accompagnato da una figura di bambino in cerca di modelli; dall’altro, come suggerisce Giovanni Nuti negli ottimi extra del DVD, il “neorealismo surreale” di Zavattini-De Sica, con bella mescolanza di attori professionisti e non professionisti e tensioni favolistiche.
Ma, a fronte di tutto questo, Nuti si esprime tramite una propria visione “del cinema e del mondo”, trasformando Madonna… in un’esperienza cinematografica raramente ripetibile. A costruire il tessuto profondo del film concorrono infatti tensioni e contributi specifici del suo tempo, che in qualche modo rendono riconoscibile buona parte del cinema italiano inizi anni ’80: innanzitutto la derivazione cabarettistica, che conduce il fatto-cinema in territori inesplorati (tempi lunghissimi, pedinamento di un primattore debordante, con sensibili ricadute in ambito di regia e di estetica) ma che al contempo esalta nuovi specifici strumenti linguistici. La comicità di Nuti è infatti composta di piccolissimi gesti, di titubanze e scarse parole, che solo una macchina da presa può catturare: una comicità poco teatrale, votata al cinema, ma foriera di nuovi effetti sullo stesso fatto-cinema, che si concentra sull’attore e sulla sua fisicità. Poi, l’emergere della piccola produzione, questa sì radicata spesso in ambito regionale (patrimonio completamente spazzato via, ahinoi, nel cinema italiano di oggi): Madonna… nasce come esile produzione indipendente locale, realizzata con pochissimi fondi, eppure pulsante di vere idee e ancora di un’idea di cinema, animata anche da un sano spirito ludico e goliardico. Girare un film come gioco tra amici, un principio ispiratore probabilmente nuovo nel cinema italiano alle soglie degli anni ’80.
Forse ancora diffidente verso l’acerbo Nuti come eventuale regista, il produttore chiamò a dirigere il film Maurizio Ponzi, autore di nobili ascendenze che si legò a Nuti per i suoi primi tre film da solista. Il rapporto regista-attore che venne a crearsi in quelle tre opere assume, a uno sguardo attuale, connotati più forti e pregevoli: all’epoca la regia sembrò piegarsi totalmente allo straripante primattore e alle ristrettezze produttive, e in questo rimane del vero. Ma a tutt’oggi in Madonna… la regia appare anche acuta e sensibile, lontana anni luce dall’anonimato generalizzato delle attuali commedie italiane, che pure sono prodotte con fondi ben più sostanziosi. La sensibilità per il paesaggio urbano, la capacità di collocare la modesta figura di Nuti nel grigiore di una piccola città di provincia, la scelta di campi lunghi in cui il protagonista spesso si perde (chi girerebbe mai un’inquadratura in campo lungo per un film con Checco Zalone?): la regia al servizio di un attore, che si cura però di valorizzarlo anche in relazione a un contesto-cinema, non soltanto per catturare meramente la battuta del momento.
A chiudere il cerchio dell’universalità del cinema di Nuti, subentra poi il suo gusto tutto particolare per il surreale. Eredità diretta della sua esperienza cabarettistica con i Giancattivi (Alessandro Benvenuti e Athina Cenci), Nuti si fa forte della propria fisiognomica e della sua tendenza alla trovata irrazionale. La sua comicità assume tratti fortemente personali, scaturendo dal conflitto tra uno sguardo diverso (il protagonista) e una realtà rigida e cristallizzata, intensamente caratterizzata in senso provinciale. Seguendo le orme casuali e divaganti di uno sfaccendato pratese senza lavoro, Nuti inanella un episodio surreale dopo l’altro, scontrandosi per lo più con figure di anziani patetici e mostruosi, o con prigionieri di un sistema più grande di loro (gli operai senza dita, il padrone della ricevitoria…), componendo di rimbalzo il ritratto di una realtà frustrante e senza grandi aspettative per una generazione disorientata. Perciò Nuti piaceva tanto, e non solo in Toscana. Andava a toccare nervi scoperti e rimossi di un intero paese, e potenzialmente dell’essere umano a tutte le latitudini.
Come sottolinea Giovanni Veronesi negli extra, il film si configura anche come importante documento storico oltre le proprie intenzioni. Vediamo una Prato che sembra più lontana nel tempo di quel che è. Sono passati “solo” trent’anni, eppure la città è radicalmente mutata: la Prato del tessile e delle case del popolo, dello scontro generazionale, del riflusso ideologico, dei sogni di fuga di una generazione sconfitta (il bel personaggio del Magnifico, interpretato da Massimo Sarchielli). Ma, di nuovo, era buona parte dell’Italia in quegli anni a trovarsi in un confuso senso di sconfitta. Chi negli anni ’70 sognava una società diversa, si ritrovava prigioniero al telaio con tre figli a casa. E il “paese per vecchi”, di bassissimo profilo e senza grandi aspirazioni per i giovani, è lo stesso di oggi. Nuti universale, quindi. Universale e profetico. Col valore aggiunto di uno spirito mesto e malinconico nei confronti di una vita cattiva e incomprensibile, che apre il suo cinema a un valore universale per l’esistenza umana, sempre e ovunque.
https://quinlan.it/2014/05/11/finalmente-nuti/
Prato. Francesco, trentenne disoccupato, si sveglia come ogni mattino di controvoglia, assordato dal suono della metallica sveglia che solo a calci riesce a fermare… Dopo un’interminabile urinata, si cimenta in un dialogo immaginato con l’amata Maria e assurde azioni prima di rispondere all’immancabile telefonata dell’asfissiante madre che lo rivorrebbe a casa con sé… La incontra uscendo, prima d’entrare nell’ascensore. Quando vedo il tuo letto vuoto, mi sembra che tu sia morto, dichiara la donna che lo implora in lacrime, attribuendo la sua attuale condizione all’abbandono di Maria…
Divincolatosi dalla donna, Francesco esce con la sua bici con parabrezza per andare in cerca di lavoro, passando al bar della Casa del Popolo dove al barista confessa il fastidio che la madre gli arreca… Il caffè è amaro, per il bitter che il barista gli ha versato per indispettirlo… Eccolo poi sul tram per andare in centro dove un omosessuale lo molesta dopo averlo adocchiato ed esserglisi seduto vicino. Divincolatosi, Francesco esce di corsa alla prima fermata, leggendo la falsa lettera del padre, morto da ventitré anni, redatta dalla madre per farlo tornare a casa e “non diventare cieco”… Un passante, Magnifico, si ferma e dichiara di essere stato amico del padre, con il quale ha viaggiato in Perù… L’uomo continua: invano lo aveva convinto a emigrare e ad abbandonare il lavoro al telaio… È palesemente alienato anch’egli, fissato con il telaio, il Perù, l’anticlericalismo e la vincita al totocalcio…
Poco dopo, all’esterno di un magazzino di fibre tessili, Francesco chiede indicazioni stradali a un pazzoide… Invano cerca un bagno… Mentre urina dietro alcuni contenitori, si trova minacciato con una pistola da un ragazzino che minaccia di ucciderlo se non gli dà cento precise lire… Il ragazzino lo denuncia poi come ladro, salvo poi raggiungerlo successivamente e dichiararsi orfano di nome Francesco…
Finalmente Francesco raggiunge una tessitoria dove sembrano cercare personale… Tra rumori assordanti di macchinari, grida, e arti amputati, Francesco trova infine le persone giuste che gli consentono di fare una prova pratica… Ovviamente, non avendo esperienza, combina un disastro, provocando la distruzione del macchinario in una sorta di guerra con lo stesso… Tra gli operai trova… Magnifico… che non gli rivolge la parola allontanandosi mesto con un fiasco di vino al momento della pausa, deriso dai colleghi…
Francesco lo segue, poi se ne va fermandosi in un parco con il piccolo omonimo al quale dice che la fabbrica è fallita e che ritenterà altrove. Parlano di Maria, dichiarando che è stato lasciato perché “l’ho deciso io”… Entrano poi in una tavola calda dove la ragazza lavorava e dove si trovano di lei amiche che lo irridono anche per via dei pantaloni che si è appena sgarrato… Chiusosi nel bagno delle donne mentre la cassiera gli cuce i pantaloni, Francesco sente le sopraggiunge amiche spettegolare, parlando anche di Maria che sembrerebbe incinta di quattro mesi proprio di lui e non di Nicola, suo prossimo marito… Per un soffio riesce a non farsi scoprire…
Francesco, recuperati i pantaloni, si presenta in chiesa interrompendo il matrimonio di Maria… che è però un’altra donna…
Il piccolo taccia di codardia Francesco che non è in grado di telefonare a Maria, sfidato a rubare una mela… Il ragazzino usa ancora il trucco della pistola, permettendogli così di perpetrare il furto…
Per sfuggire alla cattura, si ritrovano in un teatro dove si tiene una serata di dilettanti allo sbaraglio cui Francesco si trova costretto a partecipare… Vincendo!, con il brano Puppe a pera… Con i soldi della vincita prospetta un trasferimento in Perù, trovando finalmente il coraggio di telefonare a Maria… Passano in stazione, in cerca d’indicazioni per il Perù, poi a casa del bambino che si rivela chiamarsi Filippo ed esser tutt’altro che orfano. A sorpresa il padre si scopre essere Magnifico… Questi svela che il padre è andato in Perù!, anch’egli tutt’altro che morto alla sua nascita…
Basito, Francesco decide di andare a giocare una schedina in una ricevitoria in chiusura. Obbliga così, pistola giocattolo di Filippo in pugno, il titolare a giocargliela, promettendogli la metà in caso di vincita… Su un ponte ferma poi un uomo che lo invita a sparare sapendo che non ne avrebbe trovato il coraggio. Butta così l’arma in acqua… Poi eccolo al bar, a monologare ripetendo “Madonna che silenzio c’è stasera”, unico avventore oltre al barista. Il locale viene chiuso, previa telefonata della madre di Francesco che lo richiama a casa… La bicicletta gliel’han rubata… Si aggira così per le strade buie, imbattendosi in una donna che scambia per una prostituta e poi in una mercenaria vera… La rimorchia per ventimila lire, facendo finta di non conoscerla sul tram dove il cugino Stefano lo incontra…
Appena messo piede in casa, la madre inizia a tempestare la porta di colpi e a gridare, insultando la prostituta, che si chiama anch’ella Maria, facendola così andare via e mandando in bianco il figlio… Per Francesco giunge il tempo di andare a dormire. A disturbarlo è una telefonata, ma non della madre, bensì dell’amata Maria!…
Stefano Fiorucci
https://stefanofiorucci.altervista.org/maurizio-ponzi-madonna-che-silenzio-che-ce-stasera/
No hay comentarios:
Publicar un comentario