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jueves, 23 de mayo de 2013

Caterina va in città - Paolo Virzi (2003)


TITULO ORIGINAL Caterina va in città
AÑO 2003
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e inglés (Separados)
DURACION 106 min.
DIRECCION Paolo Virzi
GUION Paolo Virzi & Francesco Bruni
MUSICA Carlo Virzi
FOTOGRAFIA Arnaldo Catinari
REPARTO Alice Teghil, Sergio Castellitto, Margherita Buy, Zach Wallen, Federica Sbrenna, Carolina Iaquaniello, Galatea Ranzi, Claudio Amendola
PREMIOS 2003: Premios David di Donatello: Mejor actriz secundaria (Buy). 2 nominaciones
PRODUCTORA Rai Cinemafiction / Cattleya
GENERO Drama. Comedia

SINOPSIS Giancarlo Iacovoni (Sergio Castellitto) es profesor de contabilidad en un pueblo; movido por el resentimiento decide trasladarse a Roma con su mujer Agata (Buy), a la que acompleja y humilla, y su hija Caterina (Teghil), a la que incita a acercarse y a intimar con las compañeras de clase que proceden de familias importantes. La chiquilla, que se siente desconcertada al verse en un ambiente tan distinto al del pueblo, se convierte inmediatamente en objeto de disputa y de rivalidad entre dos compañeras: Margherita (Carolina Iaquaniello) y Daniela (Federica Sbrenna); la primera, hija de una escritora y de un renombrado intelectual, y la segunda, hija de un importante miembro del gobierno. En el curso del año escolar, mientras que Caterina descubrirá un mundo falso y menos brillante de lo que parece, su padre experimentará la amargura del desengaño. (FILMAFFINITY)





Críticas
"Refleja la incomunicación y el absurdo de un país atrapado en la banalidad. Con gracia, con brío, con rabia."
Javier Ocaña: Diario El País

Montaldo di Castro sprizza l’aria fresa e sottile che riempie d’ossigeno cuore e polmone, Roma non ronfa mai, e d’aria annerita gonfia polmone e cuore. L’eterno dualismo tra città e campagna, tra provincia e metropoli viene centrato dal bravo incantatore Virzì, maestro della commedia italiana. Roma brulica di colori, di quartieri, di pariolini e di mezze seghe, di scuole diroccate, di centri commerciali da shopping selvaggio, di locali frequentati, di manifestazioni, di slogan, di manifesti politici. E’ un mondo diviso in due. C’è chi è della Lazio, chi della Roma, c’è il fascio e il comunista, chi sta al potere (un bravo Amendola nella parte di un fascista attualizzata che non sopporta più saluto romano in pubblico e vuole avere un certo credito culturale), chi all’opposizione, chi vota per quello, chi vota per quello. A Roma sei identificato con un gruppo, eterogeneo magari. Montaldo è il lento da jukebox, risente di atmosfere felliniane (lo scrisse Kezich, lo ricalco), Roma è un can can su ritmi da m2o. Il film è un racconto di formazione che prende la strada del dualismo. Caterina è pura, ha i capelli lisci, sottili come fili di fieno, gli occhi acerbi, ma espressivi. Indossa vestiti di provincia, ricorda la corale polifonica del suo vecchio paese, vuole cantare classici del classico. Ha le cuffie giganti ed è una piccola maestra che ha un moto di eccitazione naturale, un’enfasi che stordisce, quando canta e ascolta, perdendosi nei sogni di giovanissima. Montaldo è la quiete, Roma è la tempesta. La classe è divisa in due blocchi: ci sono piccole popstars da una parte, premature in tutto, compreso nel sesso, abbellite da orpelli di gran prezzo e poca classe, e ci sono piccoli politicanti di ideologia dall’altra, comunisti, kefiah attorno al collo, vestiti scuri, rigorosamente da mercatino, la maglia del Che, e Mark Twain che imperversa. Montaldo è il cuginetto fuoriforma che parla di cibo, Roma è il girotondo con Benigni, o il festino nella villa del nuovo (o copiato?) Alemanno. Caterina va in città e assapora il nuovo. Il vecchio fa capolino, nelle nevrosi dei suoi genitori, tra un Castelletto che crede in un monopolio che gestisce, da cupola, l’intero mondo che conta, alla bravissima (David di Donatello) Margherita Buy, donna semplice, vittimizzata dal marito che si crede a sua volta vittima del mondo. E’ una soap opera, come osserva il ragazzo australiano che osserva tutto dalla finestra oltre il cortile di cemento. E’ aspro Virzì, come sempre, ancor di più del solito, nonostante il lieto fine. Roma capitale diventa tram tram, bruttura, ma anche occasione di crescita con qualche scorcio, su un colle al Testaccio, di poesia. Caterina sogna di far vibrare la sua voce in un disegno collettivo, di un coro che sappia esaltare Mozart come si deve. Sorride, senza perdere sé stessa, mentre la camera le si avvicina.
http://it.paperblog.com/caterina-va-in-citta-78172/


...Evitando così tutte le incivili interruzioni tranne la più scellerata, quella che tronca senza complimenti (i complimenti li fanno le persone per bene) i titoli di coda, il bel commiato musicale e soprattutto la separazione da un mondo d’immagini e di idee in cui non potevamo rimanere, e nemmeno l’avremmo voluto (saremmo ancora liberi, una volta personaggi?...) ma che sarebbe stato bello poter lasciare con calma.

Per chi non l’ha visto, ecco come ne delineano la trama il Morandini 2005: Da Montalto di Castro, l’adolescente Caterina va con i genitori ad abitare a Roma, dove il padre, docente deluso e arrivista fallito, la spinge a frequentare le coetanee delle famiglie “bene”, aumentando il suo spaesamento; e la rivista Film Tv: Un’Alice adolescente nella ben poco meravigliosa realtà dei nostri giorni. Appena trasferitasi a Roma dalla provincia coi genitori (l’arrivista Giancarlo e la timida e distratta Agata), la tredicenne Caterina diventa presto oggetto di contesa e di rivalità tra Margherita, figlia di due intellettuali di sinistra, e Daniela, rampolla di un importante esponente del governo di destra... (Il film, a proposito di governi, è del 2003).

Il personaggio del padre (interpretato con mostruosa bravura da Sergio Castellitto) si lascia comprendere, compatire e disprezzare soprattutto in due momenti. Il secondo, nell’atrio della scuola di Caterina, è quando vede allontanarsi pappa e ciccia, tra reciproci complimenti e pacche sulle spalle, l’importante esponente della destra e l’importante intellettuale di sinistra le cui figlie stanno cercando, in modi diversi, di far impazzire la sua. La faccia dell’arrivista Giancarlo (un grande Castellitto, non si può non ripeterlo) in quel momento è un poema. Con il quale si è costretti a identificarsi, a pensare che è vero, è proprio così: in Italia (ma forse in tutto l’Occidente) almeno i due terzi della cosiddetta sinistra s’intendono ormai molto più con la destra di quanto capiscano noi. Che perciò, sulla scena della Storia immensa e terribile, siamo rimasti quasi del tutto soli. E talvolta ne usciamo pazzi.

Ma Giancarlo non impazzisce per questo. Giancarlo era già pazzo da prima.

In quel momento, il falso insegnante e il falso padre si fanno compatire. Si fanno quasi amare. Ma poi ci si ricorda della prima scena del film. Quando Giancarlo, ottenuto il trasferimento in un liceo della capitale, si “separa” dagli alunni di Montalto dicendogli che sono stati la peggiore, la più avvilente esperienza della sua vita. Senza accorgersi, senza sospettare che invece è proprio lui l’ultima delle tante brutte esperienze che quei ragazzi – come le povere disgraziate “amiche” che Caterina incontrerà a Roma – hanno attraversato nel corso delle loro brevi vite: genitori stupidi e disperati come lui, di destra o di sinistra, e insegnanti disperati e stupidi di sinistra o di destra, come lui. Giancarlo che non ama nessuno, neanche la figlia (tutto il suo starle addosso non è altro che disperazione anch’esso, disperato bisogno di consolarsi del fallimento col successo di cui Caterina, egli crede, sarà debitrice solo a lui), Giancarlo che non è mai stato capace di sentirsi (e così di far sentire un alunno) importante in quanto essere umano, come potrebbe accorgersi, mentre commisera sé e l’Italia intera dinanzi allo spettacolo del pappa e ciccia sinistra-destra, che lo spettacolo che ha offerto alla classe di Montalto “salutandola” a quel modo è esattamente lo stesso?

Caterina invece no. Caterina non è così. Come Veronica nel bellissimo film di Kieslowski, ma grazie a Virzì più come la Veronique francese che come quella polacca (e infatti lo dice, a un certo punto: volevano chiamarmi Veronica, ma poi...) Caterina ha il canto. E vederla cantare nel coro, vederla fremere e quasi spiccare il volo – per la bellezza di essere tutt’uno con la musica e le voci in un fare insieme la bellezza che è solo umana – fa venire le lacrime agli occhi per il timore che la distruggano e la speranza che invece no. Ha, cioè, Caterina, qualcosa di umano in cui realizzarsi, bello e forte fino a stringere il cuore, al quale si è impegnata e legata senza riserve, per sempre. È per questo che mentre tutti impazziscono, per lo schifo che da destra e da sinistra viene loro inflitto (tutti, e per primo il padre) Caterina invece no, non impazzisce: perché si è impegnata e legata senza riserve, per sempre, a realizzarsi in qualcosa di umano, bello e forte fino a stringere il cuore, nel quale si sente e rimane splendida, cioè sé stessa.

E il suo cuore non è come quello di Veronica. È forte.

Un bel film, dunque, di cui siamo grati a tutti coloro che l’hanno fatto ma dei quali non abbiamo potuto apprendere i nomi dai titoli di coda perché Rai 1, pappa e ciccia con Mediaset, come al solito li ha vilmente troncati e fatti sparire. Bello, soprattutto, perché ci ricorda che in Italia ce ne sono davvero, di giovani come Caterina. Anche se poi il film sembra voler dire, purtroppo, che i giovani così sono pochi, pochissimi. Ma non è vero, naturalmente. Sfidiamo chiunque a trovare nel nostro paese una classe d’età meno “ricca” di imbecilli e di malvagi dell’attuale 0-30 anni. Ma questo, per saperlo, bisogna non avere in cuore e nella mente neanche una briciola del falso padre e del falso insegnante, povero Giancarlo. Che la disperazione fa sparire per sempre su una moto che per lui non è mai stata un’immagine di libertà, un moderno destriero, ma un mezzo per fuggire. Abbandonando la figlia. O forse liberandola.
http://www.scuolanticoli.com/pagediario_17.htm

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