ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




lunes, 13 de mayo de 2013

Ruggine - Daniele Gaglianone (2011)


TITULO ORIGINAL 
Ruggine
AÑO 
2011
IDIOMA 
Italiano
SUBTITULOS 
Español (Separados)
DURACION 
109 min.
DIRECCION 
Daniele Gaglianone
GUION 
Daniele Gaglianone, Giaime Alonge, Alessandro Scippa (Novela: Stefano Massaron)
MUSICA 
Evandro Fornasier, Walter Magri, Massimo Miride
FOTOGRAFIA 
Gherardo Gossi
REPARTO 
Filippo Timi, Stefano Accorsi, Valerio Mastandrea, Valeria Solarino, Giampaolo Stella, Giuseppe Furlò, Giulia Coccellato, Giacomo Del Fiacco, Leonardo Del Fiacco, Annamaria Esposito, Alessia Di Domenica, Giulia Geraci
PRODUCTORA 
Zaroff Film / Fandango / Rai Cinema
GENERO 
Drama | Años 70. Abusos sexuales

Sinópsis
Una historia que transcurre en el norte de Italia en los años 70, en la periferia de una ciudad, adonde se trasladarán junto a sus familias del sur unos niños que jugarán en las vísceras de un castillo oxidado de metal de una antigua cantera. Allí se dan cita varios niños y niñas entre ellos los tres protagonistas; Cinzia, Carmine y Sandro. (FILMAFFINITY)

2 
Sub 


Daniele Gaglianone è probabilmente uno dei segreti meglio custoditi del cinema italiano. Nonostante vanti una filmografia foltissima, la grande parte della sua opera risulta ancora troppo poco frequentata. Con Ruggine, dopo l’esito maiuscolo di Pietro, il regista affronta una storia corale, ampliando il raggio del suo sguardo e riconnettendosi alle urgenze delle storie calate nell’agone della Storia. Il lavoro di Gaglianone, infatti, sin dalle sue origini, si è andato sviluppando attraverso un fittissimo dialogo con le ragioni e il farsi della Storia. Basti pensare alla presenza fortissima della guerra di Liberazione o all’interesse fortissimo nei confronti di figure come Gobetti.
Con Ruggine il regista tenta consapevolmente di mettere in scena la storia delle grandi migrazioni del sud del paese verso il nord industrializzato come una favola iniziatica ancorata ai processi economici di una modernizzazione sofferta e contraddittoria. Lo sguardo dell’infanzia, ben lungi dall’essere luogo edenico, è lo specchio oscuro di una vita nient’affatto sognata dagli angeli. In questo senso Ruggine, alla luce della devastante crisi finanziaria che sta vivendo il nostro paese (affrontata come una burla dalla classe dirigente), assume anche le caratteristiche di un incubo retrodatato. Come l’origine ideale di un male già tutto implicito nella mancata democratizzazione del lavoro nel nostro paese favorita dalle ragioni del profitto.
In questo senso Gaglianone dimostra ancora una volta tutta la sua straordinaria abilità poetica nell’ascoltare le voci di una moltitudine umana che progressivamente viene fagocitata da un altro ritmo esistenziale senza per questo ottenere nemmeno il minimo beneficio economico promesso dal miraggio dello sradicamento dalle proprie tradizioni. Non meraviglia, dunque, che il cinema di Daniele Gaglianone orbiti intorno a un sordo nucleo di dolore. Questo movimento genera una resistenza della memoria che si rivela nell’oggi come richiesta di un’altra vita. Ruggine, film con il quale il regista accetta la sfida del confronto con la macchina “ufficiale” del cinema italiano, manifesta esemplarmente la tensione fra passato e presente che genera l’energia del suo sguardo.
Tratto dall’omonimo romanzo di Stefano Massaron, il film è un continuo e vertiginoso montaggio alternato che mette in scena il conflitto che oppone i piccoli Cinzia, Carmine e Sandro al malefico dottor Boldrini (un Filippo Timi davvero stellare e che conferma una straordinaria duttilità espressiva). Il ricordo di quei giorni perseguita i bambini ormai adulti (Valeria Solarino, Valerio Mastandrea e Stefano Accorsi) che vivono dialogando dolorosamente con le loro scelte e incubi.
Attraversato da un commento sonoro minimale e metallico (forse l’unico aspetto del film che avrebbe necessitato di una maggiore attenzione da parte dell’autore che ci aveva abituato a una maggiore austerità), Ruggine mette in scena una Torino colta alla fine degli anni Settanta e reinventata fra Taranto e Formello (nei pressi di Roma) cui la fotografia di Gherardo Gossi conferisce sfumature africane. Ammirevole poi la tensione degli interpreti che si prestano al registro minimale loro richiesto, si pensa soprattutto ad Accorsi, che nel gioco ossessivo con il figlio riesce a far riverberare tutte le paure che ancora lo scuotono in un inquieto desiderio di svelamento e irrefrenabile istinto di protezione.
Proprio come accadeva nel cortometraggio L’orecchio ferito del piccolo comandante, Gaglianone racconta il momento in cui si manifesta la coscienza come responsabilità. Il regista osserva l’infanzia in forme che il cinema italiano ha sfiorato solo nei film migliori di Luigi Comencini e Vittorio De Sica anche se, a uno sguardo ravvicinato, si scoprono sfumature che avvicinano Ruggine a Mark Twain o addirittura a Cormac McCarthy per la sua capacità di dare corpo a un male che striscia sulla linea dell’orizzonte arsa dal sole. Il dottor Boldrini, infatti, personifica tutte le minaccia e la promiscuità sessuale che le favole attribuiscono tradizionalmente all’”uomo nero”. E non è un caso che i bambini debbano sconfiggere il drago nella sua tana per poi accettare pienamente la sfida del dovere crescere (anche se questo non significa affatto che si tratterà di un processo facile…).
L’attenzione partecipe attraverso la quale il regista filma i rituali dell’infanzia, il canto misterico dei corpi che si trasformano giocando tra i detriti di una civiltà industriale che avverte già, cupamente, il proprio venire meno, non hanno pari nel cinema italiano che non riesce a dare dei bambini una immagine che non sia edulcorata secondo i peggiori dettami di un paternalismo criptocattolico durissimo a morire. Ed è dunque questo grumo di energia vitale, colta tra le pieghe di un mondo che mentre sorge già manifesta i segni della propria sparizione imminente, a fare del film un’opera attraversata da una malinconia tanto irriducibile quanto politicamente articolata.
La precisione poetica, quindi, ancor prima che sociologica, con la quale il regista mette in scena, attraverso i loro figli, le masse migranti giunte al nord per vivere alle periferie del benessere, commuove e inquieta. La migrazione viene osservata come un’inevitabile via crucis, destino comune degli ultimi e, senza cedere minimamente alla tentazione della retorica, Gaglianone ci ricorda che nemmeno tanto tempo fa eravamo noi i rom e gli africani che vivevano al sud di nessun nord. Infine, la presenza di Piero Casella e Francesco Lattarulo, i due protagonisti di Pietro, evidenzia inoltre la lealtà del regista ai corpi di un mondo ai margini. Una dichiarazione precisa di poetica territoriale.
Favola nera e dolente (che ricorda anche, attraverso le lucertole imbottigliate, Riflessi sulla pelle di Philip Ridley), Ruggine è il film nel quale tutto il cinema di Daniele Gaglianone si proietta nel futuro con un gesto di rara forza e convinzione. L’augurio, inevitabilmente, è che con Ruggine Daniele Gaglianone riesca finalmente a essere visto e apprezzato anche al di fuori della cerchia di coloro che seguono da anni il suo lavoro.
Giona A. Nazzaro
http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-film-della-settimana-ruggine-di-daniele-gaglianone/
---
Il paragone con “Mystic River” di Clint Eastwood sembra azzardato ma corriamo il rischio. Trattasi di pedofili, in entrambe le storie, e trattasi di ragazzini che dovranno diventare grandi facendo i conti con la brutta esperienza. Da una parte c’è un romanzo di Dennis Lehane intitolato “La morte non dimentica”. Dall’altra c’è il romanzo “Ruggine” di Stefano Massaron, uscito da Einaudi. Lo scrittore cominciò pubblicando un racconto nell’antologia “Gioventù Cannibale”, e se la memoria non ci tradisce non era niente male (quanto tempo è passato, e che tenerezza fa oggi quella lista di nomi). Le strade si dividono subito. Rabbia, furia, dolore, tragedia greca, famiglie che fanno muro contro gli estranei: questo scelgono di raccontare gli americani. Malinconia, crepuscolarismo, tristezza, traumi interiori: questo scelgono di raccontare gli italiani (sullo sfondo: carcasse d’auto, distese senza erba, i più tremendi quartieri torinesi per immigrati con bambini in canottiera, che più pasolinani non potrebbero essere). Il cinema nostrano ha sempre un sovrappiù di timidezza e una mancanza di grinta, perfino quando in scena mette un pedofilo (Filippo Timi, esattamente con la faccia, il completo, l’automobile, l’andatura, l’aria sudaticcia di quando le mamme dicono: “non accettare caramelle e non salire in macchina con sconosciuti”). Il mostro fa il dottore, ogni tanto qualche bambina nei dintorni sparisce. I bambini qualcosa hanno capito, mentre i grandi sembrano non capire niente, e continuano a fidarsi. Date le somiglianze del cattivo con il disegnino del maniaco da mettere sull’enciplopedia illustrata alla voce “pedofili”-, il dettaglio toglie un po’ di credibilità al film. Siccome siamo italiani, e anche autori, il regista Daniele Gaglianone mette insieme i tasselli con ritardo. Prima vediamo tre personaggi – il padre Stefano Accorsi, la maestra Valeria Solarino, lo sbandato Valerio Mastandrea – che si aggirano nelle rispettive scene senza indizi su quel che li lega. Anzi, pensiamo proprio che non abbiano in comune nulla se non la piattezza di personaggi poco sviluppati in sceneggiatura, dove si tolgono informazioni per creare interesse: In realtà si ottiene l’effetto contrario: se non abbiamo qualcosa da masticare, noi spettatori dopo un po’ ci agitiamo furiosi nella poltrona e andiamo a caccia di altre prede.
Mariarosa Mancuso
http://www.ilfoglio.it/cinemamancuso/609


Ruggine supone la adaptación cinematográfica del libro homónimo de Stefano Massaroni. Una historia que transcurre en el norte de Italia en los años 70, en la periferia de una ciudad, adonde se trasladarán junto a sus familias del sur unos niños que jugarán en las vísceras de un castillo oxidado de metal de una antigua cantera. Allí se dan cita varios niños y niñas entre ellos los tres protagonistas; Cinzia, Carmine y Sandro.
La historia avanza con continuos saltos adelante y atrás en el tiempo. Así no tardaremos mucho en descubrir que Cinzia es ahora una guapísima profesora de arte que trabaja desde hace pocos meses en un instituto, quien tiene sus más y sus menos en un claustro con otros profesores que banalizan el tema de los abusos a las menores, como es el caso de una alumna a la que están evaluando. Carmine, el bronco niño moreno es ahora un hombre que dilapida su vida dentro de un bar, bebiendo y fumando atormentado por su pasado. Finalmente Sandro, el niño de la sempiterna tos, es ahora un padre de familia dispuesto a exorcizar sus demonios infantiles, dedicando a su hijo todo el tiempo y la ternura que su padre nunca le brindó.
A ese mundo donde las mujeres únicamente hacen hijos y salsa di pomodoro (como le cuenta Cinzia a Sandro mientras le da un beso al inicio de la película), donde los hombres se muestran rudos y los niños pasan el tiempo jugando al aire libre en las campas, fuera del hogar, llega un nuevo pediatra, el médico Boldrini, de rostro pétreo y duro quien va manifestando su enajenación y pedofilia al tiempo que crea la tragedia al violar y matar a dos niñas. Es Boldrini ese dragón negro de los juegos de Claudio, que asusta a los niños y que estos lo calan desde su llegada.
En un ambiente tan hostil y violento a menudo las cosas solo pueden resolverse de una manera, como finalmente se verá. Si la ambientación pasada resulta atractiva y envolvente, en el tiempo presente la historia apenas avanza y resulta trabada, de ahí que a Carmine solo lo veamos en el bar, a Cinzia en el claustro de profesores y a Sandro en su casa jugando con su vástago. Tanto ir y venir en el tiempo nos hace prever que aquello tendrá algún sentido. Así que recomiendo ver los títulos de crédito finales pues ahí la película sigue y el círculo se cierra.
Tanto los actores más jóvenes como los adultos dan consistencia a la película. Valerio Mastrandrea da buena nota de su versatilidad, Valeria Solarino (Viola di mare, Che ne sará di noi) de su belleza y sensibilidad, Stefano Accorsi ha superado ya su rol de chico guapo para mostrarse como un padre entregado y de Filippo Timi resulta monstruoso y brillante.
Me ha gustado mucho la música de Vasco Brondi de “Le Luci della Centrale Elettrica“, acompañando a la perfección cada escena, sugiriendo muchas emociones. Dirige Daniele Gaglianone (La Ferita, I nostri anni, Pietro).
Una película, Ruggine, que expone con acierto y sensibilidad los estragos causados por las experiencias infantiles y la diversas maneras de afrontar cada uno la vida adulta con esas heridas o cicatrices.
http://www.cuak.com/category/cine-italiano/

4 comentarios: