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miércoles, 29 de mayo de 2013

La Prova Generale - Romano Scavolini (1968)


TITULO ORIGINAL La prova generale
AÑO 1968
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglés (Separados)
DURACION 77 min.
DIRECCION Romano Scavolini
GUION Romano Scavolini
MUSICA Egisto Macchi
FOTOGRAFIA Giulio Albonico
REPARTO Guido Alberti, Lou Castel, Carlo Cecchi, Sara Di Nepi, Maria Monti, Remo Remotti, Emiliano Tove, Leopoldo Trieste, Laura Troschel, Giuseppe Valdembrini, Valentino Zeichen
PRODUCTORA Laboratorio Ricerche Cinematografiche
GENERO Drama | Giallo. Cine experimental

SINOPSIS El protagonista de la película es la estructura misma del film y el intento de reconstruir fragmentos de momentos incompletos de la vida. Fue censurada por el gobierno italiano y las autoridades por blasfemia, violencia irracional, ultraje a la bandera, a la religión y al Soldado Desconocido. (FILMAFFINITY)



Due anni dopo A mosca cieca la censura colpisce anche La prova generale, su cui ancor oggi gravano cinque ipotesi di reato - istigazione alla violenza, oltraggio alla patria, oltraggio al Milite Ignoto, oltraggio alla religione, blasfemia. Nonostante ciò il film circolò in diversi festival italiani e internazionali, ma soprattutto fu insignito del Premio Qualità per il Miglior Film dell’an-no, che gli fu attribuito dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo (ex-aequo con Il fascino discreto della borghesia di Buñuel). Questa volta predomina la camera fissa, la sceneggiatura è precisa e i dialoghi sono rilevanti; il racconto è quello di un debutto che non avviene mai, di un gesto che non può compiersi, e la forma è accurata tanto da chiedersi se il film si voglia collocare fuori dall’area della ricerca sperimentale.
http://www2.kwcinema.kataweb.it/bemovie/ininterrotto.html

Scavolini si concede la più ampia libertà espressiva per un film che potrebbe essere definito underground e che a distanza di anni non appare eccessivamente datato sia a livello concettuale che formale. La prova generale in fondo rappresenta a vari livelli la frustrazione di una vera rivoluzione culturale mai avvenuta e che mai avverrà. E' presente al contrario un forte senso di involuzione che porta dentro di sé i semi di quel grande freddo degli anni successivi. Personalmente è stata una visione estremamente difficile e faticosa, ma tuttavia potrà essere apprezzato da tutto coloro che amano un cinema fuori dagli schemi.
The Gaunt
http://www.filmscoop.it/film_al_cinema/laprovagenerale.asp

SC - I suoi film finora citati sono gli unici che sono riuscito a reperire e visionare (insieme a La prova generale [1968], che però esula dal campo di competenza di questo sito). Dove posso trovare gli altri?
RS - Non ho idea. Ho fatto film – mi sembra di aver capito – di cui non avete neppure idea, ma non so come aiutarvi perché mi interesso molto poco al destino delle cose che faccio…
http://www.splattercontainer.com/approfondimenti/interviste/item/invervista-a-romano-scavolini


Le belle prove di Romano Scavolini
Il cinema Underground

Era ora che – dopo tanti anni di inspiegabile oblio – si cominciasse a rivalutare e a sottrarre dalla rimozione il cinema di Romano Scavolini, autore davvero singolare del panorama italiano, a metà strada tra underground e cinema ufficiale, fiction e non-fiction, con alle spalle decine e decine di corti, molti dei quali appaiono oggi di una sconvolgente modernità linguistica (da Alle tua spalle senza rumore a Ecce Homo, da Gli inviati speciali ad Alzate l’architrave carpentieri), spesso basati semplicemente su immagini fisse, siano esse disegni o fotografie, accompagnate da un commento molto incisivo (parlo de La quieta febbre o L.S.D.).
Ma Scavolini è autore anche di svariati lungometraggi, due dei quali – A mosca cieca (1966) e La prova generale (1968) – sono legati a vicende produttive e censoree, ancora tutte da raccontare.
Ispirato a Lo straniero di Camus A mosca cieca – che resta l’opera più significativa di Scavolini – racconta di un uomo (Carlo Cecchi) che trova per caso una pistola dentro una vettura in sosta, se ne impadronisce e finisce con l’usarla altrettanto “casualmente”, uccidendo un uomo che esce dallo stadio la Domenica pomeriggio.
Il film racconta questa lucida attesa, la vita quotidiana dell’uomo, la relazione con una serie di persone (la sua compagna, un amico, il padre...) ma soprattutto il suo rapporto con questo oggetto, così “significante” da spingerlo a commettere un atto estremo per dare un senso non tanto alla propria esistenza, quanto a quella della pistola, che vive appunto di vita propria. Questo gesto radicale, in linea con l’estetica surrealista che istigava a sparare a caso tra la folla, rientra dal punto di vista tematico nel cinema della rivolta precedente o successivo di Bellocchio (I pugni in tasca, 1962), Bertolucci (Partner, 1968), Ferreri (Dillinger è morto, 1969), ma con modalità di rappresentazione ben più rivoluzionarie: la narrazione seppure ancora rintracciabile è continuamente stravolta e sabotata innanzitutto dalla soppressione del dialogo, poi da inversioni nella successione temporale, reiterazioni ossessive di gesti (il furto della pistola, il gettarsi sfinito sul letto), da inserimenti di segni, parole o formule matematiche, in modo da saturare di significanti l’immagine, ridestare continuamente l’attenzione dello spettatore, svelandogli l’artificio della messa in scena ma anche frustrando le sue aspettative: come quando una freccia in sovrimpressione indica la futura vittima.
A mosca cieca di Scavolini è diventato, suo malgrado, un film “maudit”, a causa di interminabili peripezie giudiziarie, conclusesi all’epoca con il sequestro della copia originale, tuttora custodita negli scantinati dell’ex Ministero dello Spettacolo. L’accusa fu quella di “pornografia” per il seno di Laura Troschel fugacemente mostrato. L’autore e il produttore Nasso si rifiutarono di tagliare i fotogrammi incriminati e fecero appello al Consiglio di Stato: il risultato fu che A mosca cieca venne bocciato da ben tre commissioni censoree. Malgrado ciò il film fu presentato a Pesaro nel 1966 e fu apprezzato tra l’altro da Joris Ivens e Jean-Luc Godard, per poi essere visto – sotto altro titolo, per eludere la censura – a Berlino, Carlovy Vary, San Francisco, New York, Mosca, ecc. 
Prima ancora dello scottante tema - che preannuncia la futura stagione dell’eversione terroristica - ciò che fece impaurire i censori fu lo scardinamento dei canoni cinematografici, il fatto che non solo l’omicidio rappresentato restava senza motivazione ma la stessa rappresentazione si presentava come “libera” da ogni logica. Al gesto liberatorio del protagonista che finalmente può usare un oggetto costruito per sparare o contro se stesso o contro gli altri, si affianca il gesto liberatorio di Scavolini che può usare per gran parte del film la camera a mano, adottando uno sguardo voyeuristico e “selvaggio” che esprimesse il vuoto esistenziale di quegli anni. Oltre a Camus l’altro riferimento letterario che informa A mosca cieca è a Beckett, di cui alla fine viene riportata la frase: “Chi ha voluto ascoltare ascolterà sempre, sia che sappia di non sentire più niente, sia che lo ignori”.
Anche al successivo film di Romano, La prova generale, toccò l’“onore” della censura, su di esso gravano ancora oggi cinque ipotesi di reato: 1) istigazione alla violenza; 2) oltraggio alla Patria; 3) oltraggio al Milite Ignoto (una sequenza fu infatti girata sull’Altare della Patria); 4) oltraggio alla Religione; 5) Blasfemia.
In La prova generale la riflessione ideologica diventa evidente, concreta e non più rimandabile. Rispetto ad A mosca cieca, questo secondo film appare opposto e complementare: il primo è filmato in 16mm bianco e nero, con una prevalenza di camera a mano, senza copione e senza dialoghi, con un protagonista principale; il secondo è girato in 35mm colore, soprattutto con camera fissa, con una sceneggiatura e una forte predominanza di dialoghi e senza un personaggio principale. Inoltre se A mosca cieca è la storia della tormentata ricerca di un uomo che sfocia nel compimento di un gesto risolutivo, La prova generale - come suggerisce il titolo stesso - racconta di un gruppo di uomini e donne che provano la loro vita e vivono la loro recita, senza poter mai debuttare veramente. Non vedranno mai la loro “prima”, come per il Cecchi di " mosca cieca: per questa ragione si ha l’impressione che ogni sequenza sia una scena-madre, in sé conclusa e in qualche modo determinante per capire il senso di tutto il film. Appaiono perciò illuminanti le parole dette da Margherita Lozano nella sequenza della sala di doppiaggio: “Basta separare un solo elemento se tutti gli elementi sono importanti, perché il mosaico si apra e distrugga l’unità di una parete liscia. Allora i gesti, le parole, i fatti della vita, i sentimenti, tutto ritorna nel suo isolamento: Il tempo, questo elemento che abbiamo scelto come unità della nostra esistenza, mi sfugge ogni volta che credo di averlo fermato, così rientro ogni giorno senza speranza nel mio disordine quotidiano come in un letto vuoto, al buio, sconfitta senza alternative”.
Se A mosca cieca, per la povertà e la voluta primitività dello stile, appare più esplicitamente “sperimentale” se non a tratti underground, La prova generale per la qualità di immagine e per la cura nella costruzione delle sequenze, sembra allontanarsi dall’area della ricerca, se non fosse per la varietà di soluzioni formali decisamente innovative per un lungometraggio del genere: ralenti, salti di montaggio, ripetizioni dell’immagine, confessioni in macchina dei protagonisti, ecc. Inoltre quel po’ di narrazione di A mosca cieca scompare definitivamente ne La prova generale, esplicita “truffa” di Scavolini, simulazione di un tradizionale film a soggetto, fin dai titoli di testa iniziali che scorrono sulla musica di Egisto Macchi e che lasciano allo spettatore l’illusione di assistere a un normale film narrativo.
Il film si presenta come un puzzle polidimensionale che potrebbe essere, invano, smontato e ricomposto dallo spettatore alla ricerca di una sequenza. Anche per questo Scavolini crea continui spiazzamenti tra immagine e parola, come quando mette in scena il dialogo sulla maternità in un villaggio western abbandonato, o quando in generale le espressioni dei personaggi non corrispondono a ciò che dicono. All’interno di una struttura molto complessa e articolata, il discorso politico si intreccia a quello privato, la felicità piccolo-borghese viene contrastata dalle statistiche sulla fame nel mondo, la figura femminile funziona sia da elemento della dinamica di coppia, che da fattore di seduzione, che da vittima della violenza maschile, allo stesso livello del nero che subisce l’intolleranza razziale.
A parte che le sequenze finali di A mosca cieca vengono letteralmente inglobate ne La prova generale e scorrono sullo schermo della sala di doppiaggio, del film precedente ritornano molte altre situazioni - ma, se possibile, più raffreddate -, come l’immobilità dei sentimenti rappresentata dal corpo a corpo di una coppia, abbracciata contro il fondo bianco di una parete. Lo stesso Cecchi reinterpreta più o meno lo stesso personaggio con la pistola, anche se il rapporto con questo oggetto e con la sua funzione viene trattato in modo più tecnico, mostrando le immagini di un poligono di tiro con, in voice over, dettagliate informazioni di carattere balistico. E’ semmai il personaggio di Castel - suicida che gioca con la pistola per colmare il vuoto che precede la sua morte o per sublimarla in performance - a essere più prossimo al protgonista di A mosca cieca. La poetica surrealista dell’oggetto ne La prova generale diventa insomma astratta teoria. Gli stessi colpi di pistola vengono associati ai colpi di stecca del biliardo, si trasformano cioè in metafore, ipotesi di fatti e non gesti realizzati. Nell’immagine della partita di biliardo che ritorna in tutto il film, possiamo leggere un’allusione alla continua aggregazione e disgregazione dei personaggi, come tante bocce che si riuniscono, si confrontano, per poi disperdersi nel vuoto delle loro esistenze e delle domande senza risposta. Persiste ancora ne La prova generale la sospensione beckettiana di A mosca cieca, lì orchestrata attraverso il silenzio, qui materializzata mediante la parola se non addirittura l’affabulazione. Parola che diventa menzogna, a ricordarci per l’ennesima volta che il cinema è finzione: in questo senso è significativa la sequenza del finto cieco che intrattiene con il suo doloroso show di ricordi sul fronte russo, una serie di avventori al bar, suscitando il loro riso o la loro indifferenza. Allo stesso modo il suicidio di Castel - che resta “fuori campo” -, nello stesso momento che ci viene raccontato è anche travisato, caricato - grazie alle parole - di significati politici.
Un personaggio del film si domanda a un tratto: “che cosa aspettiamo a debuttare. Sono 10.000 anni che facciamo la stessa prova generale, continuamente interrotta soltanto perché qualcuno di noi muore”. La prova generale è quella della rivoluzione imminente, una rivoluzione scritta sui muri ma non ancora consumata dai personaggi del film; prova che richiama incessantemente lo spazio della rappresentazione: da quella arcaica, teatrale e stilizzata della via crucis ridotta a una serie di tableaux vivants sulla spiaggia, a quella realistica in stile “cinema-verità” con l’attore per strada nei panni di un barbone che permette alla macchina da presa di “rubare” le reazioni autentiche dei passanti.
Ancora un beckettiano “finale di partita”: la gara di biliardo è terminata, esattamente come in A mosca cieca termina l’incontro di calcio. Il capannello di amici si scioglie per l’ennesima volta. La prova generale è conclusa. Ma - come nel film precedente - si ha l’impressione che tutto possa ricominciare da un momento all’altro.

Romano Scavolini
Nato a Fiume il 18 giugno 1940, nel 1958 si trasferisce in Germania dove lavorerà come scaricatore di porto. Qui tra l’altro realizza insieme al fotografo Arthur Kidalla, un lungometraggio in l6mm mai sonorizzato. Ritornato in Italia, inizia la sua carriera di filmmaker, girando una lunghissima serie di cortometraggi tra il documentaristico e lo sperimentale, molti dei quali - a cominciare dal primo - La quieta febbre - ottengono una serie di riconoscimenti. Nel 1966 realizza il suo vero primo lungometraggio, A mosca cieca che, pur proi-bito dalla censura, viene presentato in diversi festival sia in Italia che all’estero. Le cronache del cinema indipendente italiano sono caratterizzate dalla singolarità dei cortometraggi e poi dei lungometraggi di Romanoi Scavolini, da A mosca cieca (1966) e La Prova Generale (1968). La peculiarità di questi films risiede nel fatto che, pur trattandosi di opere girate in 35mm, con una troupe regolare (vi lavorano operatori come Blasco Giurato, Giulio Albonico, Mario Masini e lo stesso Scavolini), basate quindi su un’accurata qualità dell’immagine e con un’impostazione totalmente diversa rispetto alle pratiche “povere” e solitarie dei filmmaker underground, sono film che hanno una fortissima componente avanguardistica (mancanza di una storia. azzeramento del dialogo, ricerca linguistica, utilizzo costante di musica elettronica e concreta, ecc.) La “scoperta” di queste opere, che all’epoca non riuscirono a essere regolarmente distribuite, spiazza totalmente lo studioso e lo costringe a ripensare il concetto classico di sperimentazione filmica.
Della vastissima produzione di documentari e cortometraggi - realizzata da Scavolini tra il 1964 e il 1969 circa, poco visti se non in qualche festival, ma quasi mai usciti in sala - tra i più significativi e “sperimentali”, ricordiamo: Alle tue spalle senza rumore (1964), 1962, 12’, 35mm, col., son.. Re.: Vittorio Armentano - prod.: Enzo Nasso - fot.: Enzo De Mitri - mo.: Renato May - mu.: Egisto Macchi
Il film rappresenta da un punto di vista fenomenologico l’esecuzione di un pignoramento in un quartiere popolare di Roma. Basandosi solo su elementi figurativi e formali senza alcun commento parlato.
Un muro con le mani al tuo passaggio (1965), Alzate l’architrave carpentieri! (1967), Gli inviati speciali (1967) e L.S.D. (1970). In tutti questi lavori circolano una serie di temi e ossessioni, che confluiranno in maniera più organica nei lungometraggi. Per esempio il ricordo doloroso della guerra, trasposto in un rituale solitario di violenza: il ragazzino di Alle tue spalle... che gioca in un condominio deserto eccetera. Due anni dopo gira il suo secondo lungometraggio anche questo caratterizzato da una ancor più accentuata ricerca di sabotare il linguaggio del cinema tradizionale: La prova generale. Se in A mosca cieca il clima politico rimane sottotraccia, o meglio affiora e si manifesta attraverso sfumature, umori e suggestioni, in La prova generale la riflessione ideologica emerge con evidenza. I due film sono opposti e complementari: il primo, filmato in l6mm bianco e nero, con una prevalenza di camera a mano, senza copione e senza dialoghi, con un protagonista principale; il secondo, girato in 35mm colore, perlopiù con camera fissa, con una sceneggiatura e una forte predominanza di dialoghi e senza un personaggio principale (nel cast, oltre a Carlo Cecchi e Joseph Valdam-brini, figurano Lou Castel, Alessandro Haber, Frank Wolf, Maria Monti, Anik Mourisse). Inoltre se A mosca cieca è la storia di un uomo e della sua tormentata ricerca che sfocia nel compimento di un gesto risolutivo, La prova generale - come suggerisce il titolo stesso - racconta di un gruppo di uomini e donne che provano la loro vita e vivono la loro recita, senza poter mai debuttare veramente. Non vedranno mai la loro “prima” come per il protagonista di A mosca cieca, per questa ragione si ha l’impressione che ogni sequenza sia una scena-madre, in sé conclusa e in qualche modo determinante per capire il significato di tutto il film. Segue poi un altro singolare progetto, Entonce, che resterà incompiuto e il cui girato andrà perduto, anni dopo, durante un’alluvione.
Nel 1970 Scavolini parte per il Vietnam come fotografo di guerra freelance. Al suo ritorno fonda una casa di produzione (Lido cinematografica) e si dedica al cinema di consumo con una serie di lungometraggi tra cui Servo Suo e Cuore. Dal ‘72 al ‘74 viaggia tra l’America Centrale e l’America Latina, lavorando come giornalista, sceneggiatore e produttore. Nel ‘76 decide di trasferirsi negli Usa, insegnando alla New York University of Visual Arts e tenendo stage anche alla Columbia. Nel 1981 dirige l’horror Nightmare, che diventa uno dei campioni d’incasso della stagione e darà il via alla serie Nightmare diretta da Craven. Dopo aver realizzato nel 1990 Dogtags, ispirato all’esperienza del Vietnam, Scavolini ritorna a Roma, dove risiede attualmente.
Bruno di Marino
http://web.tiscalinet.it/aclabor/monogra/scavol.htm

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