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sábado, 5 de diciembre de 2020

Arrivano i bersaglieri - Luigi Magni (1980)

TITULO ORIGINAL
Arrivano i bersaglieri
AÑO
1980
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
120 min.
PAIS
Italia
DIRECCIÓN
Luigi Magni
GUIÓN
Luigi Magni
MÚSICA
Armando Trovajoli
FOTOGRAFÍA
Danilo Desideri
REPARTO
Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli, Ombretta Colli, Giovannella Grifeo, Enrico Papa, Mariano Rigillo, Ricky Tognazzi, Mauro Orfei, Daniele Dublino, Carlo Bagno, Vittorio Mezzogiorno, Pippo Franco
PRODUCTORA
Factory Films, IFF
GÉNERO
Comedia. Drama | Siglo XIX

Sinopsis
1870. Los Bersaglieri entran a Roma a través de la Porta Pia. Don Alfonso, oficial de los Borbones y al servicio de las tropas papales –ignorando que el Papa, gobernante de la ciudad, ha levantado la bandera de la paz- mata a Urbano, joven soldado y miembro de una familia noble, de Santa Agueda. Herido va a refugiarse al palacete de Próspero, anti savoiardo, romano y orgulloso. Sin saber que quien toca la puerta ha matado a su hijo, el príncipe lo recibe. (FILMAFFINITY)
 
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Un film di Luigi Magni lo si riconosce subito. È una peculiarità che non molti registi possono vantare. A volte forse sfiora la maniera, come se tutto ciò che metta in scena sia un qualcosa di prevedibile. Eppure, è strano come nonostante questa caratteristica – che spesso sa essere il peggiore dei difetti – Magni riesca a fornire (almeno fino alla fine degli anni ottanta), film assolutamente gradevoli, immersi in una dimensione satirica che non risparmia niente e nessuno, ma con una leggerezza che non diventa mai greve.

Intendiamoci, non si sta parlando di un capolavoro, ma Arrivano i bersaglieri sa essere una graffiante e simpatica commedia storica, probabilmente con qualche ambizione di troppo (derivata dal fatto che In nome del Papa Re aveva ottenuto un grande successo sia di pubblico che di critica) soprattutto nella rappresentazione del protagonista.

Don Prospero D’Agata, a cui presta voce e corpo un malinconico (e non di rado patetico) Ugo Tognazzi, è la versione estremizzata, risoluta e popolaresca del Principe di Salina del Gattopardo, che non accetta il cambiamento e si ostina a restare ancorato ai vecchi ideali del passato, ad un sistema di valori che irrimediabilmente non può avere più luogo nella nuova nazione.

È interessante vedere Arrivano i bersaglieri oggi, nel tripudio del centocinquantennario, questo personaggio ottusamente legato alla Roma papalina che tanti danni ha combinato nel centro Italia in anni ed anni di potere temporale; e attraverso Prospero, lo stesso Magni, seppure naturalmente antitetico alle idee espresse dal nobiluomo, cerca di mettere in luce le anomalie con cui lo Stato venne alla luce, in un carosello di opportunismo, trasformismo e arrivismo che risultano infine essere gli stessi difetti degli italiani contemporanei. Metaforico, certo, ma senza il moralismo dell’apologo e con una sana dose di sarcasmo che non sempre si coniuga col melodrammismo del finale.
Tragicommedia in interni (un palazzo capitolino) nel quale si consumano tradimenti e i segreti non esistono, mantiene comunque una certa connessione con l’ambiente esterno rifuggendo la claustrofobia, anche grazie al sagace ritmo che contraddistingue l’azione. Accanto a Tognazzi, ci sono la spalla Pippo Franco trova il ruolo più decente della sua carriera (un ridicolo monsignore parassita ed ingordo) e uno stuolo di buoni attori (Vittorio Mezzogiorno, Ombretta Colli e Giovannella Grifeo), ma spicca una grande Giovanna Ralli in un ruolo che rappresenta la saggezza, la praticità, l’arte di arrangiarsi, la bontà sorniona di Roma.
https://lorciofani.com/2011/03/16/arrivano-i-bersaglieri-luigi-magni-1980/ 
 

Roma (20 settembre 1870)
 I bersaglieri di La Marmora entrano nella capitale, È la breccia di Porta Pia che spacca a metà anche la società romana. Sullo sfondo, s'intrecciano amori, vendette, assassinii e tragedie. E tra le vicende personali di chi vive questi stravolgimenti, si assiste alla fine di un'epoca . Tra i protagonisti, un vecchio patrizio illuso, il principe (Ugo Tognazzi della nobiltà nera papalina), deciso oppositore dei Savoia che non accetta questi cambiamenti. Il destino sembra punirlo quando si ritrova ad ospitare lo zuavo (Vittorio Mezzogiorno) che gli ha ucciso il figlio. Lo zuavo Don Alfonso dell'Aquila d'Aragona, ignaro che i papalini hanno innalzato la bandiera bianca, uccide il bersagliere Urbano, della nobile famiglia S. Agata; quindi, ferito, va a rifugiarsi proprio nella casa del principe. Suo figlio è morto con la divisa di bersagliere a sua insaputa, ucciso da Don Alfonso che intanto s’è innamorato di sua figlia. Nella casa patrizia vivono, oltre al principe, sua moglie Costanza, la principessina Olimpia, la domestica Nunziatina e lo zio di Costanza, il prelato Don Pietro. L’attenzione di Don Prospero di S. Agata nell’accogliere e difendere il ferito è quasi maniacale da fanatico fedele al potere temporale. Ma alla stessa casa S. Agata perviene il tenente Gustavo Martini, di Desenzano del Garda, come Urbano appartenente al 34º Battaglione, il quale, avendo assistito alla morte del commilitone, intende portarne notizia alla famiglia e, soprattutto, alla giovane Olimpia, di cui l'amico gli ha sempre parlato. Il bersagliere finisce per trovarsi di fronte all'assassino e si confida con Olimpia e con Nunziatina; poi inizia un duello con Don Alfonso che, però è costretto a continuare, senza sparare, con Don Prospero. Il principe ha un collasso e, prossimo a morire, svela i suoi segreti mentre gli viene riferita la morte del figlio. Olimpia e Gustavo rimarranno soli, sotto gli occhi benevoli di Nunziatina.

Il regista Luigi Magni descrive, con un certo anticlericalismo, questo momento storico in una narrazione che oscilla tra il satirico, il sentimentale e il grottesco. Possiede nei dialoghi il suo punto di forza; attentamente curati nel loro gergo sia esso romanesco, che napoletano o lombardo-romagnolo. Quella di "rivisitare" la storia d'Italia è una delle matrici di fondo del cinema di Luigi Magni, con figure di corposa immediatezza e una marcata vena di acredine. Luigi Magni conclude qui la trilogia iniziata nel 1969 con “Nell’Anno del Signore” e il successivo “In nome del Papa Re” (1977) anche se dieci anni dopo girerà “In nome del popolo sovrano” con Nino Manfredi e Alberto Sordi questa volta apparentemente molto stanchi, che la critica considerò come il terzo della trilogia. Il regista mette in risalto l’aspetto aristocratico della Roma ottocentesca e papalina e infonde ai personaggi quel minimo di spessore drammatico che la vicenda richiede. Pregevole è la resa degli attori. Fanno da coro una servetta (GIOVANNA RALLI ) depositaria di antiche virtù popolari, e un prete (Pippo Franco), emblema della classe dirigente “forchettona” che farà l'Italia».
Le critiche sono tratte e riassunte dai siti cinematografici
https://digilander.libero.it/freetime1836/cinema/cinemaarrivano.htm 



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