TITULO ORIGINAL Il passatore
AÑO 1947
IDIOMA Italiano
SUBTÍTULOS Español (Separados)
DURACIÓN 94 min.
PAÍS Italia
DIRECCIÓN Duilio Coletti
GUIÓN Duilio Coletti, Federico Fellini, Tullio Pinelli
MÚSICA Enzo Masetti
FOTOGRAFÍA Carlo Montuori (B&W)
REPARTO Rossano Brazzi, Carlo Campanini, Valentina Cortese, Carlo Ninchi, Camillo Pilotto, Carlo Tamberlani, Giovanni Grasso, Alfredo Martinelli, Giuseppe Pierozzi, Enrico Luzi, Agnese Dubbini, Piero Palermini, Alberto Sordi, Gualtiero Tumiati, Liliana Laine, Memmo Carotenuto, Folco Lulli
PRODUCTORA Lux Film
GÉNERO Drama. Aventuras | Siglo XIX
Sinopsis
Por una historia de amor, Stefano Pelloni mata al tío de su amada, pasa a la clandestinidad y se convierte en el famoso "Passatore" (contrabandista), bandido temido en la Romaña de esa época, pero popular también por su generosidad. (FILMAFFINITY)
Stefano Pelloni
Il Passatore: un mito di Romagna duro a morire
di Luciano Lucci
La storia del Passatore, come quella di molti film western, è una storia truculenta e "sporca". Niente eroi. Nessun personaggio positivo. Vittime e carnefici, inseguiti e inseguitori, sono crudeli e spietati, oppure esecutori di un dominio prepotente e sfruttatore, sia poliziesco che sociale. Come nella storie dei film di Peckinpah, ('Mucchio Selvaggio'), o di Quentin Tarantino, pensate all'ultimo 'Bastardi senza gloria', tutto è sporco, polveroso, sanguinolento, e perciò appare drammaticamente vero.
Nella storia del Passatore è lui in persona il regista che opera direttamente nella realtà con azioni e gesta furbescamente messe in scena, quasi recitate e, paradossalmente, tutto appare drammaticamente finto. Qui scatta il gioco del mito: il pubblico vuole il finale che piace a lui, in sintonia con la sua sensibilità. Così da quegli uomini, senza Dio, patria e famiglia, artefici di tante malefatte, a volte anche con versamento di sangue a fiumi, sia nella storia vera che nella finzione filmica, deve sgorgare una scintilla di lealtà e giustizia.
Il gioco del mito
Molti storici si sforzano di scrostare l'alone mitico che l'identità romagnola ha creato attorno a questo bandito delle zone di Romagna, facendo riferimento agli atti documentali, e calcando la mano sulle azioni sanguinarie del Passatore e della sua banda. Dall'altra parte altri hanno teso ad individuare una serie di attenuanti per questa figura definendo il contesto storico-sociale e politico in cui il personaggio operò, e cioè la Romagna papalina del 1848 - 49 - 50 e i bisogni che la gente povera aveva di riscatto.
Il limite di entrambi è di solito quello di dimenticare che stanno processando un mito, il che significa qualcosa che nel bene e nel male è entrato in sintonia con la sensibilità e i sentimenti della gente, al di là della realtà dei fatti. Si tratta quindi di capire di quale mito si parla e di giudicare se tale mito aveva un valore positivo o negativo all'epoca dei fatti.
Il Passatore morì in una sparatoria finale, e spesso agì per vendicare gli amici uccisi, o per eliminare traditori, delatori, poliziotti, guardie volontarie (le ronde dell'epoca). Depredò, e a volte uccise, quando si ribellavano, i ricchi possidenti e rimborsò abbondantemente i fiancheggiatori e quei braccianti o contadini poveri che lo accoglievano volentieri nei loro capanni, facendo sostanziosi regali alle ragazze delle case dove si nascondeva o alle donnine a pagamento che si portava dietro, o addirittura mostrando rispetto e affascinando le suore di un convento dove una volte ebbe modo di trovare asilo, oltre a ricompensarle di una notevole somma. Così gli riuscì di creare il mito di un casereccio Robin Hood, di uno che "rubava ai ricchi e dava ai poveri".
Se poi si pensa che in qualche modo le sue imprese incrociarono quelle di Garibaldi, si può capire senza bisogno di scandalizzarsi tanto, come Giovanni Pascoli, poeta di Romagna, abbia voluto alimentare quel mito (ma non è questo uno dei meriti degli artisti?) scrivendo la poesia "Romagna", di cui in molti per varie generazioni mandarono a memoria, fin dalle elementari, la strofa finale:
Romagna solatìa dolce paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese
re della strada, re della foresta.
...
http://alfonsinemonamour.racine.ra.it/alfonsine/Alfonsine/passatore.htm
È dunque un «antico vizio» quello della montagna, di ospitare chi, per diversi motivi, la sceglie per vivere la sua condizione di fuorilegge. E non è soltanto una questione di rifugi e nascondimenti tra i boschi, gli anfratti, i valloni scoscesi e altri luoghi impervi da raggiungere e dove trovare facili vie di fuga. È di più. È quel richiamo a «salire in montagna» con cui i plebei sceglievano il colle dell’ Aventino per scampare alle lotte con i patrizi romani; è il bisogno di un rifugio protetto dove rivendicare la propria radicalità religiosa che cercavano gli eretici di Fra Dolcino quando si rifugiarono in Valsesia per fuggire dalla crociata del vescovo di Vercelli; è il richiamo ai doveri della Storia quello a cui sentivano di rispondere i «piccoli maestri» di Antonio Giuriolo quando scelsero la via dell’ Altopiano di Asiago per combattere contro il nazifascismo.
Sono storie di montagne italiane, ma allargando lo sguardo al mondo, in altre epoche, regioni e culture, la montagna si definisce come luogo di aspirazione a qualcosa di alto, di grande, dove sfogare la ribellione contro l’autorità e rendere possibile la lotta.
Il cinema italiano ha raccontato il fenomeno del banditismo e del brigantaggio in montagna ampiamente: accanto ai film più celebri, si contano molte opere, anche documentaristiche, che sono spesso legate ai luoghi di provenienza montani dei loro autori.
Il Film Festival ha scelto per questa retrospettiva cinque film, con un percorso cronologico che mostra un cambiamento di descrizione e giudizio sulla figura del bandito in montagna. Al mito del brigante spietato con i ricchi e generoso con i poveri, si rifà Il Passatore di Duilio Coletti del 1947, che tratteggia la figura di Stefano Pelloni, il Passator cortese delle colline Romagnole a metà Ottocento. Cinque anni dopo, nel 1952, Pietro Germi gira Il brigante di Tacca del Lupo, ambientato sulle montagne della Basilicata.
Entrambi i film soggiacciono a stilemi cinematografici molto classici, senza pretese di approfondimento, adatti al pubblico dei cinematografi di provincia in cui la figura del fuorilegge, che combatte contro le vessazioni di un potere quasi sempre ingiusto, poteva consolare delle ingiustizie e fatiche patite ogni giorno, nel secondo Dopoguerra.
A segnare un cambio di passo è Vittorio De Seta, nel 1961, con Banditi a Orgosolo, il suo lungometraggio di esordio, che resta uno dei suoi capolavori. De Seta, da grande documentarista, sceglie i pastori della Barbagia per fare interpretare i personaggi del suo film, e sceglie la montagna come vera protagonista, e non come semplice sfondo. Un anno dopo, Francesco Rosi insinua sul tema il suo originalissimo sguardo di inchiesta e di denuncia girando Salvatore Giuliano, film complesso, almeno quanto il suo protagonista.
Quando tutti sono pronti per entrare, arriva all'improvviso Stefano Pelloni, detto Il Passatore, famoso in paese per essere una testa calda. Barbara ne è innamorata, ma lo zio ha deciso che è meglio per lei sposare un altro uomo. Stefano, accecato dalla gelosia, uccide il rivale in amore dopo una colluttazione. La sera fa visita a Barbara, che gli dichiara di essere sempre innamorata di lui. In quel momento ritorna il parroco. Lo sguardo di Stefano si incrocia con quello di don Morini, che gli chiede di pentirsi del delitto che ha commesso. Stefano si dà alla macchia.
In poco tempo mette in piedi una banda di malviventi che infestano i villaggi tra Faenza e Forlì. Uno dei suoi colpi più grossi lo mette a segno al teatro di Forlimpopoli, in occasione della prima della Didone abbandonata, quando deruba i presenti di ben 10 000 scudi. Tutti lo temono, meno il suo parroco, don Morini, che lo va a denunciare.
Ma il Passatore gli tende un agguato e lo uccide. Barbara, la nipote, giura di vendicarsi: scuote la popolazione del villaggio e chiede a tutti di armarsi. Sul Passatore c'è una taglia di 3000 scudi. Uno dei suoi cerca di tradirlo, ma viene scoperto subito da Stefano, che lo punisce duramente, ordinando di tagliargli una mano. Stefano, piuttosto che farsi catturare dai militari, preferirebbe farsi uccidere da un amico d'infanzia, Peppino. Va a parlargli e gli fa promettere che si farà uccidere da lui quando ne avrà abbastanza. Intanto a Forlì è giunto un nuovo maresciallo, Borghi, che ha deciso di catturarlo a tutti i costi. La banda di Stefano viene accerchiata sulle sponde del fiume Lamone: anche Barbara si è messa in cerca di Stefano, per ucciderlo personalmente.
Sulle tracce del Passatore è anche il Monco, l'ex bandito cui ha fatto tagliare la mano, che ora è passato dall'altra parte. In un attimo Barbara vede Stefano, ma non riesce ad ucciderlo e i due fanno la pace. Ma Barbara viene colpita per sbaglio dal Monco, il quale viene subito freddato dal Passatore. Barbara muore tra le braccia di Stefano.
Per Stefano non c'è più alcuna ragione per continuare a vivere: il brigante va da Peppino e gli chiede di mantenere la sua promessa. Il giorno dopo il suo corpo viene portato su un carretto attraverso tutti i paesi della Romagna.
https://www.pieropiccioni.com/film.php?movie=187
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