TÍTULO ORIGINAL
Non essere cattivo
AÑO
2015
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español y Portugués (Separados)
DURACIÓN
100 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Claudio Caligari
GUIÓN
Claudio Caligari, Francesca Serafini, Giordano Meacci
MÚSICA
Alessandro Sartini, Paolo Vivaldi
FOTOGRAFÍA
Maurizio Calvesi
REPARTO
Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Silvia D'Amico, Roberta Mattei
PRODUCTORA
Kimerafilm, Taodue Film, RAI Cinema, Leone Film Group, Ministero per i Beni e le Attività Culturali
GÉNERO
Drama | Crimen. Años 90
Premios
2015: Festival de Venecia: Sección oficial largometrajes (fuera de concurso)
2015: Premios David di Donatello: Mejor sonido. 16 nominaciones
Non essere cattivo [+] constituye el testamento artístico de Claudio Caligari, fallecido el pasado 26 de mayo, poco después de haber completado el montaje del film. Caligari era el clásico director idiosincrásico y al margen de todo y, al mismo tiempo, un autor de culto desde que en 1983 presentara, precisamente en el Lido, su Amore tossico.
La Mostra del Cine de Venecia le ha rendido hoy homenaje con la proyección fuera de concurso de una película que tranquilamente podría haber formado parte de la competición por su fuerza expresiva. La cinta nació gracias al empeño del actor Valerio Mastandrea, que hasta hizo un llamamiento a Martin Scorsese. Mastandrea consiguió llevar a Caligari tras la cámara y que produjeran el resultado Kimera Film, Taodue, Leone Film y Rai Cinema (mañana lo estrena en cines en Italia Good Films).
Aunque Amore tossico se cita explícitamente en la apertura, Non essere cattivo no empieza donde terminó el primer largometraje del director de Arona. Constituye más bien la continuación, su compleción necesaria. Las noches traviesas de dos pequeños camellos de arrabal, amigos íntimos, en la Ostia de 1995 derivan directamente de las largas jornadas pasadas por el grupo de drogodependientes entre Roma y el litoral de Ostia para procurarse sus dosis a principios de los años 80.
A los protagonistas Cesare y Vittorio los interpretan de manera excelente los dos jóvenes actores Luca Marinelli (La soledad de los números primos [+]) y Alessandro Borghi, acompañados en pantalla por las notables Silvia D'Amico y Roberta Mattei. Caligari los guía en el infierno de las pastillas de éxtasis, frenéticas carreras en coche, peleas en discotecas, pequeños delitos y amistades equivocadas. Los ojos desquiciados, fuera de sus órbitas, presas de las alucinaciones. Hasta que Vittorio no dice basta, deja a una chica enganchada por una niña que es madre y se pone a trabajar en la construcción. Cesare no consigue, por su parte, salir de la espiral. Su amigo trata de ayudarlo, en vano.
El nombre de Pier Paolo Pasolini no se acomoda difícilmente en el cine de Caligari porque las ambientaciones, los lugares, el lenguaje, los sueños y las frustraciones de estos chicos de barrio son las mismas que los de las obras literarias y cinematográficas del maestro italiano, si bien bastante más actualizadas. Como Pasolini, Caligari mantiene una mirada de verdadero afecto. Se ríe y nos conmueve con esta "historia de amor puro", como la ha definido Valerio Mastandrea, que acompaña la película en el festival. "Echaré mucho de menos el cine de Claudio Caligari", afirma, “con esos temas que son los mismos que los de Martin Scorsese, Brian De Palma, Francis Ford Coppola…”
Camillo De Marco
https://cineuropa.org/es/newsdetail/298244/
Vite desolate. Vite agre. Questo il centro dinamico – il contenuto – di Non essere cattivo, il film di Claudio Caligari che rappresenterà l’Italia agli Oscar. Qualcuno potrebbe obiettare: ancora? L’argomento non sgorga certo dalla cornucopia dell’originalità. Cristiana F. Amore tossico dello stesso regista. Pasolini. Il vuoto pneumatico dei beat, la loro ricerca ossessiva di non si sa cosa, un sogno forse, una malinconia. Hermann Hesse. Dostoevskj.
Eppure, come sempre, non è il contenuto il vero centro di un’opera, ma lo stile col quale viene narrato.
Il contenuto de I Sotterranei, forse l’opera migliore del sottosuolo beat, è l’amore folle, fallito di fronte all’inconsistenza esistenziale dei protagonisti. Eppure è la prosa “violenta”, come la definì Henry Miller, quella sorta di scrittura neominore a farne un grande libro.
Così lo stile del film esprime, attraverso le immagini, i dialoghi, attraverso le facce degli attori, e i luoghi, tutta l’essenza della Waste Land sociale e individuale del suo tempo.
I luoghi sono Ostia e la borgata romana, terre urbanizzate in fretta dove convivono durezza a normalità, devianza e povertà, violenza e speranza di riscatto. Quelle inquadrature di strade semideserte, con edifici decrepiti ma non antichi, bar ricavati da cubi prefabbricati, qualche negozio primitivo con insegne artigianali, evocano terre di frontiera, dove il presente è governato dal caso e dai puri rapporti di forza. Dove non esiste il progetto, ma solo l’affannoso riempimento di uno spazio vuoto e freddo. Il tempo è il 1995, un’epoca indefinibile, post-post; sono passati i devastanti anni ’80, nei quali l’eroina ha perfezionato l’opera di sterminio iniziata nel decennio precedente. La droga – la nuova droga sintetica – serpeggia, scava, avvelena, stravolge, ma Non essere cattivo è tutto fuorché un’opera sulla droga. Il neorealismo, che costituisce l’ossatura stilistica di queste brevi, caotiche, e al contempo lentissime e prevedibili vite vissute, non naufraga mai nell’iper, ma resta ancorato a una sorta di rappresentazione del tempo e dei luoghi dei personaggi, che sembrano sospesi – imprigionati? – in uno territorio immobile, paludoso.
I due personaggi principali, Cesare e Vittorio, condividono una formazione che non ha nulla di dinamico. Vivono per sopravvivere, per lasciare, a modo loro, un segno. Non sono i giovani rimbaldiani, puri e rabbiosi immersi nella melma putrescente. Sono corrotti, dalle droghe, dalla piccola delinquenza fine a se stessa, dallo spazio scaleno nel quale hanno avuto la ventura di nascere. Quando capita, si strafanno di pasticche, fino ad avere le allucinazioni. Cesare ha anche una missione, oltre alla propria sopravvivenza: accudire e mantenere la madre e la nipotina, già malata di AIDS dopo la morte della madre. Una parte dei soldi derivanti dallo spaccio sono per loro. Vittorio, sempre con gli occhi sbarrati dalle pasticche, cerca di costruire una vita diversa – una vita migliore? – lavorando come manovale in un cantiere. Entrambi si fidanzano, Cesare con una ex di Vittorio, quest’ultimo con una ragazza madre. Le due esistenze prendono vie diverse, non per volontà, ma per il caso, per la forza centripeta degli eventi. Vittorio combatte per diventare normale, e qui come non pensare a Come una bestia feroce di Edward Bunker, l’ex detenuto che lavora e fa sacrifici per una vita di miseria e di umiliazioni. Cesare va a vivere con la compagna in una romanticissima catapecchia semidiroccata, che insieme rimettono a nuovo con la forza della loro speranza e del loro amore. Che diventa ancora una volta tossico, perché va così, perché c’è di mezzo un businness di eroina, col suo bagaglio di tentazione, di seduzione autodistruttiva, di rapina a mano armata, anche se con una lupara scarica.
E’ un film sincero, duro, avvincente, privo di qualunque forma di americanata-patinata (e per questo siamo curiosi di assistere al suo posizionamento nel baraccone degli Oscar). Un film che prende il meglio dalla tradizione europea e italiana, e per noi l’Oscar, qualunque cosa sia, l’ha già vinto.
Mauro Baldrati
https://www.carmillaonline.com/2015/10/08/non-essere-cattivo-di-claudio-caligari/
Il titolo provocatorio (Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari) del bellissimo film di Simone Isola (produttore) e Fausto Trombetta (giornalista) sul cinema e la vita di Claudio Caligari nasce da un confronto con Valerio Mastandrea, grande amico oltreché attore consacrato nella sua immagine di “faccia proletaria” da uno dei film del regista piemontese. Se c’è un aldilà sono fottuto era una frase di Caligari riportata nella lettera a Martin Scorsese, che Mastandrea inviò alla stampa nel 2014 per denunciare le difficoltà del regista a produrre i suoi film, e per aiutarlo a finanziare e promuovere quello che poi sarebbe stato il suo ultimo lungo, Non essere cattivo (2015).
Il canto del cigno di un autore da molti ritenuto “maledetto”, ma in realtà pienamente realizzato grazie alla sua determinata intransigenza a girare solo un certo tipo di film. Caligari infatti rifiutò sempre le lusinghe di un cinema più spiccatamente commerciale, restando fedele ad una forma di rappresentazione lucida, dai contenuti crudi, allergica ai compromessi, un cinema che nasceva dal cosiddetto pedinamento e dallo studio prolungato di ambienti e realtà ritenute marginali dai più. Il cinema della restituzione del vero, un cinema pasoliniano e desetiano nel midollo. Un cinema onesto e veritiero, e per ciò stesso, parco.
Caligari girò “solo” tre lunghi, Amore tossico nel 1983, quindici anni dopo nel 1998 L’odore della notte e nel 2015, poco prima di spegnersi per un brutto male, Non essere cattivo. Questo documentario nasce come una esigenza irrevocabile (il progetto fu avviato nel 2017), per rendere onore a questa figura d’autore con la “A” maiuscola, e si sviluppa nella forma di un film che attraversa lo spazio ed il tempo, riportando i vecchi protagonisti della prima pellicola di Caligari sui luoghi di Ostia che fecero da inedita location per quella storia di emarginazione. Le immagini dei film scorrono parallelamente a quelle del documentario, ricalcando scene e inquadrature del maestro, come a voler omaggiare il suo punto di vista sempre originale e precorritore di tempi, temi e stili.
Se c’è un aldilà sono fottuto offre una interessantissima declinazione del classico film nel film, grazie all’uso in contemporanea di più piani narrativi, la narrazione della vita del regista (con le testimonianze dei suoi collaboratori, della anziana madre Adelina, dell’amico Mastandrea, degli attori Marinelli e Borghi), che si intreccia a quella contenuta nei film girati, e si accavalla pure a saporitissimi frame del backstage girato durante le riprese di Non essere cattivo. Scopriamo così che sul set, il primo giorno di riprese, Caligari mostrava segni di insofferenza per gli attori Marinelli e Borghi, era visibilmente teso. Il film si apriva con una auto-citazione di Amore tossico e la scena del gelato e i due attori non erano quelli del passato. Mastandrea percepì il disagio del regista e lo rassicurò “Aò e mica so’ tutti come me” , Caligari ribatté con un laconico “È vero” e da quel momento si acclimatò.
Michela Mioni, la protagonista di Amore tossico, ricorda che durante le riprese alle otto del mattino arrivava sul set il medico di Marco Ferreri (il regista era divenuto un vero e proprio sponsor del film) distribuendo il metadone a tutti i tossici, per scoraggiare il consumo di sostanze stupefacenti e anche per evitare che scappassero gli attori (scelti tra i tossicodipendenti del Sert di Roma). Una volta capitò addirittura che girando la scena della rapina, gli attori furono acchiappati per davvero dalla polizia in borghese e tradotti in questura. I poliziotti non avevano creduto che fossero attori. Ferreri dichiarò: “avrei voluto farlo io quel film, ma siccome ormai lo girava Caligari, gli diedi una mano per finirlo”. Il maestro aveva scelto Caligari come suo discepolo ideale, lo aiutò nella promozione del film a Venezia, inscenando insieme a Tatti Sanguineti una farsa “da canile” durante la conferenza stampa di presentazione. Ferreri diede dello stronzo a Sanguineti che eccepiva sulla qualità del sonoro e il maestro lo rimbrottò: “In questo film non c’è suono, è l’intuizione principale del regista, cretino!”. Avrebbe poi detto a Caligari dopo Venezia, “hai sfondato ora sarà tutto in discesa” e invece fu esattamente il contrario.
Eppure Amore tossico non fu un film che passò inosservato, raccolse premi (1983 Premio speciale a Venezia, al festival di Valencia e Migliore interprete femminile al Festival di San Sebastian) e suscitò grande interesse tra i critici. Tanto che gli fu dedicata una puntata della trasmissione di Rai Tre Processo al film condotta da Ugo Pirro, durante la quale toccò al “socio” di Sanguineti stavolta, il critico e studioso Alberto Farassino, vestire i panni dell’accusa, non avendo apprezzato troppo il film. Farassino rimproverava a Caligari il fatto di aver girato il primo film sulla droga scegliendo la via del dramma anziché del documentario “noiosamente televisivo”, autoproclamandosi discepolo di Pasolini (per il discorso sulle borgate romane), ma peccando, per il critico, di onestà intellettuale: “è un tipo di rappresentazione che non è reale, ma fa vedere gli aghi che entrano in vena, è come una forma di pornografia”. E condannava il seguace di Pasolini a rivedere Accattone per molte e molte volte per meglio intendere la lezione neorealista.
Con il secondo lungometraggio L’odore della notte Caligari torna a parlare di un altro mondo ai margini. Da autentico amante del cinema francese, traspone nella pellicola “una luce livida che raggela la scena”, sceglie attori vicini ai personaggi anche nella vita reale e soprattutto che fossero anche agli inizi della loro carriera, per non inquinarne l’aspetto con accenti borghesi o divistici. Emanuel Bevilacqua (il rozzo) è un attore preso dalla strada, il giovane Mastandrea gli ricorda un po’ Delon e Belmondo, “non ho più ritrovato quel senso del cinema che c’era sul set di L’odore della notte, tutto girato di notte, al freddo al buio. Il mio personaggio quando faceva le rapine diceva ‘un po’ di roba per me’ era un gesto politico (in quegli anni di espropri, di bande armate)”.
Lo stesso capitò a Luca Marinelli, scelto per Non essere cattivo ancora fresco di Accademia, come ha ricordato l’attore nell’incontro con il pubblico in Cineteca a Bologna: “Fui contattato da Valerio Mastandrea e quando lessi la sceneggiatura, che era fantastica, avevo il fiatone arrivato alle ultime pagine. Poi al primo incontro con Claudio, direttamente in azione, io dovevo fare la parte di Vittorio e ci fu un ribaltamento dei ruoli, mi disse di cambiarmi con Cesare … ‘ci sono 5 cambi nella scena, trovali’. Una volta sul set mentre giravamo lui disse qualcosa del tipo “non dovete avere paura” e io rimasi basito...scoppiai a piangere, perché detto da una persona nelle sue condizioni mi fece un certo effetto. Dunque come uomo mi ha insegnato a non avere paura. Come attore mi ha fatto una specie di “fatality”...sul set io ogni tanto gli facevo delle domande sul personaggio...c’era questa scena dove Cesare consola la mamma dicendo non ti preoccupare tu dai le medicine che devi dare alla bambina e non succederà nulla, io andai da Claudio e dissi, penso che lui è un po’ arrabbiato è infastidito da questa cosa, non gli va, gli sta sulle balle la mamma che sta male...e lui stette un po’ in silenzio e poi mi disse, se Cesare pensasse così sarebbe un idiota”.
L’aneddoto di Marinelli si presta a chiudere perfettamente il cerchio della commemorazione di un autore che “non fu mai prodigo di parole, aveva un linguaggio asciutto, secco, le sue parole erano pesate”, “uno che voleva vivere per conto suo, un solitario, sempre con questi occhiali scuri”, un uomo di cinema capace di vivere con un rigore monastico nel risparmio e nella morigeratezza, che però, se gli chiedevi di parlare di cinema, aveva tutto un mondo dentro che i posteri rimpiangeranno sempre di non poter esplorare. “Muoio come uno stronzo e ho fatto solo tre film”, disse all’amico Valerio, ma in mezzo a quei tre film ne restano almeno 30 che non ha mai fatto e che speriamo tutti di poter almeno leggere un giorno sulla carta stampata di una sceneggiatura.
Francesca Divella
http://www.cinefiliaritrovata.it/claudio-caligari-nel-ricordo-di-luca-marinelli/
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