TÍTULO ORIGINAL
Tombolo, paradiso nero
AÑO
1947
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
No
DURACIÓN
87 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Giorgio Ferroni
GUIÓN
Giorgio Ferroni, Indro Montanelli, Glauco Pellegrini, Rodolfo Sonego, Piero Tellini
MÚSICA
Amedeo Escobar
FOTOGRAFÍA
Piero Portalupi (B&W)
REPARTO
Aldo Fabrizi, Nada Fiorelli, Dante Maggio, Luigi Pavese, Elio Steiner, John Kitzmiller, Franca Marzi, Umberto Spadaro, Luigi Tosi, Adriana Benetti, Mario Maffei, Giovanni Onorato
PRODUCTORA
Incine Industria Cinematografica Italiana
GÉNERO
Drama
Sinopsis
Un hombre descubre que su hija, la cual creía muerta en la guerra, está unida a una organización criminal. (FILMAFFINITY)
“Queste ragazze qui non hanno tanta colpa poi...”.
(dialogo finale in Tombolo paradiso nero)
Giorgio Ferroni, nato a Perugia nel 1908, accantona una carriera nella magistratura per dedicarsi al cinema a partire dagli anni trenta. Aiutante di Gennaro Righelli e documentarista al Luce esordisce nel lungometraggio di finzione solo negli anni quaranta, sempre alternando l’attività di regista a quella di autore di documentari. Nell’epoca “neorealista” Ferroni firma un’intensa e importante pellicola che si situa a un tempo dentro e fuori i labili confini di tale corrente filmica: si tratta di Tombolo paradiso nero (ottobre 1947; 95 min.), film basato su un articolo di Indro Montanelli, anche autore (con altri) della sceneggiatura.
La vicenda ruota intorno ad Andrea Rascelli (Aldo Fabrizi), guardiano di un deposito dalle parti di Livorno, nei pressi del malfamato Tombolo, pineta nella quale stazionano truppe di occupazione di colore che accolgono al proprio interno malfattori comuni e un piccolo esercito di compiacenti prostitute. Il protagonista, ex brigadiere che si intuisce “epurato”, amico del locale capo della polizia (Luigi Pavese), ritrova la figlia Anna (Adriana Benetti) che non vede da numerosi anni. Quest’ultima, diventata una prostituta nonché amante di un piccolo boss locale detto “il ciclista” (Elio Steiner), nasconde la verità al padre mentre i malviventi approfittano della situazione e tentano di rubare nel suo deposito. Andrea capisce allora la verità, in accordo con la polizia si infiltra nella banda e fa catturare tutti. In extremis, ferito a morte in uno scontro a fuoco con “il ciclista”, implora il commissario di non arrestare la figlia, ormai decisa a tornare sulla retta via con l’aiuto di un ex malvivente.
La pellicola, girata con buon senso del ritmo e dell’intreccio e innervata da una sincera partecipazione emotiva dell’autore agli eventi di questa umanità diseredata, possiede numerosi meriti. E’ probabilmente l’unico film italiano a indagare e mostrare senza ipocrisie la realtà di una prostituzione diffusa, certamente generata dalla miseria ma anche alimentata dalle spregiudicate necessità delle truppe di occupazione (di colore e non). A differenza di quel che accade nei lavori improntati al neorealismo “marxista” qui le responsabilità rimangono però sempre individuali e la polizia è guardata con occhio benevolo. Lo stesso protagonista è un ex poliziotto che attende di essere reintegrato nelle proprie funzioni e che si sacrifica per il bene di sua figlia. Al contrario i malviventi sono tali per scelta e per avidità, spesso hanno anche un lavoro (come nel caso del napoletano che fa da basista al deposito per il colpo del “ciclista) o di Renzo che ogni giorno è tentato di lasciare la malavita e di andare a fare il meccanico, ma che poi si lascia trascinare dall’inerzia. Dunque la ricca e cruda pittura sociale di una società povera e affamata, in balia dei “liberatori” per avere sigarette e sapone, non porta a una assoluzione generalizzata di chi ha scelto la via del crimine ma semplicemente offre un quadro completo e schietto di un contesto in cui delinquere resta la via più facile, la scorciatoia verso l’ambito benessere anche quando esso costa la vendita quotidiana del proprio corpo e della propria dignità.
Tombolo infatti è il “paradiso”: il racconto gira intorno a questo luogo maledetto, sempre solo citato fino a quando (a metà film) non vi entra il protagonista (e noi con lui). In quel frangente Ferroni si inoltra nella pineta, improvvisamente “squarciando” con la mdp alcune siepi come si trattasse di un sipario chiuso e girando un lungo, “stupito” pianosequenza che mostra soldati e ragazze ballare e ridere al ritmo di frizzanti boogie in un contesto di sfrenata allegria e ricchezza materiale. Tombolo offre dunque una realtà parallela e antitetica rispetto a quella pauperistica delle incombenti macerie e dei depositi di cianfrusaglie.
La protagonista è infine una ragazza qualunque la quale, persa la madre in un bombardamento, ha evitato volontariamente di ricoungiungersi al padre con il quale avrebbe potuto vivere dignitosamente per seguire il miraggio di un’esistenza facile e lussuosa.
Il discorso musicale merita un approfondimento a parte. I titoli di testa scorrono sulle note di un vivace boogie, segno dei tempi definitivamente mutati. Lo swing americano è il soundtrack di tutte le sequenze che riguardano militari, malfattori e prostitute e in questa scelta appare evidente l’indicazione, assai critica, di una forma di incipiente colonialismo americano. La qual cosa appare ancora più evidente allorché nel loro primo incontro dopo anni la figlia suona per il padre al pianoforte il terzo movimento della Sonata Patetica op. 13 (1799) di Beethoven, così come faceva un tempo, a casa (ossia prima della tragedia bellica e dell’arrivo degli angloamericani). Tale brano musicale, opportunamente orchestrato, commenta le parti dolenti e positive del successivo percorso esistenziale del protagonista fino agli attimi estremi del suo sacrificio mentre, a Tombolo, luogo di ogni pedizione, risuona il jazz ballabile. Anche per tale via Ferroni sottolinea la situazione drammatica di un’Italia in ginocchio, destinata a far buon viso a cattivo gioco nei confronti di chi può comprarsi i favori di una donna con un po’ di cioccolata e quattro soldi. La tradizione europea soccombe, la cultura americana si afferma senza veri, possibili concorrenti anche nel mondo dei suoni.
Dunque il regista guarda al mondo coevo senza facili entusiasmi e senza troppe simpatie gratuite per le truppe di occupazione. La sua visione (e quella di Montanelli) rimane ancorata a una concezione tradizionale dei valori, a una netta distinzione di Bene e Male, a una ricerca di responsabilità che riguarda la sfera individuale e infine a una indulgenza nei confronti delle scelte femminili. La donna viene ritratta come un essere meno consapevole e non del tutto responsabile delle proprie scelte (soprattutto quelle riguardanti la prostituzione per fame o per ricatto da parte dell’ambiente malavitoso): è una figura debole, maggiormente colpita dalla miseria generale e portata a percorrere vie amorali per risolvere i problemi di autosostentamento. Lo stesso protagonista in fin di vita al commissario dice: “queste ragazze qui non hanno tanta colpa poi...”. Anche in questa velata asserzione di una inferiorità femminile il film di Ferroni rimane ancorato a una visione antica.
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“Tombolo, paradiso nero” il film che mostra il degrado dell’occupazione americana post-bellica
Tombolo, Paradiso Nero è un film del 1947. Il regista, Giorgio Ferroni, volle raccontare quella che era la realtà di Tombolo, località toscana fra Pisa e Livorno, alla fine della seconda guerra mondiale: meta di una consistente immigrazione dal Sud Italia, occupata dai soldati statunitensi (e da molti disertori), popolata dalle c.d. “segnorine” dedite alla prostituzione.
Nel film, Aldo Fabrizi interpreta la parte di un vice brigadiere che, dopo aver servito per tre anni in Libia, torna a casa, nella Ciociaria, e trova la sua casa distrutta dalle bombe, la moglie uccisa sotto le macerie e la figlia dispersa; John Kitzmiller interpreta, invece, un soldato americano.
Il film era ben lontano dal glorificare il ruolo salvifico degli americani, anzi mostrava tutta la violenza degli occupanti e il degrado in cui versava Tombolo; per tali motivi fu osteggiato tanto dalla politica statunitense quanto da quella italiana. Giulio Andreotti, a capo dell’ufficio che si occupava di cinematografia, scelse una linea per un cinema che fosse “politicamente e sessualmente innocuo“; l’allora Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, era impegnato in una serie di azioni ‘atlantiste’ di avvicinamento agli Stati Uniti d’America.
Nonostante le critiche, il film ottenne un ottimo successo con un incasso (accertato fino al 1952) di circa 125milioni di Lire, che per l’epoca era una somma enorme.
Ne abbiamo parlato con Gianluca della Maggiore, dottore di ricerca in Storia, membro del coordinamento di redazione di ToscanaNovecento e collabora con l’Istoreco di Livorno. Si occupa di cinema, Resistenza e movimenti politici.
http://www.radiocora.it/post?pst=16253&cat=video
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Ultimo appuntamento con “Giovane canaglia”, la rassegna della Cineteca D. W. Griffith sul noir italiano. Tombolo, paradiso nero (G. Ferroni, 1947) e La pantera nera (D. Gambino, 1942) sono stati i film proposti al pubblico del cinema America.
Ispiratosi a un’inchiesta di Indro Montanelli, il primo titolo vede come protagonista Andrea Rascelli (Aldo Fabrizi), un guardiano di un magazzino che ritrova la figlia scomparsa da cinque anni.
All’eroe viene fatto credere che la ragazza conduca una vita tranquilla, regolare e che sia in procinto di sposarsi. Tutto ciò è però un inganno, in quanto la figlia è in realtà una prostituta sfruttata da un malvivente, il quale cercherà di far accusare Andrea di un furto che non ha commesso e di cui è indirettamente vittima.
Anche se probabilmente non è pienamente ascrivibile alla corrente neorealista, la pellicola ne risente i richiami e le tematiche. Infatti, il contesto storico e sociale appare piuttosto delineato: il trauma di una guerra finita da pochi anni, il mercato nero, le difficoltà economiche e la presenza di ex soldati statunitensi non solo fanno da sfondo alla vicenda narrata, ma in certi casi ne sono persino il motore (ad esempio, la figlia è scomparsa proprio negli anni del conflitto).
Contesto sociale a parte, il film è un mix di noir e melodramma, in cui la vicenda criminale e poliziesca s’intreccia e fa da collante a due storie d’amore e al tema del rapporto tra padre e figlia, con i suoi commoventi esiti drammatici.
Aldo Fabrizi dimostra ancora una volta di essere un ottimo attore, interpretando con intensità il ruolo di un uomo ancora scioccato dalla guerra e condotto da un amore paterno incondizionato che lo porterà a una sorta di sacrificio finale.
Ma il maggiore motivo d’interesse del film è la seconda parte, in quanto viene ambientata soprattutto nei pressi della pineta del Tombolo, zona in cui risiedevano prostitute, criminali e disertori.
Anche se la zona esiste e nell’opera viene descritta in maniera realista, il risultato è complessivamente straniante e a tratti quasi “irreale”. Questo è probabilmente dovuto alla narrazione, la quale passa improvvisamente da un ambiente prevalentemente urbano a un paesaggio un poco esotico e comunque completamente diverso, composto da tende, capanne, barche e locali con strane statue. Ed è forse tale imprevisto passaggio a generare uno scarto che rende misteriosa e affascinante l’ambientazione.
Effetto probabilmente non voluto, ma comunque presente e positivo, in quanto trasmette al film un’atmosfera che sta tra il realismo e il sognante, rendendo il tutto piuttosto curioso e coinvolgente.
La pantera nera è, invece, un giallo in cui un commissario di polizia indaga sulla morte di un suo collega avvenuta in un locale notturno. Il protagonista scoprirà infine che alla base del delitto c’è un complotto spionistico di una banda criminale ai danni di uno scienziato e di sua figlia.
In questo caso, la storia – di per sé non particolarmente interessante – risulta secondaria rispetto ad altri elementi narrativi, in primis situazioni e personaggi, i quali donano all’opera
toni più tipici della commedia che del noir.
Infatti, certe scene cominciano con un apparente intento di suspense, per poi concludersi in modo ironico (si pensi alla sequenza dello smascheramento del finto scienziato), mentre altre – il finale soprattutto – sembrano provenire più da commedie sentimentali e sofisticate che da gialli e polizieschi.
I personaggi sono un altro motivo “comico” della pellicola: si pensi al già citato falso scienziato, all’aiutante della spia (figura più interessata alla propria alimentazione che agli intrighi da svelare) e, soprattutto, al protagonista.
Quest’ultimo è un detective piuttosto particolare, sia perché nonostante l’età non giovanissima è alla sua prima e forse unica indagine (nel film si dice spesso che ha passato la sua carriera tra scartoffie da esaminare), sia per suoi modi educati, gentili, timidi e, talvolta, persino paurosi.
Tali elementi, uniti alla buona prova di Lauro Gazzolo, contribuiscono a rendere buffo e simpatico il personaggio, creando così un certo rapporto empatico con lo spettatore.
Piccola curiosità: la trama si svolge a prevalentemente a Budapest, caratteristica tipica dei cosiddetti “telefoni bianchi”, realizzati – come questo film – durante il fascismo.
Così, dopo quasi due mesi di programmazione, si è conclusa la rassegna “Giovane canaglia”, che tra marzo e aprile ha avuto il merito di proiettare pellicole dalla qualità magari alterna, ma quasi sempre rare, talvolta introvabili e anche per questo interessanti.
Juri Saittahttps://www.filmdoc.it/2013/04/tombolo-paradiso-nero-1947/Dopo Roma città aperta Fabrizi interpreta per qualche anno ruoli drammatici o sospesi tra umorismo e patetico, e i film che gli si addicono di più sono quelli in cui il realismo sconfina nel genere, come in questo girato nella pineta del Tombolo a Livorno, base e deposito dell’esercito americano nel dopoguerra, inferno di vizi nella stampa dell’epoca, e dove venne poi realizzato anche Senza pietà di Alberto Lattuada (il quale, a quanto pare, inviò lo sceneggiatore Federico Fellini sul set di questo film a fare i sopralluoghi per il suo). Fabrizi è un padre addolorato che va alla ricerca della figlia, finita in loschi giri di malviventi. Il regista Ferroni si era formato come documentarista all’Istituto Luce, con qualche commistione sperimentale e avanguardistica (se ne sente l’eco, qui, nelle prime scene). Era finito a collaborare con la Repubblica Sociale di Salò oltre la Linea Gotica, tra i cineasti coinvolti in un’illusoria Cinecittà a Venezia, ma poi aveva girato un film sulla resistenza prodotto dall’Associazione Nazionale Partigiani, Pian delle stelle. Negli anni Cinquanta e Sessanta poi girerà notevoli peplum (Le baccanti, La guerra di Troia), spaghetti western e un horror visionario, Il mulino delle donne di pietra. Qui l’atmosfera tende continuamente al melodramma e al noir, con ritmo serrato, sapiente uso dei caratteristi e un accenno di fobia verso la commistione razziale (il soldato di colore è interpretato da John Kitzmiller, già visto in Vivere in pace di Zampa).
Emiliano Morreale
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Livorno, secondo dopoguerra. L'ex vicebrigadiere di polizia Andrea Rascelli lavora come custode in un magazzino di merci americane nel porto. Sua moglie è morta durante un bombardamento e la figlia Anna è data per dispersa. L'uomo, rispettato da tutti per la sua onestà e per il suo altruismo, ha preso a cuore la giovane Elvira: questa, per poter mantenere sé stessa e il marito, come tanti altri è costretta a vendere sigarette per la strada, ma, essendo poco scaltra, viene ogni volta arrestata; Andrea, grazie alla sua amicizia con il maresciallo Pugliesi, riesce sempre a farla scarcerare. Un giorno il custode vede passare la figlia su un camion di "signorine" diretto alla pineta di Tombolo, deposito generale dell'esercito americano. L'uomo, che aveva sempre sperato di poterla ritrovare, inizia una disperata ricerca di Anna. Questa è sfruttata dal "Ciclista", malvivente in guanti gialli, che una sera si serve proprio di lei per far allontanare il custode dal magazzino con l'obiettivo di rapinarlo. Ma le cose non vanno come l'uomo aveva previsto e, quando interviene la polizia, due uomini restano uccisi. Interrogato dal maresciallo, Andrea promette di assicurare i criminali alla giustizia entro ventiquattro ore. Giunto nella pineta di Tombolo, l'ex poliziotto scopre i segreti dell'organizzazione e, fatta allontanare Anna, finge di voler entrare a far parte della banda, accettando di partecipare a un furto. Ma, la notte del colpo, grazie alla soffiata dell'uomo, i malviventi vengono catturati. Nel corso di una sparatoria, però, Andrea viene mortalmente ferito. Il suo amico poliziotto arriva in tempo per raccogliere le ultime volontà del coraggioso padre.
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