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sábado, 23 de enero de 2021

Il Tradimento (Passato che uccide) - Riccardo Freda (1951)

 

TITULO ORIGINAL
Il tradimento (Passato che uccide)
AÑO
1951
IDIOMA
Italiano
SUBTITULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
85 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Riccardo Freda
GUIÓN
Mario Monicelli, Ennio De Concini, Riccardo Freda (Historia: Mario Monicelli)
MÚSICA
Carlo Innocenzi
FOTOGRAFÍA
Enzo Serafin (B&W)
REPARTO
Amedeo Nazzari, Vittorio Gassman, Gianna Maria Canale, Caterina Boratto, Camillo Pilotto, Armando Francioli, Arnoldo Foà, Nerio Bernardi, Oscar Andriani, Rita Livesi, Anita Durante, Dina Bini, Attilio Dottesio, Ciro Berardi, Michele Riccardini
PRODUCTORA
S.A.F.A. Palatino
GÉNERO
Drama | Melodrama. Basado en hechos reales

Sinopsis
En 1935 Pietro es condenado injustamente por el homicidio de su socio Renato. Durante su condena se muere su esposa y pierde el rastro de su hija. Puesto en libertad, podrá esclarecer las cosas. (FILMAFFINITY)
 
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Sub 
 
L’ingegner Pietro Vanzetti viene incastrato da un diabolico piano ordito dal suo “grande amico” Renato Salvi, il quale organizza il suo stesso falso omicidio, facendo ricadere la colpa sul primo, con l’unico scopo di portargli via la moglie Clara, della quale e follemente infatuato. Condannato, pur senza il ritrovamento del cadavere, Pietro trascorre diversi anni in carcere, durante i quali Clara si rifugia dai ricchissimi Soldani, nel livornese, dove muore, lasciando che la figlia Luisa cresca come compagna del loro figlio Stefano. Una volta scarcerato, Pietro si getta sulle orme della figlia, riuscendo – in un modo fin troppo ingenuo e completamente incredibile – a ritrovarla, scacciata dai suoi ex padroni per impedirle di sposare il loro erede. In qualche modo, ancor meno credibile, tutto si aggiusta; e, proprio nel momento del trionfo del bene, Renato ricompare costringendo Pietro a un gesto estremo. Al netto di un epilogo quanto mai accomodante e involontariamente comico nella sua implausibilità, e di una narrazione con più di un buco e dalle svolte a volte poco credibili, è un accettabile mix di “noir” e “melò” costruito dagli sceneggiatori – Mario Monicelli (Brivido, 1941 di Giacomo Gentilomo), Ennio De Concini (La ragazza che sapeva troppo, 1963 di Mario Bava) e lo stesso regista – su un affascinante concetto di ciclicità del destino, per quanto la meccanicità dell’azione lasci ampiamente intravedere lo sviluppo conclusivo in largo anticipo. La prima parte, più prettamente “gialla”, è quella che funziona meglio, probabilmente perché più nelle corde di un Freda (L’iguana dalla lingua di fuoco, 1971) interessato soprattutto a mostrare con quanta facilità il male possa deteriorare il bene, quasi si trattasse di un cancro in rapida e virulenta espansione. La seconda, con un maggior spazio ai momenti di idillio – soprattutto il palesemente fasullo e buonista pentimento dei coniugi Soldani – tende a disperdere la tensione creata in precedenza, finendo per deragliare nel già contestato epilogo. A mantenere un minimo di equilibrio ci pensano un, come sempre, solidissimo Amedeo Nazzari (La grande luce – Montevergine, 1939 di Carlo Campogalliani) e un Vittorio Gassman /Crimen, 1960 di Mario Camerini) che disegna in modo perfetto il suo odioso antagonista. Un po’ troppo lacrimevole Gianna Maria Canale (Il bacio di una morta, 1949 di Guido Brignone), nel ruolo della figlia ritrovata. Malgrado i suoi evidenti squilibri, rimane un accettabile prodotto di consumo in grado di evitare, cosa non da poco, il tedio.

Michael Wotruba
https://cinemaitalianodatabase.com/2019/08/08/il-tradimento-passato-che-uccide-1951-di-riccardo-freda-recensione-del-film/

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Nel solco che grande successo di Catene (1949; vedi) si susseguono numerose pellicole. Tra queste si colloca Il tradimento (aprile 1951; 85 min.), undicesimo film dell’esperto Riccardo Freda. L’intreccio - escogitato da Mario Monicelli (autore unico del soggetto), sviluppato poi in sceneggiatura con Ennio De Concini e con Freda - nonostante la delirante inverosimiglianza, piace al pubblico che sancisce il buon esito commerciale della pellicola.
C’è nuovamente la famiglia insidiata e distrutta - quella dell’ingegner Vanzelli (Amedeo Nazzari), lavoratore instancabile e integerrimo marito - ad opera del manigoldo Renato Salvi (Vittorio Gassman), il quale, rifiutato dalla moglie (Caterina Boratto) di Vanzelli e gravemente indebitato, mette in scena un falso delitto (di cui sarebbe vittima per mano del Vanzelli) e scompare. L’ingegnere si fa quattordici anni di prigione; quando esce ritrova solo la figlia (Gianna Maria Canale) e la scambia per una prostituta; poi tutto si aggiusta senonché ricompare il “defunto” Salvi che ricatta Vanzelli il quale, questa volta, lo ammazza sul serio. Il finale comunque è lieto.
La vicenda fa acqua da tutte le parti; i personaggi continuano a reincontrarsi “casualmente” come accadeva solo nel teatro d’opera ottocentesco: un padre ritrova la figlia fuori da una trattoria, poi ritrova il criminale sul suo stesso treno e via dicendo. Ciononostante, se si comprende e si accetta che si sta assistendo più a un melodramma lirico per immagini che a un film realistico, allora è possibile lasciarsi traspostare in questo cupo universo di passioni estreme, aiutati soprattutto dall’ottima colonna sonora di Carlo Innocenzi modellata sugli stilemi del teatro verista pucciniano e mascagnano la quale avvolge l’intero film, donandogli un carattere di acceso dramma lirico che, in definitiva, lo salva dal ridicolo.
Ci sono, in tal senso, sequenze perfette come quella dell’agnizione tra padre e figlia in una lurida stanzetta d’albergo dove, da giorni, la torva padrona cerca di indurre la ragazza a prostituirsi per pagare il conto: per il tramite di una vecchia bambola l’uomo e la donna finalmente (dopo aver sfiorato l’incesto, situazione che, senza dubbio, vale il giudizio di “escluso” di parte cattolica) si riconoscono in un crescendo di tensione abilmente creato dalla musica, dall’uso magistrale dei primi piani e dalla bravura degli interpreti. E non è l’unica grande sequenza in cui Freda sembra saper coniugare tradizione lirica italiana e lezione hitchcockiana. C’è poi il folle finale con lo scontro definitivo tra il criminale e il protagonista - un “defunto” che ricatta un vivo - cui segue la morte del primo e il ripetersi del percorso iniziale (quello del falso delitto), questa volta con Vanzelli che porta in auto un vero cadavere. Strade buie e bagnate, personaggi sospettosi, scenari desolati: tutto ritorna in un’abile riproposta delle sequenze iniziale, una variazione sul tema (per rimanere in una terminologia musicale) di indubbia efficacia, degna dell’Hitchcock coevo de L’altro uomo (1951; dove i personaggi tornano due volte nel celebre scenario del Luna Park). Infatti Freda ha certamente tenuto conto delle atmosfere particolari - oniriche e claustrofobiche - che animano il recente noir hollywoodiano, con speciale riferimento ai film di Lang e di Siodmak.
Mescolando dunque Hitchcock e Matarazzo, Freda produce un interessante noir lirico ove alla compiutezza stilistica si unisce la visione nettamente conservatrice (come già in Catene) del contesto umano e sociale. Le figure sono certamente stereotipate in modo manicheo; ma va anche detto che la cosa viene apertamente teorizzata e sostenuta come rispondente al vero: nei dialoghi infatti si parla apertamente di nature umane volte al bene, all’equilibrio e alla coesistenza pacifica, e di nature imane naturalmente inclinate verso il male. Lo afferma provocatoriamente il Salvi, nel grande finale, quando provoca la sua vittima e rivendica a sé (e a quelli come lui) la capacità di operare il male in modo cosciente e compiaciuto. Con buona pace di marxisti e “neorealisti”, il film quindi opta per le responabilità individuali, descrive la naturale malvagità di determinati individui e scarta ogni tentazione giustificazionista di tipo sociale.
Ovviamente il film ottiene solo insulti e rimproveri dalla critica più “avveduta” e “illuminata”.
...
http://www.giusepperausa.it/la_citta_si_difende_e_processo.html


 


 

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