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sábado, 9 de enero de 2021

Quartieri alti - Mario Soldati (1945)

TITULO ORIGINAL
Quartieri alti
AÑO
1945
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
82 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Mario Soldati
GUIÓN
Mario Bonfantini, Renato Castellani, Ercole Patti (novela), Mario Soldati, Steno (Obra: Jean Anouilh. Novela: Ercole Patti (novela))
MÚSICA
Giuseppe Rosati
FOTOGRAFÍA
Otello Martelli, Aldo Tonti (B&W)
REPARTO
Adriana Benetti, Massimo Serato, Nerio Bernardi, Enzo Biliotti, Natalia Ray, Jucci Kellerman, Fanny Marchiò, Maria Melato, Gina Sammarco, Giulio Stival, Piero Pastore, Giuseppe Pierozzi, Vittorio Sanipoli, Alfredo Del Pelo, Gilda Marchiò
PRODUCTORA
Industrie Cinematografiche Italiane
GÉNERO
Comedia

Sinopsis
La historia trata sobre Giorgio (Serato), quien es mantenido por una mujer de clase alta y vive un estilo de vida mucho más allá de sus medios. Conoce y se enamora de la joven y virtuosa Isabel (Benetti), y con el fin de impresionarla y mantener sus verdaderas circunstancias en secreto, alquila una villa y hace pasar a una pareja de actores por sus padres. Sin embargo, las cosas no irán del todo bien... (FILMAFFINITY)
 
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Le riprese del film vennero interrotte dopo appena due settimane a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale e furono riprese nel giugno 1944 dopo la liberazione di Roma.


 ” L’insuccesso di questo film rimane per certi aspetti un mistero, poiché tutto, dal titolo alla scelta degli attori, dalla trama alla regia, era stato preparato in vista di quel successo che il pubblico non lesina mai alle opere modeste che sono però intonate alla sua concezione del mondo. Si aggiunga che il regista ha girato le sue visioni con una tecnica onestissima e precisa, senza acrobazie né sbavature; che lo scenografo ha fatto miracoli di allusioni e di buon gusto per rappresentare gli ambienti di un certo mondo corrotto, senza cadere nella retorica delle pareti bianche; che gli attori hanno persino fornita l’illusione (il che raramente accade nei nostri film) di condividere le passioni dei loro personaggi. »
Ennio Flaiano
http://www.neldeliriononeromaisola.it/2020/06/323924/


 Accantonate le atmosfere morbose del dittico ispirato a Fogazzaro (Piccolo mondo antico e Malombra, 1941-42), Mario Soldati gira nei primi mesi del 1943 Quartieri alti (gennaio 1945; 88 min.), una farsa abbastanza brillante liberamente ispirata all’omonimo romanzo (1940) di Ercole Patti e alla commedia Le rendez-vous de Senlis di Jean Anouilh, sceneggiatto da  Patti, Steno, Castellani e infine da Soldati stesso. Seguendo la corrente metafilmica, inaugurata da Fuga a due voci di Bragaglia (febbraio 1943) e proseguita con Silenzio: si gira! di Campogalliani (ottobre 1943), anche il regista torinese si lascia sedurre dal gioco dei rimandi e dalla messa in scena “al quadrato”. Si tratta di una “moda” che giunge oltremodo opportuna in quanto, nella situazione bellica disperata, con il fascismo al minimo della propria credibilità, in attesa di eventi epocali cosa ci poteva essere di più tranquillo (e soprattutto non compromettente) che giocare con gli elementi costitutivi della fiction in pellicole sostanzialmente innocue e votate al mero intrattenimento, svuotato da ogni ambizione ideale.
Così Soldati ci racconta di Giorgio (Massimo Serato), un piccolo Don Giovanni il quale vive allegramente prestandosi nel ruolo dell’amante di Lina Rigotti (Fanny Marchiò), una donna matura e ricchissima. In tal modo non solo si mantiene nel lusso senza lavorare, ma anche procura da vivere a una piccola corte di scrocconi sgangherati (i suoi genitori, un amico d’infanzia, un’amante giovane). Nel frattempo però l’inesausto Giorgio cerca di sostenere anche il ruolo del ragazzo puro e innamorato con Isabella (Adriana Benetti), una giovane studentessa. A tal fine - come in un romanzo della Christie - mette in piedi una vera e propria recita in una villa di periferia: una serie di attori devono interpretare in modo rassicurante i ruoli dei genitori e dei domestici, così come da mesi Giorgio viene raccontandoli all’amata, nel corso di una serata decisiva, dopo la quale Isabella partirà per Rovigo per un lungo periodo di vacanza. Le due recite ovviamente vengono sovrapponendosi, si intersecano e si elidono a vicenda in un susseguirsi di piccoli colpi di scena, tutti peraltro abbastanza prevedibili, condotti con scarso senso dell’umorismo e con un ritmo narrativo fiacco in quanto azzoppato dalla eccessiva letterarietà dei dialoghi (di evidente derivazione teatrale).
L’interesse della pellicola però risiede altrove, in eventi che riguardano innanzitutto la sua lavorazione e che finiscono con il riflettersi nei toni e nelle scelte del racconto. Soldati infatti deve interrompere le riprese con la caduta del fascismo e ritorna a lavorare sul set solo dopo la liberazione di Roma (giugno 1944). A quel punto la pellicola - da innocuo divertimento intessuto di blande allusioni - diviene una specie di allegoria del trapasso dal “vecchio” al “nuovo” mondo. Il film si svolge nell’arco di una nottata: inizia di sera e si conclude all’alba, incomincia nel caos più totale, in un’oscurità inquieta e fracassona per terminare alle prime luci del mattino, in un silenzio un po’ smarrito ma anche aperto ad ogni possibile scelta esistenziale (il medesimo percorso si ritroverà, identico, in ciascuno dei numerosi, simbolici capitoli che compongono La dolce vita [1960] felliniana; anche in quel caso un differente orizzonte di valore sta per invedere lo scenario italiano). Nel sofferto finale Giorgio decide di troncare ogni rapporto con l’universo fatuo in cui si è crogiolato finora e di iniziare una vita onesta accanto alla sua angelica studentessa, pronta a perdonargli ogni cosa. La suggestione che il film completo produce - in relazione al contesto in cui è nato e che viene riflettendo - è quindi intensa.
Il fascismo si reggeva su una recita frastornante nella quale la piccola e media borghesia facevano buon viso al dittatore e alla nomenclatura un po’ fanatica, pur di placarli e di vivere in un contesto ordinato e tranquillo. La piccola corte che si agita dietro a Lina, la ricca industriale dei formaggi, incarna l’allegoria semplice ed efficace di un popolo di attori, capace di ogni simulazione pur di riuscire a protrarre il proprio soddisfacente stato di cose. La seconda recita, nella casa di campagna, è invece più faticosa e zoppicante (la ragazza si accorge quasi subito della frode) e diviene rapidamente incompatibile con la prima. Dopo una fatale colluttazione tra Giorgio e Lina (esplode anche un colpo di pistola che ferisce il giovane), il protagonista prende coscienza: sebbene ferito e malconcio (come l’Italia che rappresenta) egli torna alla villa, licenzia la sua piccola corte (parenti, amici e attori), liquida lo stile di vita sfavillante dei Grand Hotel di via Veneto (proprio là dove inizia La dolce vita) e - insieme a Isabella - si avvia verso un futuro incerto. Solo allora - dopo che tutte le simulazioni sono evaporate - irrompono le prime luci, i personaggi escono dai polverosi e soffocanti teatri di posa per camminare su una vera strada di campagna. La recita (fascista) è finita: sulle sproporzionate ambizioni imperiali e sullo stato di mobilitazione perenne cala finalmente il sipario.
Soldati e i suoi numerosi collaboratori interpretano (forse in modo istintivo e non sempre consapevole), con questa  fantasia coadiuvata da una vena di intermittente sincerità, il passaggio storico cruciale nella storia italiana del Novecento. La prospettiva che si apre appare liberatoria ma è in fondo solo accennata poiché - allo stato delle cose (primi mesi del 1945) - si tratta di un orizzonte enigmatico dal quale nessuno sa, per ora, cosa attendersi.
...
http://www.giusepperausa.it/il_ratto_delle_sabine__le_mise.html

 


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